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DELL'AUTENTICITÀ DELLE EGLOGHE.

Giovanni Boccaccio nella Vita di Dante dice che questi compose due Egloghe assai belle, le quali furono intitolate e indiritte da lui a Maestro Giovanni del Virgilio per risposta di certi versi da esso mandatigli.

La prima Egloga fu da Dante dettata dopo aver compiuto e pubblicato le prime due Cantiche della Divina Commedia, come rilevasi da que' versi:

«< ... Cum mundi circumflua corpora cantu
Astricolæque meo, velut infera regna, patebunt,
Devincire caput hedera lauroque juvabit. »

La seconda poi sembra ch' ei la dettasse qualche anno appresso, cioè quand' ebbe affatto compiuto e terminato il Poema, e poco innanzi della sua morte. Ciò può arguirsi dal quarto distico dell'Epitaffio scritto da Giovanni del Virgilio, e posto dai Ravennati sul sepolcro di Dante:

« Pascua Pieriis demum resonabat avenis:
Atropos heu lectum livida rupit opus! »

Inoltre nell' Egloga dello stesso Giovanni al Mussato, la quale trovasi nel Cod. 8, Plut. XXIX della Laurenziana, si osservano le seguenti espressioni :

« Carmine vulgatum laxabat Tytirum ipsum,
Qui modo Flamineis occumbit Sarnius oris, »>

alle quali un anonimo chiosatore del secolo XIV così nota: Nam postquam Magister Joannes misit Danti Eclogam illam Forte sub irriguos, stetit Dantes (nell' Egloghe chiamato Titiro) per annum ante quam faceret Velleribus Colchis, et mortuus est antequam eam mitteret, et postea filius ipsius Dantis misit illam prædicto Magistro Johanni.

Or queste testimonianze se valgono a stabilire approssimativamente la data delle Egloghe, valgono a più forte ragione a far prova della loro autenticità.

DANTE. — 1.

27

EGLOGHE LATINE.

JOANNES DE VIRGILIO DANTI ALAGERII.

CARMEN.

Pieridum 'vox alma,1 novis qui cantibus orbem.
Mulces, lethifluum 2 vitali tollere ramo 3

4

5

Dum cupis, evolvens triplicis confinia sortis
Indita pro meritis animarum, sontibus Orcum,
Astripetis Lethen, epiphœbia Regna beatis;

Delle Pierie Suore o santa voce,

Che con rime novelle il mondo addolci,
Mentre dal tosco, ond' ha le vene infette,
Coll' arbore vital purgarlo agogni,
I confin di tre sorte disvelando

Fissi al merto dell' alme, alle ree l' Orco,
Alle purganti Lete, alle beate

1 Alma idest sancta. novis, i. inauditis.

2i. Corruptum seu mortiferum, ut infernus.

3 Per questo ramo intende l' alloro, cioè l'arte poetica, con cui si purghi il vizio del mondo; a simiglianza del legno dell' Esodo (XV, 25), che messo nell'acque le rese dolci d'amare: quando però non

avesse a leggersi rhamno; cioè, col
vitale spino della Commedia, che
punge, e pungendo dà, a chi è dispo-
sto,
la vita.

Damnatorum, Purgantium se, et
Salvatorum.

i.

5

sontibus, i. peccatoribus. Orcum. infernum. Astripetis, i. purgantibus se. Epiphobia, i. supraphœbum quod est cælum empireum.

1

Tanta quid heu semper jactabis seria vulgo,1
Et nos pallentes 2 nihil ex te vate legemus?
Ante quidem cythara pandum delphina movebit
Davus, et ambigua Sphingos problemata solvet,
Tartareum præceps quam gens idiota " figuret,
Et secreta poli vix experata Platoni :

7

5

6

Quæ tamen in triviis numquam digesta coaxat
Comicomus nebulo, qui Flaccum pelleret orbe.
Non loquor his, immo studio callentibus, inquis:
Carmine sed laico: clerus vulgaria temnit,

I regni stabiliti sovra il sole ;

Ah perchè mai tema si grande e grave
Vorrai sempre gettare al volgo, e noi
Vati lasciar de' tuoi bei carmi privi?
E pur più presto con la cetra Davo
Trarrà il curvo delfin, sciorrà i problemi
Dell' equivoca Sfinge, che l' ignara
Gente sappia idearsi il gran baratro,
E gli arcani del cielo a Plato oscuri :
Cose però, che non mai bene apprese,
S'ode ne' trivii gracidare il Zanni,
Che potria con le ciance fugar Flacco.
A lui non parlo, anzi alli savi, dici;
Ma co' versi del volgo. Il savio sprezza
La lingua popolar, s' anco una fosse,

1. vulgaribus hominibus et idiotis; et hoc ideo dicit quia vulgariter scripsit.

Scilicet poetas, pallentes pro studio. vate, s. Dante.

pandum, i. recurvum Arionem ec. Qui è la favola di Arione salvato da un Delfino.

quidam malus poeta.

Sphingos, monstrum Thebanum. Sphinx fuit ec. la favola della Sfinge.

6 non licterata.

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Etsi non varient, quum sint idiomata mille.
Præterea nullus, quos inter es agmine sextus, 2

3

4

Nec quem 3 consequeris cœlo, sermone forensi
Descripsit: quare, censor liberrime vatum,
Fabor, si fandi paulum concedis habenas.
Nec margaritas profliga prodigus apris,
Nec preme Castalias indigna 5 veste sorores.
At precor ora cie, quæ te distinguere possint,
Carmine vatisono sorti communis utrique."

Chè ve n' ha più di mille. Infino ad ora
Nessun di que', fra cui tu il sesto siedi,
Cantò in sermon forense, nè pur quegli
Cui siegui al ciel poggiando. Or dunque lascia,
O de' poeti troppo aspro censore,

Che a parlarti io rallenti un po' le briglie.
Le perle non gettar prodigo a' porci,
Ne le Muse aggravar d' indegna veste :
Ma si la lingua in cotai carmi sciogli,
Che sien comuni a questa gente e a quella,

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3

Sì ch'i' fui sesto tra cotanto senno.

Statium. Vedi Purgatorio, canto XXI.

Nel MS. cum sequeris. Nella stampa del ch. Lorenzo Mehus, tu sequeris; e pur egli lesse sul medesimo Codice: ma questa è franchezza letteraria. Senza dubbio Giovanni scrisse consequeris, voce vera latina in senso di seguir d' appresso, e, come dicesi, di conserva. Per contrario nella Volg. Eloq. di Dante (lib. 1, cap. XIII): Itaque si Tuscanas examinemus loquelas, compensemus * qualiter viri præhonorati a propria diverterunt ec., dee leggersi, cum pense

mus. Dove si osservi che præhonorati, vuol dir di sopra onorati, non già molto onorali, com' è nella traduzione del Trissino. Una con curiosetta ho notata nel Comento del Boccaccio (Ediz. di Firenze, 1724, vol. VI, pag. 216)....quantunque crudel cosa sia l'uccidere ed il rubar altrui, quasi dir si puote esser niente, per rispetto a ciò ch'è il confonder* le cose proprie, ed all' uccider se medesimo; perciocchè questo passa ogni crudeltà che usar si possa nelle cose mondane. Vedi confondere, cioè, fondere insieme, ch'è il proprio significato, che manca nella Crusca. Dante usò il verbo semplice; Inferno, XI, 44:

.... Fonde la sua facultade.

i. vulgari. sorores, i. musas.
i. italico, et aliis nalionibus.

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