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La presero, la saccheggiarono, l'incendiarono, ne misero a fil di spada i cittadini, nell' 859, i ferocissimi saraceni, che la ridussero ad un ammasso di ruine. Ma non andò guari che il pontefice Gregorio IV la facesse risorgere e rifiorire; e d' allora in poi continuò ad essere sotto la protezione della Chiesa, traendo i suoi giorni in mezzo or alle prospere.or alle avverse vicende, di cui fu teatro nel medio evo la nostra Italia. Essa per altro fu sempre vigorosa difenditrice della propria libertà contro le violenze degl' imperatori, dei quali sostenne ripetuti assedii; e in fine sotto il pontificato d' Innocenzo III ottenne il primato della Marca, e fu residenza dei marchesi investiti dal papa. Se ne disputarono in seguito per varii secoli la signoria i Malatesta, e i cittadini stessi, gelosi della propria indipendenza; e questi anche la riacquistarono per l''aiuto prestato loro dal cardinale Albornoz. D'allora se la serbarono intatta per un buon secolo e mezzo, finchè nel 1532 il timore delle imminenti invasioni dei turchi persuase gli anconitani a darsi nelle braccia dei papi, i quali munirono considerevolmente la città coll' erezione di forti, di bastioni e della cittadella, che tuttora sussiste, con disegno del Sangallo, nell' anno 1554. Divenuta così Ancona città pontificia, continuò ad esserlo sino ai tempi della francese invasione nel 1797; dal qual anno sino al 1815, cangiò più volte di padrone col cangiare delle politiche vicende d'Europa: ora fu dei francesi, ora delle truppe confederate; poscia degli austriaci e quindi nuovamente dei francesi; poi fu dei napoletani, e poi de' tedeschi; in fine ritornò, nel luglio del 1815, sotto il pontificio dominio, e sotto di questo sino al di d'oggi felicemente persevera.

Vibrato così un rapidissimo colpo d'occhio sulla civile storia di Ancona, mi affretto ora ad esporne più determinatamente la sacra. E qui prima di ogni altra cosa noterò, essere stata questa città, non che tra le prime dell'Italia, la primissima, a cui la fede cristiana fosse annunziata; nella quale dipoi confermolla più stabilmente lo stesso principe degli apostoli. Ned è già questa un' ampollosa e gratuita asserzione; checchè forse n'abbia detto in contrario qualche non antico scrittore: il nome di Gesù Cristo fu fatto 'noto agli anconitani prima ancora che l' apostolo san Pietro ponesse piede in Italia. Del che ci porge luminosa ed autorevole testimonianza il santo padre Agostino, in un suo ragionamento solenne (1) al popolo della sua

(1) Serm. 321 de divers. 221.

chiesa. Egli, infatti, commemora uno scritto presentatogli da un Paolo di Cesarea di Cappadocia; nel quale scritto narravasi, che il detto Paolo pellegrinando con una sua sorella ai più celebri santuarii, per ottenere la guarigione da non so quale insanabile malattia, s'era portato altresì a quello di santo Stefano in Ancona, chiarissimo pe' miracoli coi quali tutto di la divina misericordia illustravalo. E dopo di avere commemorato cotesto scritto cosi prosegue il santo dottore (1): « Noto è, quanti miracoli in ‣ quella città ( Ancona) si operino per la intercessione del beato Stefano: ■ ed ascoltate cosa degnissima delle vostre maraviglie. Era colà ed è tutlora un' antica memoria (2) di lui. La ragione non n'è ignota alla vostra ‣ carità, nè io tacerò quanto la fama ci ha recato. Allorchè santo Stefano era lapidato, stavano tra i circostanti altresì degl' innocui; massimamente di quelli, che avevano abbracciato la fede di Cristo. Si narra adunque, che un sasso colpisse il santo in un gomito, e rimbalzandone ⚫ andasse a cadere al piè d' uno di quelli. Questi devotamente lo raccolse e se lo serbò. Era egli navigante di mestiere, e l'occasione del navigare lo condusse in Ancona; e fugli rivelato, che lasciar quivi dovesse quel sasso. Ubbidi e fece quanto eragli comandato. D'allora incominciò ad ⚫ essere in Ancona la memoria di santo Stefano. »>

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Di quanta e quale autorità sia nella Chiesa la recata testimonianza di santo Agostino non è d'uopo ch' io il dica: il solo nome di lui basta a renderla sacra e solenne. E se ai tempi suoi la memoria di santo Stefano esisteva, sino ad essere da lui medesimo indicata colla qualificazione di anlica, non è a dubitarsi, ch' essa al primo secolo del cristianesimo risalisse. Aveva anzi incominciato ad essere in Ancona mentre viveva ancora quel desso, che aveva raccolto il sasso, di cui si parla, e che se l'era divotamente serbato. E questo medesimo sasso, malgrado la lunga serie di tanti secoli e di tanti avvenimenti, sino al giorno d'oggi conservasi tra le, molte reliquie, che impreziosiscono il sacro tesoro dell' anconitana cattedrale. Sul proposito di un siffatto uomo apportatore del sasso, e circa il tempo del suo arrivo in Ancona, e quindi sull'antichità del cristianesimo

(1) Nel discorso seguente.

(2) Chi conosce ed intende il linguaggio degli scrittori ecclesiastici ben sa, che sotto il nome di memoria significavasi un tempio od oratorio eretto in onore di un qualche

santo. Ed in Ancona appunto esisteva antichissimamente una chiesa intitolata a santo Stefano: erane anzi la cattedrale, secondo l'uso dei primi secoli, fuori della città.

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annunziato ad essa, così la discorre l' eruditissimo anconitano Peruzzi, che alla mia narrazione sull' anconitana chiesa tracciò ben ampio e non ambiguo il sentiero (1): « Quel fedele pertanto, del quale è detto, fu il primo, » che recasse in Ancona la prima notizia del vangelo. Foss' egli anconi» tano, per affari di commercio andato in Palestina e quindi tornato in » patria, ovvero estranio di là venuto; natural cosa è pensare, che qui >> versando con quelli della sua condizione, entrasse a ragionare, com'è » l'uso, delle diverse avventure del suo viaggio e delle straordinarie » cose, delle quali era stato spettatore e testimonio, e, siccome cristiano, cogliesse il destro d'istituire discorso della nuova religione e della pre» dicazione, de' miracoli, della passione, della morte, della risurrezione di » Cristo e del martirio con tanta magnanimità sostenuto dal santo dia» cono, e ne mostrasse il sasso che aveva recato e per ordine tutta nar» rasse l'avuta rivelazione. Evidentemente fu questo il primo sparso tra » noi seme evangelico; il quale caduto in non ingrato terreno, ben presto » vi allignò e fecondato dalla grazia divina largamente fruttificò. » E quanto al tempo di così fausto avvenimento, così prosegue a dire il diligente scrittore. Sarebbe ora a cercare, in quale anno ciò avvenisse. Il Saracini »> nostro, parlando di questo fatto, con assai buon senno rifiutò l'opinione » di coloro, i quali tennero, che avvenisse nel medesimo anno, nel quale » avvenne il martirio di santo Stefano, trentaduesimo (2) di Cristo. Noi >> tenghiamo per certo, che questo martirio avvenisse nel vensettesimo (5) » di dicembre di quell' anno; nel qual giorno la chiesa ne celebra la » solenne commemorazione; e ve lo riferiscono il martirologio romano e » tutti gli scrittori degli ecclesiastici fasti. Adunque a nessuno non parrà, » inverisimile non dico, ma impossibile che in quel giro di pochi giorni, i » quali rimanevano di quell' anno, dalla Palestina si trasmutasse quel pie» toso in Ancona. Non si ha però ragione neppure a differirne l'arrivo » oltre l'anno seguente. Lo che mi sembra argomentarsi in alcun modo » per la storia degli atti apostolici (4). Conciossiacchè la persecuzione che >> ivi si narra insorta non guari dopo la morte del santo martire, dovette » indurre quel navigante a partirne il più presto. »

(1) La ch. Anconit., ec. part. I, pag. 2.
(2) Io crederei nel trentatresimo.
(3) Doveva dire nel dì ventisei.

(4) Act. cap. viii, vers. 1. Facta est

autem in illa die persecutio magna in Ecclesia, quae erat Jerosolymis, et omnes dispersi sunt per regiones Judeae et Samariae praeter apostolos.

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Nell' anno adunque 54 dell' era cristiana, secondo il calcolo surriferito del Peruzzi, recavasi quel buon navigante in Ancona; e precedeva perciò di un decennio la venuta dell' apostolo san Pietro in Italia, e preparava a questo innaffiato di già il terreno, in cui avrebbe sparso il celeste seme della santificatrice parola di Dio. E che l' apostolo san Pietro sia venuto personalmente in Ancona a predicarvi la fede, non è a dubitarsi; perciocchè • tanti a crederlo, dice il Peruzzi (1), sono gli argementi, che a negarlo » sarebbe forse temerità. » I quali argomenti egli prosegue ad esporre così parlando: « E'l primo è la tradizione da immemorabile tempo tramandata » insino a noi. Il secondo è la ragionevole induzione da ciò che abbiamo certo e costante. Certo e costante è, che i giudei suscitato avendo cla■ mori e risse contro la Chiesa da lui stabilita in Roma, dov' era giunto l'anno 45 dell' era cristiana, e comandato Claudio che uscissero di ■ Roma, anco il santo apostolo dovesse partirne e di questa occasione si valesse per discorrere l'Italia e propagarvi la fede. Che se giustamente, ■ come il Bollando e l' Ughelli avvisarono, dannosi vanto d' averlo avuto » predicatore del vangelo altre città, non solo le più lontane d'Ancona, » ma le più vicine e circostanti; non vedo perchè debbasi questo vanto • negare ad Ancona. Anzi una ragione ella ha di più, dove i primi albori ⚫ erano già penetrati della fede e dove perciò i fedeli, che già la memoria » avevano di santo Stefano, e 'l cui numero andava crescendo, più special■ mente domandavano gli aiuti dell' apostolica sua carità. E se fu egli infati› cabilmente sollecito di propagare e stabilire il cristianesimo nelle provin»cie le più remote del romano impero (lo che non può negarsi ); non può › certamente negarsi neppure, che questo bene procurasse all'Italia ed al » incominciato ad essere in Ancona, che per ragione di commercio si im› mediata relazione avea colla capitale. » Di questa predicazione del principe degli apostoli alle primarie città dell' Italia parlò anche Dionisio vescovo di Corinto, presso Eusebio (2), ove dice avere i santi apostoli Pietro e Paolo predicato per tutta l'Italia. La quale affermazione, se non hassi ad intendere strettamente di ogni più piccolo luogo e di ogni meno illustre città, non può non intendersi certo delle più illustri e popolose, tra cui nessuno potrà negare il vanto ad Ancona. « Per le quali considerazioni,

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(1) Stor. di Ancona: nel tom. x delle sue opere, Bologna 1847, pag. 63.

(2) Hist., lib. 1.

» così conchiude il Peruzzi, io ho ferma opinione, che il santo apostolo » esercitasse anche tra noi il suo apostolato. E del frutto, ch' ei ne rac» colse, è testimonio il sangue de' martiri onde fu Ancona cospersa. »>

Tra i quali martiri l' arcidiacono san Pellegrino, che circa l'anno 290 di Cristo, o tutt' al più 295, sostenne il martirio, ci si presenta in più cospicuo ed eminente luogo, siccome quello, da cui senza dubbio raccoglier devesi l'esistenza della cattedra vescovile di questa chiesa. S' egli era infatti diacono anconitano, come da tutti gli scrittori, che lo nominarono, e come dalla costante tradizione della chiesa di Ancona è riconosciuto; non poteva esserlo, che di un vescovo suo proprio, il quale in questa città aveva seggio (1). E questo vescovo era PRIMIANO, che sostenne poscia anche egli il martirio per la fede cristiana, e di cui parlerò poco appresso. Proseguendo intanto a narrare di san Pellegrino, devo ricordare due iscrizioni scolpite in una medesima pietra, infissa oggidì nel muro esterno della chiesa a lui intitolata, a sinistra della porta principale. Queste iscrizioni ci attestano e l'esistenza del corpo del detto santo, collocato sotto l' altar maggiore insieme con quelli de' santi Ercolano e Flaviano, che gli erano stati compagni nel martirio, e l'epoca, in cui vi erano stati collocati, e l'anno, in cui furono più tardi trovati: la prima era l'anno 500, dall' imperatore Diocleziano, ossia il 784 dell' era nostra; la seconda il 1224. Stanno le iscrizioni (2) distribuite così:

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SVBT. LAPID. ISTO. CORPORA. SR. IVETA. FVERVT SVB. ANN. DNI. M.CC.XXIIII. TPIB. HONORII. PP. ET. DNI. FD. INPR. ET. DNI. G. ANC. EPI. DIE II. INTRANTE.

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MSE. MAD. IDIC. XII.

✈ A. D. D. IN . ECCLA, ISTA. REQESCVT. CORPORA. SR. M. PELEGRINI. ERCVLANI . AD Q. FRABIANI.

e vanno lette: Subtus lapide isto corpora sanctorum inventa fuerunt sub anno domini MCCXXIIII, temporibus Honorii papae et domini Friderici imperatoris

(1) Gli atti del martirio di san Pellegrino, scritti in greco, esistevano custoditi uell'arca stessa ove riposavano le sue reliquie; ed affermò il Saraeini (Mem. stor. di Ancona, part. lib. 11, pag. 58 ), conservarsene ai giorni di lui una versione latina nell'ar

chivio dei frati conventuali. Ved. a tale proposito il Peruzzi, nella sua Chiesa Anconitana, pag. 7 della 1 part.

(2) Ne pubblicò il disegno nell' opera suindicata della Chiesa Anconitana, il dotto Peruzzi nella tav. 1.

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