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› subtiliter veritate discussa, ita huic causae finem imponere, ut nec ante › dictus diaconus pati praejudicium, nec praefata injuste damnum videatur Ecclesia sustinere. »

Di questa lettera parlò inesattamente il dotto Peruzzi, dicendo che con essa il pontefice commette al vescovo Severo « l'esame e la cognizione di › una causa, la quale verteva tra un Severo diacono e il vescovo Armenio: »> il contesto della lettera, che recai, ce ne manifesta la verità. Finalmente una terza se ne conosce del medesimo papa, con cui commette a Severo la visita apostolica della chiesa di Jesi. Dico di Jesi, piuttostochè di Osimo; sebbene il Peruzzi inclini a crederlo visitatore probabilmente della chiesa Ausimana; perchà nella parola Ausina ni cade più facilmente la correzione di desina, che non di Ausimana. Dell' avvenuto nella chiesa di Ancona, dopo la morte del vescovo Severo, si ha notizia dall' altra lettera dello stesso santo pontefice, il quale avevale inviato visitatore quell' Armenio, di cui è fatta menzione nella lettera surriferita. Tre intanto erano stati proposti per succedere al defunto pastore: Fiorentino arcidiacono e Rustico diaconi anconitani, ed altro Fiorentino diacono di Ravenna: il testo della lettera stessa, che qui devo necessariamente trascrivere, ci mostra assai chiaro su quale dei tre avesse fissato la sua propensione il pontefice. La lettera è questa (1), ed appartiene all' indizione VII, ossia all' anno 605: è diretta ad un vescovo, che aveva nome Giovanni, ma che non si sa a qual chiesa appartenesse; benchè l'Ughelli l'abbia creduto di Ancona. Se avesse letto la lettera, se ne sarebbe disingannato.

GREGORIVS JOHANNI EPISCOPO

• Ne incauta eorum ordinatio, qui ad episcopatum eliguntur, valeat provenire; vigilanti de eorum personis sollicitudine est requirendum. Indicatum siquidem nobis est Florentinum, archidiaconum ecclesiae Anconitanae, qui ad episcopatum fuerat electus, scripturae quidem sacrae scientiam habere; sed ita aetatis esse senio jam confractum, ut ad regiminis officium non possit assurgere. Addentes etiam ita illum ⚫ tenacem existere, ut domum ejus amicus ad caritatem nunquam introëat. Rusticus autem, diaconus ejusdem ecclesiae, qui similiter electus fuerat,

(1) Nell'edizione de' Maurini, è la xi del lib. xiv.

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» vigilans quidem homo dicitur, sed quantum asseritur psalmos ignorat. » Florentinum vero, diaconum ecclesiae Ravennatis, qui electus ab omni» bus memoratur, sollicitum esse novimus: sed qualis sit interius, omnino »> nescimus. Ideoque fraternitas tua, una cum fratre et coëpiscopo nostro Armenio, suprascriptae Anconitanae ecclesiae visitatore, illuc festinet » accedere et diligenter de vita et moribus singulorum requirere, vel si » nullo sibi sunt crimine conscii, quod eos ad hoc officium vetet accedere. » Pariter etiam requirendum est, si hoc quod de praefato archidiacono » dictum est, quia nunquam amicus domum ejus ingressus est, si ita se » veritas habet, et utrum ex necessitate an ex tenacia tatis sit: aut si ita » senex est, ut ad regendum non possit assurgere: vel si tactis sacrosanctis » Evangeliis, sicut nobis nuntiatum est, jusjurandum praebuerit nunquam » se ad episcopatum accedere. Sed etiam de Rustico diacono, quantos psalmos minus teneat, perscrutandum est. Florentino autem diacono » Ravennati, si nullum, sicut diximus, crimen est quod obsistat, apud epi» scopum ejus agi necesse est, ut ei debeat cessionem concedere: non » tamen ex nostro mandato vel dicto, ne contra suam voluntatem eum » cedere videatur. Sed hoc ut norunt ii, qui eum eligunt, ex se agant: tu » vero de singulis cum omni studio ac sollicitudine omnia quae suscripsi» mus requirere atque nobis stude subtiliter indicare; ut renuntiatione tua » redditi certiores, quid post haec Deo auctore fieri debeat, disponamus. Parmi, che dal tenore di questa lettera sia facile il conghietturare, dover essere stato preferito il FIORENTINO ravennate. E infatti di questo solo non aveva inteso dir male il pontefice, e per lui solo mostravasi abbastanza inclinato quando raccomandava, che se ne chiedesse al suo vescovo la cessione; o come oggidì si direbbe la remissoria; per poterlo con ogni legittima forma promuovere, e senza ostacoli, alla vescovile dignità. Del mio parere fu anche il Maroni, che nella serie degli anconitani pastori collocò, dopo Severo, Fiorentino, che, per distinguerlo dal Fiorentino anconitano, egli nominò Fiorenzo. Del quale Fiorentino anconitano non occorre si parli, perchè troppo è chiaro, non dover essere lui stato il prescelto, oltrechè a cagione della sua avarizia e della sua vecchiezza, per lo avere giurato egli stesso sui sacri Evangelii, che non accetterebbe mai il vescovato. Quanto poi al diacono Rustico; me 'l perdoni il dottissimo Peruzzi, la cui diligentissima erudizione profondamente e sinceramente riverisco ; io non saprei persuadermi a preferirlo come trascelto, sì perchè nella

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citata lettera non dice il pontefice, ch' esso « gli era molto lodato, siccome , uomo pieno di virtude e di zelo (1); » ma dice soltanto e freddamente, ch'esso bensì passava per uomo vigilante, ( vigilans quidem homo dicitur ) ma, che in uno il quale volevasi innalzare alla dignità vescovile, non era cosa indifferente e da poco l'ignorare i salmi: vigilans quid homo dicitur, sed quantum asseritur psalmos ignorat. È vero bensì, che nel progresso della lettera tra le raccomandazioni fatte al vescovo Giovanni e ad Armenio visitatore, ingiunse il pontefice, che s' indagasse su Rustico, quanti erano i salmi, che non sapeva; ma il suo parere aveva egli abbastanza chiaro manifestato circa questa ignoranza dei salmi, perchè sebbene la rigilanza, su cui veniva encomiato, era un ottimo requisito per crederlo degno della dignità, a cui veniva promosso; ne distruggeva però tutto il merito la sua ignoranza dei salmi. Così almeno suonano al mio orecchio le surriferite parole della lettera: vigilans QVIDEM homo dicitur, SED quantum asseritur psalmos ignorat. Del ravennate Fiorentino invece non era stata portata al pontificio trono lagnanza alcuna; anzi conoscevalo il pontefice stesso per uomo di zelo. Or come non doveva egli mostrarsi propenso per quello, che opportuno da un lato non avea macchia dall' altro, a preferenza degli altri due, sui quali trovavasi di che notare a discapito della loro promozione?

Gli storici anconitani, particolarmente lo Speciali, il Saracini, il Peruzzi, ci mostrano succeduto al vescovo, della cui scelta ho parlato, un GIOVANNI, senza per altro mandarci memoria alcuna delle sue azioni. Ne segnano il tempo, nell'anno 629: lo Speciali e il Saracini aggiungono di più, nell' anno VIII del pontefice Onorio I. Se ciò fosse vero, non potrebbe essere stato eletto nell' anno 629; perchè l' anno VIII del pontefice Onorio I incominciava a' 15 di maggio del 653: in questo perciò, sull' autorità di essi medesimi, io fisso il principio del vescovato di Giovanni. Ne fu di assai lunga durata, perchè nel 649 si trova, intervenuto al concilio romano del papa Martino I, l' anconilano vescovo MAUROSO, di cui è celebrata dagli storici la fedeltà e la fermezza a non lasciarsi corrompere nè intimidire dalle arti del messo imperiale, che voleva distorre i vescovi radunati, particolarmente quelli dell' esarcato e della Pentapoli, dal pronunziare I anatema contro i fautori del monolelismo. Quanto durasse il pastorale

(1) Peruzzi, La chiesa anconitana, pag. 94 della parte 1.

governo di questo Mauroso, e quando incominciasse il vescovato del suo successore GIOVANNI II, non saprei dirlo. Certo è, che nell' anno 679, Giovanni era presente al concilio tenuto in Roma dal papa Agatone I, e sottoscriveva la lettera sinodale, che fu poscia inserita negli atti del concilio terzo Costantinopolitano, sesto ecumenico. Ciò fece credere a molti che non vi fecero attenzione, essere intervenuto questo vescovo al concilio di Costantinopoli: e siccome su ciò sbagliarono quasi tutti gli storici anconitani quanto al vescovo della loro chiesa, così sbagliarono quanto ad altre gli scrittori della storia di quelle. Ho notato anch' io, e più volte, narrando di altre chiese, cotesto sbaglio. Giovanni, di cui parlo, è sottoscritto alla suindicata lettera: Joannes episcopus ecclesiae anconitanae provinciae Pentapolis, in hanc suggestionem, quam pro apostolica nostra fide unanimiter construximus, similiter subscripsi. Dagli atti di un altro concilio romano si ha notizia del vescovo SENATORE, che vi sedeva nel 743: nè saprei dire, se tra lui e il precedente Giovanni II ve ne sia stato alcun altro. L'intervallo per verità è troppo grande per poterlo credere succeduto immediatamente: forse i politici sconvolgimenti, che agitavano in quei tempi la Pentapoli, c'involò le notizie di chi ne tenne frammezzo a que' due il pastorale governo, e forse per queste medesime vicende calamitose ne restò vacante la sede.

Circa l' età, di cui scrivo, e precisamente nell' anno 784 avvenne la prima invenzione del corpo del santo martire Pellegrino insieme coi corpi de' due martiri, che gli erano stati compagni nel conflitto, Ercolano e Flaviano. Trovati, furono deposti nella chiesa di santo Salvatore, ove rimasero sino al 1245. Al quale proposito mi viene opportunamente occasione, di far conoscere da un lato la realtà dell' anno di questa prima invenzione, e di negare dall' altro, che la chiesa del santo Salvatore fosse stata fabbricata da quel santo diacono, come asseri lo Speciali, sulle rovine di un tempio di Giove. L'anno, che notai, 784 viene assicurato dall'iscrizione altrove (4) in queste pagine riferita; ed ivi anche ho notato, essere stato costume di segnare talvolta gli anni coll' epoca dell' imperatore Diocleziano, la quale incominciava col di 29 agosto del 284 dell' era volgare. Quanto poi alla erezione della chiesa del santo Salvatore sopra il tempio di Giove, attribuita dagli storici anconitani e da altri al santo diacono Pellegrino ed ai suoi

(1) Nella pag. 16.

compagni, non farò che ripetere, per ismentirla, le saggie osservazioni dell' erudito Peruzzi, le quali pur sono osservazioni facilissime a farsi da chiunque abbia fior di senno in capo e conosca le prime pagine della ecclesiastica storia.« Notizia, egli dice (4), al tutto inverisimile, chi consideri, » quanto impossibile fosse a que' santi tentare pubblicamente la pietosa » opera loro, mentre il gentilesimo signoreggiava, e più feroce che mai • infuriava la persecuzione. Peggio poi il pensare, che ciò facessero dopo » avere atterrato il tempio di Giove, per alzarvi dalle fondamenta il tempio cristiano. Nè meglio fu avvisato chi modernamənte pensò di potere cor› reggere l' assurdità di quella notizia, immaginandosi, che no non aves› sero atterrato quel profano tempio, ma purgatolo dalla idolatrica super⚫stizione, consecratolo al culto del vero Dio. »

Dagli atti del concilio romano, tenuto dal papa Eugenio II, nell' 826 si ha memoria di un altro vescovo anconitano, che aveva nome TIGRINO: ed è probabile, ch'egli abbia assistito anche al concilio, che celebrò, pochi anni appresso il pontefice Leone IV. Nel tempo del pastorale governo di questo Tigrino, accadde l' orrendo guasto, che i saraceni diedero alla città, mettendola a ferro e a fuoco: dalle cui ferocissime crudeltà giunse, la Dio mercè, a preservare i sacri depositi delle spoglie venerande dei santi protettori, ch' erano qua e colà nelle chiese fuor delle mura, e trasportolli al di dentro e li collocò nella seconda cattedrale di san Lorenzo, sulla cima del Guasco. Ne v' ha dubbio alcuno, che la chiesa di santo Stefano non fosse distrutta dai saraceni nell' 859, e non già, come altri vollero, nel 539 in occasione dell' assedio posto ad Ancona dagli ostrogoti. E per accertarsi che ciò non avveniva al tempo di Vitige re di costoro, basta por mente, che il pontefice san Gregorio magno, il quale visse sull' apostolica cattedra dall'anno 590 al 604, parlò della detta chiesa di santo Stefano, come di chiesa esistente a' suoi giorni (2): « juxta anconitanam civitatem ecclesiam beati Stephani sita est. » Dall'assedio dei visigoti in poi non ebbe Ancona a soffrire verun altro eccidio straniero, sino a questo dei saraceni. Dunque fu in questo tempo, e non prima, che le preziose spoglie de' suoi santi prottettori vennero trasferite a san Lorenzo. Non allora per altro vi si trasferì anche il pastoral seggio; perchè al più presto che poterono, fecero gli anconitani le occorrevoli riparazioni alla primitiva basilica cat

(1) Chiesa anconitana, pag. 9.

(2) Lib. 1 de' Dialog., cap. vi.

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