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STATI PONTIFIZII.

CHIESE VESCOVILI

IMMEDIATAMENTE SOGGETTE ALLA SANTA SEDE.

ANCONA

A dar compimento alla storia delle chiese, che appartengono agli stati

pontificii, mi rimane adesso a percorrere il territorio così detto delle Marche; ossia quello, che negli antichi tempi formava il temporale dominio di tre marchesi. Nè di tutte le diocesi in esso comprese dovrò qui parlare, perchè di alcune, le quali non sono immediatamente soggette alla santa Sede, altrove ho esposto il racconto: di Fermo voglio dire e delle sue suffragance, di Camerino al grado innalzata di sede arcivescovile, di Sinigaglia finalmente e di Pesaro, appartenenti all' ecclesiastica provincia della metropolitana di Urbino. Prima per altro, in fra tutte le città di quel giro, devesi annoverare ANCONA, che fu la prima à vestire il carattere di marchesato e che del suo marchese è stata la residenza. Più tardi lo divennero Fermo e Camerino, e perciò sino al giorno d'oggi ritennero quelle provincie la denominazione di Marche, e spesso anche, per la qualità della più antica e più ragguardevole, il nome loro rimase semplicemente di Marca, e talvolta ancora di Marca di Ancona. Di Ancona pertanto è ragionevole, che in primo luogo si parli; e della chiesa appunto di Ancona mi accingo tosto a parlare,

Sull' origine di questa città molte e discordi furono le opinioni: l'anconitano storico Saracini si diè la pena di recarne parecchie. Vi fu infatti chi condusse a porre le prime fondamenta di Ancona una vedova regina di Persia, che nominavasi Fede; altri ne attribuirono il merito ad Ercole ; altri ai Dolopi, altri ad Anco Marzio, altri ai tre greci fratelli Gabio, Agilapio e Bio. Giovenale chiamolla Ancona Dorica, e con questa denominazione è qualificata in una lapide non antica, la quale scorgesi sotto il pubblico oriuolo del palazzo, ov' è la biblioteca: per la quale intitolazione la si

Vol. VII.

potrebbe supporre piantata dai greci, che vennero dalla Doride. Piacque invece a Catone nominarla Picena, e dirla perciò fabbricata dagli aborigini; Plinio, Strabone ed altri più ragionevolmente ne fissarono la fondazione circa l'anno 400 avanti Cristo, e ne fecero autori i siciliani, che fuggivano dalle persecuzioni di Dionisio tiranno di Siracusa (1). Ma più diligentemente il nestore degli scrittori italiani, il più che ottuagenario e tuttavia energico Agostino Maria Peruzzi, canonico arciprete della metropolitana di Ferrara, nella sua storia di Ancona (2), ce la dimostra « fondata dai » Siculi, uno di que' popoli, che si dicono indigeni, originarii, primitivi » d'Italia, che cioè trovansi stabiliti in Italia prima che vi giungessero » colonie di stranieri e specialmente di greci: i quali certissima cosa è, >> che non vi vennero che dopo la guerra di Troja. »

Nè mi saprei persuadere all' opinione del dotto Baluffi (5), a cui piacque dir greci quei siculi, che la costrussero, prendendone argomento dalla greca derivazione del nome di essa; ma fissandone poi l' origine circa due secoli prima dell' incendio di Troia. Perchè, se prima della guerra di Troja non vennero greci in Italia, come potevano esser greci quei siculi, che due secoli prima dell' incendio di Troia fabbricarono Ancona? I greci non vennero in questi luoghi se non più tardi; dopo, cioè, l' espulsione degli umbri, ch' eranvi sottentrati in luogo dei siculi: e dal tempo della greca invasione incominciarono ad aver tempio in Ancona anche le greche divinità. E quanto al nome di questa città, noterò esserle derivato dalla sua materiale posizione, la quale offre all'occhio una piegatura a foggia di gomito: ed dynov, nel greco idioma, gomito appunto significa.

Ancona nell' età del paganesimo adorò Venere qual sua prima tutelare divinità, ed avevale rizzato maestoso tempio sopra il più eminente suo colle; acciocchè, come di dea del mare e protettrice della navigazione; per lo che nominavanla anche Venere Euplea (4); i naviganti lo potessero scorgere di lontano, e a quella volta dirigere le loro preci alla diva. Ed era tanto celebre e ragguardevole questo tempio a lei dagli anconitani rizzato, che Catullo, nel suo epigramma contro gli annali di Volusio, non dubitò di porre il tempio di Venere anconitana al pari dei celebratissimi di Gnido, di Cipro, d' Idalio, di Golgo, d' Amatunta. Del qual tempio non esiste

(1) Ved. per tutte queste opinioni Evaristo Masi, nel suo Almanacchista anconitano del 1847, nella pag. 58.

(2) Lib. 1.

(3) Oggidì cardinale e vescovo d' Imola. (4) Ossia della buona navigazione.

oggidi veruna traccia; perchè, come osserva il diligentissimo Peruzzi (1), col dirupare per vasto scoscendimento il fianco del colle del Guasco, su cui esso innalzavasi, ne scomparvero eziandio le fondamenta. E ciò avveniva, secondochè affermano concordemente gli storici anconitani, in occasione di un terremoto nell' 853: ned è improbabile, che avanti un tale avvenimento gli anconitani abbiano adoperato molti dei marmi e delle pietre di quelle vecchie rovine, per fabbricare la seconda lor cattedrale su quel piano, dov'è tuttora l'odierna: piano alquanto più addietro dal mare, che non lo fosse il diroccato tempio, e verso la china del colle, che si piega anche adesso sulla sottoposta città.

Dopo Venere avevano in Ancona culto e templi Castore, Polluce, Nettuno: ma non ne rimasero sicure memorie. Bensi ne rimasero di Diomede, di Diana, di Bacco, di Mercurio, di Ercole; e rimasero nelle iscrizioni, che sussistono tuttavia, e che si ponno vedere nella III delle Dissertazioni anconitane del diligentissimo Peruzzi sunnominato (2); ma che io, per amore di brevità, credo bene di tralasciare.

E quanto alle vicende politiche di questa città, molte furono esse e brillantissime nella storia. Imperciocchè, dopo di essere stata colonia di Roma; non mai nè municipio, nè prefettura (5); fu dominata dai greci, ai quali s'era data spontaneamente; e coll' aiuto di questi e col valore dei suoi cittadini e col favore della sua posizione respinse gli attacchi degli eruli e dei goti, ne sostenne il vano assedio, cooperò al rovesciamento dei loro successi e die' principio alla loro totale rovina. Ancona in seguito si tenne fedele agl' imperatori di Oriente; governavasi con libere leggi e godeva particolari prerogative: faceva parte allora dell' esarcato di Ravenna. E sebbene essa, nel 569, abbia potuto resistere anche agli assalti dei longobardi; tuttavolta, mancati essendole gli aiuti imperiali, cadde nelle mani del re Agilulfo duca di Spoleto, il quale mandò a governarla un marchese; e allora fu, che il suo territorio assunse il nome di Marca. Dalla soggezione poscia dei marchesi liberatasi, quando Carlo Magno annientò il regno di Desiderio, ultimo dei longobardi; potè governarsi, come per lo addietro, colle proprie sue leggi, e finalmente intorno all' anno 745 si pose volontariamente sotto la protezione della Chiesa.

(1) La chiesa anconitana; dissert., ecc., part. 1. pag. 36; Ancona, 1845.

(2) Elogna, 1818, pag. 144-176.

(3) Peruzzi, Storia di Ancona, nel vol. x delle sue Opere complete, Bologna, 1847, pag. 33.

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