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Eppure molti giovani innamorati, quasi certi che il poeta dell' eterna prigione esser non possa il poeta degli amori, si astengono dal volgere l'occhio e l'animo al poema sacro, che fa pur sovente

Alla mensa d'amor cortesi inviti.

Purg. XIII. 27.

Che se per tradizione hannosi in alcun pregio le Rime del Cantore di Beatrice, voglionsi dir liriche anzichè amorose; siccome d'uomo, pel molto sapere, presuntuoso e schifo, che, a guisa di filosofo male aggraziato, non ben sapesse conversar con Amore.

Dante fu in vero, impaziente, animoso, e pertinace in opere appartenenti alle Parti così, che non gli era malagevole, se fosse stato bisogno, perdere beni e vita; e nutrissi egli in cuore cotesta indomita animosità fino alla morte. Ciò non contrasta a quanto ne giudicò Torquato nel I. Dialogo della Nobiltà. Dicendo che Dante « era uomo il quale faceva apertamente conoscere di parlare di scrivere e d'agire più per affetto, che per opinione», Torquato ne pinge un cuore molto suscettivo di subitane bensì ma ingenuè e vive passioni, ma governate sempre dalla più severa onestà, un cuore ardentemente libero, perchè fidato alla bontà del vero, e quindi nemico aperto della frode, e forse ancora della contraddizione. « Certo è,

pre

dice il chiarissimo Paolo Costa nella Vita, che in lui furono ardentissimi gli affetti; ma, per quanto è conceduto alla natura umana, rattemprati sotto l'impero della ragione. Da questi affetti semriaccesi nelle discordie civili, presero qualità le sue parole e i suoi versi. Non ultima fra le passioni sue fu quella d' amore, la quale per lui prese abito si gentile, che le amorose Canzoni, e le Prose del Convito, e della Vita Nuova gli animi giovanili stogliendo dall' appetito sensuale, gli accendono di amore casto e purissimo ». Se Francesco Stabili, conosciuto sotto nome di Cecco Ascolano, gli mosse vile e pazza guerra; aveva però dapprima ambita la sua amicizia ed ottenutala; e si fu per sola invidia, che in seguito cangiossi in suo morditore. Pare, che, se vero fosse quanto assevera il Pelli, essere cioè state le tristi, vicende, alle quali andò soggetto, conseguenza del suo inquieto e torbido genio; la storia n' avrebbe dato contezza d'alcuno altro suo contemporaneo venuto a nimicizia con lui, e provocato da' suoi supposti aspri modi in alcuno de' tanti luoghi da Ini visitati nella sua peregrinazione. Non erano già Ghibellini, com' egli, tutti que' Principi italiani, ai quali l'esilio, accompagnato sempre da ogni maniera di patimenti, il costringeva ad avere ricorso. Ebb' egli quindi a dire: « conciossiacosachè io mi sia quasi a tutti gl' Italici appresentato, fat

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to mi sono più vile forse, che 'l vero non vuole». Taluno però potrebb' anzi argomentare sottilmen te, ch' egli fosse in famigliarità ed in amorevo lezza di molti, anche solo in osservando, che di Durante, com' era suo nome, sempre fu detto Dante, con quel vezzo, con che di Guittoncino, diminutivo di Guittone, quegli de' Sinibuldi da Pistoja fu detto Cino. Ma già le altrui ingiustizie,

Calcando i buoni, e sollevando i pravi,

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giungono ad alterare in noi de bontà della stessa natura, e fanno inclinare a misantropia, almeno nell' apparenza de' costumi, i migliori amici dell'umanità: nè il buono Alighiero quindi seppe dissimulare l'odio fazionario, da cui finalmente fu il suo spirito amareggiato. E basti bene a provare, che sempre nobile si fu la sua alterezza, il non aver egli voluto, al prezzo di comparire col→ pevole, nè il retaggio paterno, nè la patria pur tanto da lui lacrimata. Si contentò più presto di girne ramingo, ed incerto dove posar le sue ossa, che vivere agiato, col dichinare a viltà.

Dante parve disdegnoso anche perchè non seppe dissimulare, come conoscesse i proprj meriti, e i diritti reali, che aveva alla pubblica stima, er quindi come a fronte degli altri sentisse altamen

te di sè. Quando si trattò d''inviarlo a Bonifazio

VIII, mentre pur era de' Priori, disse agli amici s' io vo, chi resta? e se io resto, chi va? Ma queste parole, che imputar voglionsi ad arroganza, potrebbonsi meglio attribuire alla conoscenza delle proprie virtù, ed a' sentimenti di carità e di fede verso la patria. Nessuno può revocare in dub→ bio, che governando lo Stato coll'autorità de' Priori, magistrato supremo nella Repubblica, benchè appena dal 15 di giugno al 15 d'agosto, essendo Gonfaloniere Fazio da Micciola, portato non si fosse molto sinceramente, e con ogni grandezza d'animo. Dante sembra orgoglioso, quando invoca la propria mente, come la migliore Deità, che possa venirgli al soccorso in tanta impresa; ma prova in effetto poi con quanta maggior ragione la invochi egli,

Che sopra gli altri com' Aquila vola,

Inf. IV. 96.

di quella che abbiansi tant' altri poeti nell' invo→ care la Musa. Nel decimoterzo Canto del Purgatorio, trovandosi tra gl' invidiosi, dice: qui pure a me saranno cuciti gli occhi, ma per poco tempo, perocchè poca è l'offesa da me fatta a Dio col mirare invidiosamente l' altrui bene. Maggiore assai è la paura del tormento, che si dà ai superbi nel balzo inferiore, per cui l'anima mia è in apprensione talmente, che già fin d'ora parmi d' avere indosso i pietroni di laggiù,

Troppa è più la paura ond' è sospesa
L'anima mia del tormento di sotto:
Che già lo 'ncarco di laggiù mi pesa.

Purg. XIII. 136.

Ma domandato nel Canto susseguente da Messer Guido del Duca da Brettinóro e da Messer Rinieri da Calboli di Romagna a dir chi egli si fos se, risponde modestissimo :

Dirvi chi sia, saria parlare indarno;

Chel nome mio ancor molto non suona.

Purg. XIV. 20.

» Dante, scrive il Doni nella Zucca, che ragionò di cose si profonde e si alte, non pose un nome altissimo al suo libro, come sarebbe stato, Idea della Divinità, dove si dà cognizione dei Cieli e degl' Inferni del mondo: anzi disse Commedia ; alla barba di coloro, i quali d' una semplice imbrattatura di quattro fogli fanno una macchina più alta, che la torre di Nembrotto ».

Dante, comechè di mezzana statura, uomo essendo di valide membra, di volto lungo, di grandi occhi ed acuti, di naso aquilino, e di larghe mascelle, col labbro inferiore sporto e più grosso che quello di sopra, e di color bruno con barba e capegli crespi e spessi, attirava a sè gli sguardi curiosi de' circostanti. Camminava egli grave e mansueto, d'onestissimi panni vestito. Franco Sacchetti,

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