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sua età». Il Petrarca fece molto studio sopra quelle rime, e ne imitò parecchi concetti ed assai guise di dire. Ma dai varj modi negli scritti del Petrarca e del Dante simiglianti puossi poi dedurre, che nè l' uno nè l' altro sdegnasse d'imitare i Trovatori provenzali, de' quali possedevano entrambi la lingua. Abbiamo bensì poesie provenzali anteriori di due secoli ai tempi di Dante; ma la poesia provenzale non cominciò ad essere conosciuta e protetta in Italia, se non dopo la metà del secolo decimosecondo. Il più antico Italiano, che poetasse in provenzale, al riferire del Tiraboschi, fu il Marchese Alberto Malaspina. Nel Canto vigesimosesto del Purgatorio Dante si fa dire dal bolognese Guido Guinicelli, che in Pro venza, non già in Italia, era chi poteva dirsi per fetto fabro del materno parlare e questi era Ar naldo, il quale

Versi d'amore e prose di romanzi

Soverchio tutti

Purg. XXVI. 118.

Così mostrò Dante la miglior condizione, in che stavasi la provenzale eloquenza, e volle significa re, essersi gl' italiani poeți perfezionati coll' imitare i provenzali.

Fra tutti il primo Arnaldo Daniello
Gran maestro d' amor.

tale nel Trionfo lo appella il Petrarca, non già perchè insegnasse, come Ovidio, l'arte d'amare; ma perchè fu maestro di comporre versi amorosi in sua favella. Ottennero poi nome di buoni Trovatori anche diversi Italiani, tra' quali furono i più famosi il nostro Sordello, Bartolommeo Giorgi di Venezia, e Bonifazio Calvo di Genova. Fu bensì detto de' Trovatori, che altra occupazione non avendo, oltre quella d'amare e di cantare, amando e cantando impazzavano: onde parrebbe, che non male si convenisse loro l'appellazione di Giullari. L'Abate Gio. Andres diede anzi uno assai svantaggioso giudicio delle loro poesie; e il Tiraboschi, nel riferirlo, soggiunge, che niuno potrà rimproverare all' Andres una cieca prevenzione contro di essi. Ma noi siamo in grado di rispondere, che udimmo ancora quel dottissimo Gesuita Spagnuolo, allo intendere declamati qui dall' Abate Saverio Bettinelli, da Clemente Bondi, dal Marchese Federico Cavriani, e da altri intendenti, nelle nostre Virgiliane adunanze presso il sempre benemerito delle mantovane lettere Conte Girolamo Murari Dalla Corte, alcuni fra' più lodati Sonetti del Petrarca, domandare ironicamente sommesso e soave; che ha detto? che cosa ha detto?

Nella poesia de' Trovatori non riscontrasi alcun vestigio della greca o della latina, a cagione che essi, senz' aver mai conosciuti e gustati i Lirio

antichi, trassero il gusto loro per la poesia dagli Arabi, ai quali piacquero primamente le narrazioni delle galanti o cavalleresche avventure; e poscia col proprio poetico istinto inventarono quelle lor forme armoniose, e quella prodigiosa varietà di composizioni. Il Ginguené manifesta un rin-` crescimento per noi lusinghiero, perchè al Tasso, dipintore fedele de' costumi della cristiana Cavalteria, non sia caduto in pensiero di collocare tra i guerrieri di Goffredo alcun Femio od alcun Jopa provenzale; mentre col suo genio sublime avrch be saputo desumerne assai buon partito pel suo poema, e tramandarne nobilitati i pensamenti la favella poetica di que' fantastici tempi. L'abito ne' Provenzali di cantar cose veridiche e sentite fece si, che poterono somministrarne molti lumi intorno ai varj fatti delle loro età, lo che indarno rintracciar vorranno nelle nostre poetiche menzogne coloro,

Che questo tempo chiameranno antico.

Par. XVII. 120.

1 Provenzali d'altronde nascondevano gentilmente ogni lascivia d'affetti: nelle loro carte bramosia d' onore, più che altro, mostravano; e dicevano, che Amore vuol castità, e per castità è benivolo. L'uno diceva: come il sole fa, che gli alberi producano frutto; così voi siete in me cagione, che

la virtù mi piaccia. L'altro: mi manchi '1 vente in mare; nella battaglia sia pur io il primo a fuggire, se non mentì colui, che accusommi presso di voi. << A che mi vagliono gli occhi miei, scriveva il nostro bravo Sordello, se non veggono colei ch' io bramo, ora che la stagione si rinnovella, e che la natura s' adorna di fiori? Frattanto io mi muojo, perocchè io amo assai la donna de' miei piaceri, e tanto raramente la veggo: a che mi valgono gli occhi miei»?

Dante prese quindi a chiamar Beatrice sua sain lute, sua beatitudine, e ad affermare, che, vista de' suoi nuovi e laudevoli portamenti, certo di lei si potevan dire le parole d' Omero: ella non sembra figliuola d'uom mortale, ma d'alcuna divinità. Avendo finalmente diverse persone svelató il segreto del suo cuore, una femmina così lo richiese : a che fine ami tu questa donna, poichè tu non puoi sostenere la sua presenza? Dilloci, poichè 'l fine d'un cotale amore conviene essere novissimo. Le rispose egli, che la beatitudine di tutti i suoi desiderj dimorava nel saluto della sua donna; e che quando a lei piacque ancora di negargli il saluto, la sua beatitudine consisteva nelle parole che lodavano la detta donna. E quindi si propose di prendere per materia di suo parlare sempremai ciò che fosse lode di quella gentilis sima, e compose la canzone:

Donne, che avete intelletto d'amore,.
lo vo' con voi de la mia Donna dire:
Non perch' io creda sua lode finire,
Ma ragionar per isfogar la mente:
Io dico, che pensando il suo valore,
Amor si dolce mi si fa sentire,
Che, s'io allora non perdessi ardire,
Farei parlando innamorar la gente:
Ed io non vo' parlar sì altamente,
Ch' io divenissi per temenza vile:
Ma tratterò del suo stato gentile,
A rispetto di lei leggieramente,
Donne, e Donzelle amorose con vui,'
Che non è cosa da parlarne altrui. ece...

3

Dante andava affermando, che quando Beatrice gli appariva, tale una fiamma di carità lo giungeva, che gli facea perdonare a chiunque lo avesse offeso; e udivasi asseverare, che chi aveva parlato una volta con lei, non poteva più finir malamente. Ecco le sue stesse parole: «Questa gentilissima donna venne in tanta grazia delle genti, che quando passava per via, le persone correvano per vedere lei; onde mirabile letizia me ne giugnea: e quando ella fosse presso d' alcuno, tanta onestà venia nel cuor di quello, ch' egli non ardiva di levar gli occhi, nè di rispondere al suo saluto; e di questo molti, siccome esperti, mi po

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