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<< tie et autoritadi, le quali furono molto com

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<< mendate da' savi intenditori. Et fece la Come<< dia, ove in pulita rima, et con grandi que«<stioni morali, naturali, astrologhe, philosophiche, et theologiche, et con belle compara<< tioni et poetrie compose, et trattò in cento Capitoli ovvero Canti dell'essere et stato del« l'Inferno et Purgatorio et Paradiso così alta« mente, come dire se ne possa, siccome per lo << detto suo trattato si può vedere, et intendere, «< chi è di sottile intelletto. Bene si dilettò in quella Comedia di garrire, et sclamare a guisa di Poeta, forse in parte più che non convenia, ma forse il suo esilio li fece fare ancora << la Monarchia, ove con alto latino trattò dello « Officio del Papa e degl' Imperadori. Et comin« ciò uno Comento sopra 14 delle sopradette << sue Canzoni morali volgarmente, il quale per « la sopravvenuta morte non perfetto si trova, « se non sopra le tre, la quale per quello, che si vede, grande et alta et bellissima opera ne « riuscia, però che ornato appare d'alto dittato « et di belle ragioni philosophiche et astrologi«< che. Altresì fece un libretto, che l'intitolò di Vulgari Eloquentia, ove promette fare quattro libri, ma non se ne trova se non due, forse << per la affrettata sua fine, ove con forte et

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<< adorno Latino et belle ragioni riprova tutti i vulgari d'Italia. Questo Dante per suo sapere « fu alquanto presuntuoso et schifo et isde«gnoso, et quasi a guisa di Philosopho mal gratioso non bene sapeva conversare co' Laici, «ma per l'altre sue virtudi et scientia et valore «< di tanto Cittadino ne pare, che si convenga << di darli perpetua memoria in questa nos<< tra Cronica, con tutto che per le sue nobili « opere lasciate a noi in iscritture facciasi di lui vero testimonio et honorabile fama alla « nostra Città.» La taccia d'uom troppo libero nel favellare e di costumi alquanto aspri e spiacevoli gli si appone ancora da Domenico d' Arezzo e da Secco Polentone (Ap. Mehus l. c. p. 169. 175). Al qual carattere Benvenuto da Imola aggiugne (l. c. p. 1209) quello di una singolar astrazione di mente, allorquando immergevasi nello studio, e ne reca in pruova ciò che gli avvenne in Siena, ove essendosi abbattuto a trovar nella bottega di uno speziale un libro da lui fin allora inutilmente cercato, appoggiato a un banco si pose a leggerlo con tale attenzione, che da nona sino a vespero si stette ivi immobile, senza punto avvedersi dell' immenso strepito che menava nella contigua strada un accompagnamento di nozze, che di colà venne a passare.

Il Villani nel passo da me recato ci parla di quasi tutte l'opere che ci son rimaste di Dante. Io non farò che accennare le più importanti notizie intorno alle altre, per istendermi alquanto più su quella a cui sola egli è debitore del nome di cui gode tuttora fra' dotti. La Vita nuova è una storia de' giovanili suoi amori con Beatrice, frammischiata a diversi componimenti che per essa compose. Il Comento su quattordici sue canzoni, di cui parla il Villani, è quella opera che vien detta il Convivio, la qual però fu da lui lasciata imperfetta, poichè non comprende che tre sole canzoni col lor comento. Il libro de Monarchia fu da lui scritto in latino, e in esso prese a difendere i diritti imperiali, e scrisse perciò di essi e dell'autorità della Chiesa, come poteva aspettarsi da un Gibellino, che dal contrario partito riconosceva il suo esilio e tutte le sue sventure. In latino pure egli scrisse i libri de Vulgari Eloquentia, i quali, essendo dapprima usciti alla luce solo nella lor traduzione italiana, furon creduti supposti a Dante; nè si riconobbero come opera di lui, se non quando ne fu publicato l' original latino in Parigi nel 1577. Abbiamo ancora di Dante la traduzione in versi italiani de' Salmi Penitenziali, del Simbolo Apostolico, dell' Orazione Domenicale e

di altri simili cose sacre; le quai poesie, troppo diverse della Divina Commedia, sono state di nuovo date alla luce dall' abate Quadrio l'anno 1752. Delle quali opere, e di alcune contese, a cui esse han data occasione, delle lettere scritte da Dante, delle poesie italiane e latine, e di una canzon provenzale che di lui abbiamo, veggansi le tante volte lodate Memorie del sig. Pelli (S. 17 e 18.); a cui però io debbo aggiugnere che le poesie sacre che vanno unite a' Salmi Penitenziali tradotti da Dante, credonsi dal celebre Apostolo Zeno non già di Dante, ma o di Antonio dal Beccaio Ferrarese, o di qualche altro poeta contemporaneo del Petrarca (Lettere t. 1. p. 91.) Io passo senz'altro a dire del gran lavoro a cui egli volle dare il nome di Commedia, Essa è, come è noto ad ognuno, la descrizione di una visione, in cui finge di essere stato condotto a veder l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. E checchessia del tempo in cui ei la scrivesse, di che si è detto poc' anzi, è certo ch' ei finge di averla avuta l'anno 1300 dal lunedì santo fino al solenne giorno di Pasqua, come dai vari passi di essa raccogliesi chiaramente. Per qual ragione ei volesse così chiamare un'opera a cui pareva che tutt' altro titolo convenisse, si è lungamente e nojosamente disputato da molti.

La più probabile origine di questo nome a me sembra quella che si adduce dal marchese Maffei, e prima di lui era stata recata da Torquato Tasso (V. Pelli §. 17.), cioè che avendo Dante distinti tre stili, il sublime da lui detto tragico, il mezzano ch'ei chiamò comico, e l'infimo ch'ei disse elegiaco, diede il titolo di Commedia al suo poema, perchè ei si prefisse di scriverlo nello stile di mezzo. Ma non così ne han giudicato i più saggi discernitori del bello e del sublime poetico, che han rimirato e rimiran tuttora la Commedia di Dante, come uno de' più maravigliosi lavori che dall' umano ingegno si producesser giammai. Lasciamo stare l'erudizione per quei tempi vastissima, che vi s'incontra, per cui Dante è stato detto a ragione profondo teologo non meno che filosofo ingegnoso, poichè egli mostra di aver appreso quanto in quelle scienze poteasi allora apprendere, e consideriamo la Commedia di Dante solo in quanto ella è poesia. Io so che essa non è nè commedia, nè poema epico, nè alcun altro regolare componimento. E qual maraviglia s'essa non è ciò che Dante non ha voluto che fosse? So che vi si leggon sovente cose inverisimili e strane; che le imagini sono talvolta del tutto contro natura; ch' ei fa parlare Virgilio in

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