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insulto conchiude: il faut avouer, qu'il y a dans votre littérature des choses singulières, et tout-àfait inconcevables (p. 514). A me sembra però, ch'ei non avesse a maravigliarsi cotanto che gl' Italiani non avesser parlato di questa lettera che non si trova che nella edizione assai rara del 1601, e in cui Dante non è espressamente nominato. Io non ho veduta questa edizione, nè posso perciò giudicare se questa lettera sia veramente secondo lo stil del Petrarca, poichè lo scrittor francese non ce l'ha data che in francese. Ma io confesso che incontro in essa qualche difficoltà, la quale vedrei volentieri sciolta dall'ab. de Sade. Io lascio da parte una contraddizione in cui cade il Petrarca, s' egli è autor della lettera, poichè dopo aver detto che i suoi proprj versi italiani sono abbandonati al popolo, il quale gli sfigura cantandoli, poco appresso dice ch'ei non invidia a Dante gli applausi del volgo, de' quali gode di essere privo con Virgilio e con Omero. Lascio quel vantarsi ch' ei fa di aver voluto essere scrittor originale, il che non mi pare proprio del pensar del Petrarca ch'è sempre modesto nel parlar di se stesso. Ma due errori io trovo in questa lettera, i quali non so persuadermi che si potessero commettere dal Petrarca. Si dice in essa che il padre del

Petrarca e Dante furono nel medesimo giorno cacciati da Firenze. Or i monumenti autentici, citati dal Pelli, mostrano, che Dante fu esiliato a' 27 di Gennajo del 1302, e il padre del Petrarca, come confessa lo stesso ab. de Sade (t. 1. p. 13), non fu condennato che a' 20 d'Ottobre dello stesso anno. Più grave ancora è il secondo. In questa lettera si dice che il padre del Petrarca era più giovin di Dante. Or checchè ne dica l'ab. de Sade (ib. p. 12 54 ec.), è certo ch' egli era più vecchio. Pruova convincentissima ne è una lettera del Petrarca a Guido da Settimo, scritta, come confessa lo stesso ab. de Sade (t. 2.p.671), l'anno 1361, poichè in essa fa menzione del tremuoto ch'ei sentì in Verona vent'anni addietro, che fu appunto nel 1347. Or il Petrarca narra in questa lettera un viaggio che egli con suo padre, con un zio paterno di Guido e con Guido medesimo avea fatto al Fonte di Sorga, mentre egli insieme con Guido studiavan gramatica: in illo surgentis aevi flore.... quem grammaticorum in stramine..... egimus (l. 10. Senil. ep. 2.): il che si dee riferire circa all'anno 1316 in cui il Petrarca contava dodici anni di età. Questi aggiugne che suo padre e il zio di Guido avevano a quel tempo che aveano al presente

quell' età a un di

presso

egli e Guido; e come il Petrarca nato nel 1304 contava, mentre scriveva tal lettera, cioè nel 1367, sessantatre anni d'età, così è evidente che verso il 1316 il padre del Petrarca avea egli pure circa sessantatre anni, mentre Dante nato nel 1265 appena avea passati i cinquanta. Come dunque potea scrivere il Petrarca, che suo padre era più giovin di Dante? È egli possibile che l'ab. de Sade, osservator sì minuto dell'opere del Petrarca, non abbia a ciò posto mente? Nè io perciò ardisco decidere che la riferita lettera sia supposta; ma desidero solo che l'ab. de Sade sia alquanto più ritenuto nell' insultare agli Italiani, perchè non abbian parlato di una lettera, della cui sincerità essi potean dubitare non senza qualche ragione. Ma rimettiamoci in sentiero, e torniamo a' comentatori di Dante. Già abbiamo parlato della traduzione che Alberigo da Rosciate fece in lingua latina del Comento di Jacopo dalla Lana, cui anche stese ed ampliò maggiormente. Il Boccaccio ancora, Benvenuto da Imola, Francesco da Buti scrisserd in questo secolo dichiarazioni e comenti; ma questi appartengono a un'altra classe d'interpreti de' quali ora ragioneremo.

Era sì grande il concetto in cui aveasi Dante, che si crede opportuno l'aprire in Firenze

una cattedra in cui questo autore si spiegasse a comun vantaggio publicamente. Ne fu fatto decreto a' 9 di Agosto del 1373, e il Boccaccio essendo stato a ciò destinato coll' annuo stipendio di 100 fiorini ( Manni Stor. del Decam. par. 1. c. 29), egli a'3 d'Ottobre dell'anno medesimo nella chiesa di s. Stefano presso il Ponte Vecchio, cominciò a tenere le sue lezioni; all' occasion delle quali egli scrisse il suo Comento su Dante, ch'è poi stato stampato, e di cui parla, oltre il conte Mazzucchelli, anche l'ab. Mehus (l. c. p. 181). Il decreto era stato fatto sol per un anno; ma l'applauso che cotai lezioni ottenevano, fece che dopo la morte del Boccaccio, avvenuta l'anno 1375, alcuni altri fossero nominati a tal cattedra; e il canon. Salvino Salvini, che eruditamente ha raccolto ciò che a questo argomento appartiene (Fasti Cons. dell' Accad. Fior. pref. p. 12), nomina Antonio Piovano che leggeva Dante nel 1381, e Filippo Villani già da noi nominato fra gli storici di questo secolo, che fu a ciò destinato nel 1401. Bologna imitò presto l'esempio di Firenze, e Benvenuto de' Rambaldi da Imola, da noi nominato più volte, vi fu chiamato a legger Dante, e dieci anni vi si trattenne, come poc' anzi si è detto; alla qual lettura noi dobbiamo l'ampio Comento

che su quest'autore egli scrisse, di cui il Muratori ha dati alla luce que' tratti (Antiq. Ital. t. 1.) che giovano ad illustrare la storia. Da un di essi sembra raccogliersi ch'ei lo scrivesse nel 1389, perciocchè, parlando del Campidoglio, dice (ib. p. 1070): Sed proh dolor! istud sumptuosum opus destructum et prostratum est de anno præsenti 1389 per populum Romanum. E così veramente si legge nel codice MS. che ne ha questa Biblioteca Estense. Ma l'ab. Mehus riflette (p. 182), che in un codice della Laurenziana si legge MCCCLXXIX, e così veramente mi sembra che debba leggersi, poichè in quest'anno i Romani espugnarono il Campidoglio occupato fin allora da' fautori dell' antipapa Clemente. È certo però, ch'ei vi leggeva Dante fino dal 1375, poichè ei dice che avendo scoperto un grave disordine in quella università in MCCCLXXV, dum essem Bononiæ, et legerem istum librum (l. cit. p. 1063), ne diede avviso al cardinal di Bourges legato, il quale in quest'anno appunto ebbe il governo di Bologna (Ghirardacci t. 2. p. 333). Ei dedicò il suo Comento al marchese Niccolò II d'Este, da cui dice di essere stato consigliato a distenderlo e a publicarlo. Anche in Pisa fu istituita la lettura di Dante, ed essa fu data, circa il 1385 a Francesco di Bartolo da

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