D'un sol colpo fortuna ove fa guerra, E sol pianto e miseria alberga in terra! Che dovea far? donde sperar pietade ? Donde attender soccorso orbato e solo De l'uno e l' altro mio dolce parente? Io che bisogno avea di scorta al volo, L'altrui regger convenni, e 'n verde etade Vestir puro fanciul canuta mente. Onde le luci intente Portai sempre a fuggir le reti e 'l visco: E s'a lor pur piegai, grazia celeste Mi fe' l'ali a scamparne accorte e preste Membrando in ogni risco Quel che tu presso a morte in me si pio Alto martir premei nel saggio core, Indi con santo ardore La tua pietate, in me le luci fisse, Queste parole in mezzo 'l cor mi scrisse: Figlio, se questo è pur l'estremo passo De la mia vita, ond' io son sazio e stanco, Se non per voi, miei cari pegni e spene; Cedi al voler divin, cedi al crin bianco, E morte scusa in me, se 'l corpo lasso Vincendo omai, l'usato stil mantiene. Ecco pronta al tuo bene Volto sempre puro cui t'ho messo. Per me la madre tua fidata e pia. Tu fa del suo voler legge a te stesso, al cammin per E poi che l'alma fia Sciolta da me, di ardor ripieno Prega il Signor che la raccolga in seno. Ciò detto a pena, a la già fredda lingua Eterno pose, oimè, silenzio, silenzio, e i lumi Per non aprirgli più mancando chiuse. Fia mai giusto dolor ch' altrui consumi, Del mio più acerbo? o lume altro s'estingua Di chiare doti in più degn' alma infuse? Caro a Febo, a le Muse, Caro de le virtuti al santo coro Spirto d'ogni valor ricco e fecondo, Che'l soverchio mio duol tronca il tuo vanto! Ma sempre almen t'onorerò col pianto. Canzon, vattene in cielo Su l'ali che'l desio veloce spiega; Che del duolo ond' io sento il cor piagarmi, Raccolta di Lirici. 8 ORSATTO GIUSTINIANO. SONETTO IN DIALOGO. Occhi, perchè sì lieti oltre l'usato Orecchie, a che desir tanto v'è nato Farci tosto messagge al cor beato. Piedi, ond'è che si pronto avete il passo? Perchè n' andremo a quelle luci sante, Ch'avrian virtù di far movere un sasso, Ma tu, Cor, perchè vai così tremante EPOCA QUINTA. LIRICI DEL SECOLO XVII. GIOVAMBATISTA MARINI و Napolitano, di vivacissimo e sublime ingegno: ma, come dice il Crescimbeni, ribelle del passato secolo, e vago di farsi capo della nuova volgar poesia, fu uno de' primi a scuotere il giogo delle buone regole, e ad abban donare la vera e bella Natura. Da lui perciò ebbe più che da altri originé quel cattivo gusto, che pur troppo in questo secolo tutta infettò l'Italia. Concetti rigogliosi e bizzarri antitesi di troppo ricercate, iperboli ardite è stravaganti, uno stile ripieno di fiori, e vuoto di pensieri: ecco il carattere della nuova scuola. Faccia Apollo, che il presente secolo non abbia ad essere infettato da un simile gusto, che già minaccia pur troppo di ripullulare nella nostra Italia! I versi del Marini lasciano nondimeno travedere, ch'egli avrebbe potutó andar del pari co' più grandi poeti, se troppo non fosse stato amante della novità e della smoderata licenza. Condusse una vita felicissima sino alla sua morte, che seguì in Napoli nel 1625. Il Marini si rese col suo Adone assai caro agli Oltremontani. Ecco la ragione per cui essi si stranamente giudicano talvolta dell' italiana poesia. Il celebre Baretti ha sovente osservato che alcuni anche de' loro Critici più famosi giudican essere tutta la poesia italiana un tessuto di ricercati concetti, di antitesi e di bizzarrie, appunto perchè tale hanno trovato lo stile di molti altri Poeti di questo secolo da loro specialmente conosciuti. Strana maniera di giudicare! SONETT O. Ecco il monte, ecco il sasso, ecco lo speco, Che 'l Pescator, che già solea nel canto Girsen si presso al gran pastor di Manto, Presso ancor ne la tomba accoglie seco. Or l'urna sacra adorna e spargi meco, Craton, fior da la man, da gli occhi pianto; Chè del Tebro, e de l'Arno il pregio e'l vanto In quest' antro risplende oscuro e cieco. Pon mente, come (ahi stelle avare e crude!) Piange pietoso il mar, l'aura sospira Là dove il marmo avventuroso il chiude. Fan nido i Cigni entro la dolce lira, |