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CANZON E.

Gira a l'Adria incostante, Ercole, il ciglio;
Che di Corte real vedrai lo stato,

E fin ch'hai tempo, e che'l permette il Fato,
De le fortune tue prendi consiglio.
Non ti fidar di calma. In un sol giorno
Scherza ne l'acque, e vi s' affonda il pino;
E tal ricco di merci è sul mattino

Che nudo era la sera a i lidi intorno.
Grazia di regio cor gran lume spande,
Ma la luce ch' apporta è poco lieta;
E come raggio di mortal Cometa
Tanto minaccia più quanto è più grande.
Compagno è'l precipizio a la salita,
E van quasi del par ruina e volo;
Molti gl' Icari son, ma chi d'un solo
Dedalo i vanni in questo Ciel m' addita?
Vide la Gallia i suoi Seiani, e vide

Anco l'Iberia i suoi: ma se più presso
Volgi lo sguardo, in questo lido istesso
Più d'un ve n'ha che fra suo cor non ride.
O di sincero amor, e di fe rara

Non volubile esempio, odi i miei detti;
E del vulgo profano i bassi affetti
A calpestar da queste voci impara.
Non aura popolar che varia, ed erra,
Non folto stuol di servi e di clienti,
Non gemme accolte, o cumulati argenti
Petto mortal pon far beato in terra.
Beato è quei che in libertà sicura

Povero, ma contento i giorni mena,
E che fuor di speranza, e fuor di pena
Pompe non cerca, e dignità non cura.

Pago di sè medesmo, e di sua sorte
Ei di nemica man non teme offesa,
Senza ch' armate schiere in sua difesa
Stian de l'albergo a custodir le porte.
Innocente di cor, di colpe scarco,
Ei non impallidisce, e non paventa
Se tuona Giove, o se saette avventa
Del giusto Ciel l'inevitabil arco.
Segga chi vuol de' sospirati onori
Su le lubriche cime: offrirsi veggia
Quanti colà, dove l'Idaspe ondeggia,
Per la spiaggia Eritrea nascon tesori.
A me conceda il faretrato Apollo
Che da la Corte a solitaria riva
Io passi un giorno, e là felice i' viva
Col plettro in mano, e con la cetra al collo.
E poi che pieno avrà con la man cruda
Il fuso mio l' inesorabil Cloto

Rustico abitator a tutti ignoto

Se non solo a me stesso i miei di chiuda.

FRANCESCO REDİ

Aretino, e primo medico de' gran Duchi Ferdinando II. e Cosimo III. Fu membro di varie Accademie; e co' bei codici toscani da lui raccolti giovò non poco a perfezionare l'edizione del Vocabolario della Crusca, pubbli cato nel 1691. Nella medicina, e nella storia naturale egli formò una specie di fortunata rivoluzione. Il suo nome perciò fa epoca nella Storia dell'italiana letteratura. Morì di mal caduco in Pisa nel 1698. El autore del famoso Ditirambo Bacco in Toscana. I suoi Sonetti nulla fanno sentire del cattivo gusto del

secolo.

SONETTO.

Donne gentili devote d'Amore,

per

Che la via de la pietà passate, Soffermatevi un poco, e poi guardate, Se v'è dolor, che agguagli il mio dolore. De la mia Donna risedea nel core, Come in trono di gloria alta onestate; Ne le membra leggiadre ogni beltate, E ne' begli occhi angelico splendore: Santi costumi, e per virtù baldanza, Baldanza umíle, ed innocenza accorta, E fuor, che in ben oprar, nulla fidanza. Candida fe, che a ben amar conforta, Avea nel seno, e ne la fe costanza: Donne gentili, questa Donna è morta.

SONETT a

Chi è costei, che tanto orgoglio mena,
Tinta di rabbia,, di dispetto e d'ira
Che la speme in Amor dietro si tira
E la bella pietà strette in catena?
Chi è costei, che di furor sì piena
Fulmini avventa, quando gli occhi gira,
E ad ogni petto, che per lei sospira,
Il sangue fa tremar dentro ogni vena?
Chi è costei, che più crudel, che morte,
Disprezzando ugualmente uomini, e Dei,
Move guerra del Ciel fin sulle porte?
Risponde il crudo Amor: Questa è colei,
Che per tua dura inevitabil sorte,
Eternamente idolatrar tu dei.

SONETT O.

Ameno è 'l calle, e di bei fiori adorno,
Che guida a l'antro del gran mago Amore:
Spiranvi ognor soavità d'odore

Aurette fresche a più d'un fonte intorno.

Ma giunto appena a quel mortal_soggiorno,
O volontario, o traviato un core,
E la noja vi trova ed il dolore,
E colla noja e col dolor lo scorno.

Lamie, Strigi, Meduse, Arpie, Megere
Se gli avventano al crine, e in sozzi modi
Lo strazian sì, che forsennato ei pere;

E s'ei non pere, con incanti, e nodi
Lo costringono a gir tra l'altre fiere
Ne' boschi a ruminar l' empie lor frodi.

CARLO MARIA MAGGI

Milanese, Accademico della Crusca, tra gli Arcadi Nicio Meneladio, sostenne la cospicua carica di Segretario del Senato di Milano. Mori in patria ai 22. d'Aprile 1699. e fu sepolto in S. Nazzaro. Veggasi la vita che ne scrisse il Muratori. E celebre più per le rime in dialetto milanese, che per le toscane.

SONETTO

Mentre aspetta l'Italia i venti fieri,
E già mormora il tuon nel nuvol cieco,
In chiaro stil fieri presagi io reco,
E pur anco non desto i suoi nocchieri.
La misera ha ben anco i remi interi,
Ma fortuna e valor non son più seco;
E vuol l'ira crudel del destin bieco,
Ch'ognun prevegga i mali, e ognun disperi.
Ma purchè l' altrui nave il vento opprima,
Che poi minacci a noi, questo si sprezza,
Quasi sol sia perire il perir prima.
Darsi pensier de la comun salvezza
La moderna viltà periglio stima,
E par ventura il non aver fortezza.

SONETTO.

Lungi vedete il torbido torrente,

Ch'urta i ripari, e le campagne inonda, E de le stragi altrui gonfio e crescente, Torce su i vostri campi i sassi e l'onda. E altri di voi sta negligente pur

Šu i disarmati lidi, altri il seconda, Sperando, che in passar l'onda nocente, Qualche sterpo s'accresca a la sua sponda. Apprestategli pur la spiaggia amica; Tosto piena infedel fia, che vi guasti I nuovi acquisti, e poi la riva antica. Or che oppor si dovrian saldi contrasti, Accusando si sta sorte nemica :

Par che nel mal comune il piagner basti.

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