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Vano error vi lusinga:

si dipinga?

Poco vedete, e parvi veder molto:
Che 'n cor venale amor cercate, o fede.
Qual più gente possede,

Colui è più da suoi nemici avvolto.
O diluvio raccolto

Di che deserti strani

Per inondar i nostri dolci campi.
Se da le proprie mani

Questo n'avvien, or chi fia, che ne scampi? Ben provide Natura al nostro stato,

Quando de l'alpi schermo,

Pose fra noi e la tedesca rabbia.

Ma'l desir cieco, e'ncontra 'l suo ben fermo

S'è poi tanto ingegnato,

Ch' al corpo sano ha procurato scabbia.
Or dentro ad una gabbia

Fere selvagge, e mansuete gregge

S'annidan sì, che sempre il miglior geme;

Ed è questo del seme,

Per più dolor, del popol senza legge;

Al qual, come si legge,

Mario aperse sì'l fianco,

Che memoria de l'opra anco non langue,

Quando assetato e stanco,

Non più bevvè del fiume acqua, che Cesare, taccio, che per ogni piaggia Fece l'erbe sanguigne

sangue.

Di lor vene, ove 'l nostro ferro mise.
Or par, non so perchè, stelle maligne,
Che'l Cielo in odio n'aggia.

Vostra mercè, cui tanto si commise
Vostre voglie divise

Guastan del Mondo la più bella parte.

Qual colpa, qual giudicio, o qual destino,
Fastidire il vicino

Povero; e le fortune afflitte e sparte
Perseguire, e 'n disparte
Cercar gente, e gradire,

Che sparga'l sangue, e venda l'alma a prezzo?
I parlo per ver dire,

Non per odio d' altrui, nè per disprezzo.
Ne v'accorgete ancor per tante prove
Del Bavarico inganno,

Ch' alzando 'l dito con la morte scherza.
Peggio è lo strazio, al mio parer, che il danno.
Mal vostro sangue piove

Più largamente, ch'altr' ira vi sferza.
Da la mattina a terza

Di voi pensate, e vederete come
Tien caro altrui, chi tien se così vile.
Latin sangue gentile,

Sgombra da te queste dannose some;
Non far idolo un nome

Vano senza soggetto;

Che'l furor di là su gente ritrosa

Vincerne d' intelletto

Peccato è nostro, e non natural cosa Non è questo 'l terren, ch'i' toccai pria ? Non è questo il mio nido,

Ove nodrito fui si dolcemente?

Non è questa la patria, in ch' io mi fido, Madre benigna e pia,

Che copre l'uno e l'altro mio parente?

Per Dio, questo la mente

Talor vi mova; e con pietà guardate

Le lagrime del popol doloroso,

Che sol da voi riposo

Dopo Dio spera; e pur che voi mostriate

Segno alcun di pietate;
Virtù contra furore

Prenderà l'arme ; e fia 'l combatter corto;
Chè l'antico valore

Ne gl' Italici cor non è ancor morto.
Signor, mirate come 'l tempo vola,
E sì come la vita

Fugge, e la morte n'è sovra le spalle;
Voi siete or qui, pensate a la partita;
Che l'Alma ignuda e sola

Convien, che arrive a quel dubbioso calle.
Al passar questa valle

Piacciavi porre giù l'odio e lo sdegno,
Venti contrari a la vita serena:

E quel, che 'n altrui pena

Tempo si spende, in qualche atto più degno, O di mano o d' ingegno,

In qualche bella lode,

In qualche onesto studio si converta :
Così qua giù si gode;

E la strada del Ciel si trova aperta.
Canzon, io t'ammonisco,

Che tua ragion cortesemente dica ;
Perchè fra gente altera ir ti conviene;
E le voglie son piene

Già dell' usanza pessima ed antica,
Del ver sempre nemica.

Proverai tua ventura

Fra magnanimi pochi, a ch' il ben piace;
Di lor, chi m'assecura ?

I'vo gridando pace, pace, pace.

CINO RINUCCINI

Figliuolo di Francesco ragguardevole Ca valier Fiorentino. Fu celebre circa il 1390.; ma poco felice nella scelta delle rime. Di li parla con più che ordinaria lode il Crescimbeni.

SONETTO.

Chi è costei, Amor, che quando appare
L' aer si rasserena e fassi chiara?
E qual donna con lei tenuta è cara
Per le virtù che prendon nel suo andare?

Negli occhi vaghi allor ti metti a paré,
Nel cui lume Natura non fu avara,
Signor, sì che da te e lei s'impara
Di non poter parlar, ma sospirare.

Perchè se fusse Omer Virgilio o Dante
Ne' miei pensier con lor versi sonori
Non porian mai ritrar la sua beltate.

Però che Dio da suoi eccelsi onori

La produsse qua giù nel mondo errante
Per mostrar ciò che può sua Deïtate.

GIUSTINA LEVI PEROTTI.

Sonetto, che leggesi nelle Mescolanze d'Egidio Menagio. E fama che sia diretto al Pe trarca, e ch' egli vi abbia risposto coll' altro La gola il sonno, e l'oziose piume. Alcuni però lo credono di Ortensia di Guglielmo.

Io vorrei pur drizzar queste mie piume
Colà Signor, dove il desio m' invita,
E dopo morte rimanere in vita
Col chiaro di virtute inclito lume:

Ma il Volgo inerte, che dal rio costume Vinto, ha d'ogni suo ben la via smarrita, Come degna di biasmo ognor m' addita, Ch'ir tenti d' Elicona al sacro fiume.

All'ago, al fuso, più ch'al lauro, o al mirto,
Come se qui non sia la gloria mia )
Vuol ch' abbia sempre questa mente intesa.

Dimmi tu ormai, che per più dritta via
A Parnaso ten vai, nobile spirto,
Dovrò dunque lasciar sì degna impresa?

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