Che calca imperj e scettri, e della regia Costei di se gentil nemica e amante, gran Dio si posa? Costei, che al mondo, al cieco mondo errante Mostra del cielo i veri Spinosi ardui sentieri? Qual sarà penna, che di là dall'Alpe Oltre ad Abila e Calpe La porti a volo ? e qual di lei fia degna Il glorioso fortunato incarco, Onde or la terra, e'l ciel dappoi fia carco? Tai cose un tempo assai minor del vero Cantò di te l'Europa, e stil non ebbe Da spiegar mai l'intero Tuo pregio in carte; ma poi tanto in suso Alzò tua fama i vanni, e tanto crebbe, Ch'io gl'ingegni discolpo, e l'arte accuso. Pur di tentar tue lodi Mi sforzo in varj modi, E penso e scrivo; ma se 'l canto io scioglio, Non son qual esser soglio. Tronco gli accenti, poi qual uom che sogna, E di parlare agogna, Riapro il labbro, e timido e bramoso Tacer non posso, e favellar non oso. Ma sarà mai, ch'io de' toscani inchiostri Spenta miri la gloria, e che dipinto Ad ogni età non mostri Lo splendor, che a noi vivo il Ciel diè in sorte? E bevo l' onda d' Ippocrene, e cinto D'allori ho'l crine, e tolgo i nomi a morte? Misero dono, e appendo, O Muse, il plettro a queste mura, e dico; Ma tu, egregio Cantor, che la sagrata Sospendi al regio fianco, e con superni Di sì gran Donna, e di, che in questa sola Di, che a gran padre assai maggior figliuola E si l'imperio resse, Che avanzo 'l grido, e superò la lode: E come in guerra trionfo sovente, Fu de gl'invitti suoi campioni, e come Il divin culto e'l Vaticano adorna : Va d'alta gloria il Tebro; Che qualora il piè muove, o'l guardo gira, Desta virtute, e spira Maestosa clemenza, e par, che Roma Dal fero popol doma Coll'acquisto di lei gli antichi insulti Voce, spirto e baldanza? Odi la fama, El più ne tace, e te in soccorso chiama. Quel vivo Sol, cui cela Soverchio lume, e ponlo in alto, e il mostra Ma le mie luci di tal vista vaghe Quando fia 'l dì, che appaghe? Io di Febo i destrier già sprono e pungo ALESSANDRO, GUIDI Nacque in Pavia nel 1650. Giovane ancora fu accolto ed onorato in Parma dal Duca Ranuccio II. Quivi pubblicò con uno stile conforme al gusto di que' tempi alcune sue poesie liriche, e un dramma intitolato Amalasunta in Italia. Ma non appena passò nel 1685. alla corte della grande Cristina, che unitosi con altri valorosi poeti cospirò alla felice rivoluzione del gusto nella volgar poesia. Divenne quindi uno de' più liberi imitatori di Pindaro; sicchè osò persino di rompere ogni legame nel determinato numero dei versi, e nella collocazione delle rime in ciascheduna strofe delle Canzoni. Le sue Odi sono realmente piene di forza e di entusiasmo, Scrisse anche l'Endimiodramma pastorale, in cui l'istessa Cristina non isdegnò d'inserire alcuni suoi versi. Ebbe pure qualche maneggio ne' politici affari; ed incumbenzato dalla sua patria a trattare pressoil Principe Eugenio di Savoja la diminuzione de' pubblici aggravj, riesci felicemente nella sua commissione. Mori in Frascati sorpreso da un colpo d' apoplesia ai 12. di giugno del 1712. Dicesi che la sua morte provenne da un' af flizione, onde fu vivamente preso a cagione di alcuni_errori di stampa, chi egli scoprt in una sua traduzione dell' omelie di Clemente XI. mentre si recava a Castel Gandolfo per offerirne una copia a quel Pontefice. V. Monsig Fabroni. Vit. Italor. dec. 3. p. 223. ec. ne, SONETTO. Eran le Dee del mar liete e gioconde ין Le vie del mare, e ne' materni affanni Teti tornò, che rammentossi Achille. CANZON E. Io, mercè de le figlie alme di Giove, Non d'armento, o di gregge Son ne' campi d'Arcadia umil custode: Su la riva d'Alfeo, Tutti d'eterne penne armati il dorso Che certo varcherian l'immenso corso, Che fan per l'alta mole I cavalli del Sole. Forse i pastor de le straniere selve A mia possanza negheranno fede; |