Ne le capanne mie tanto sovente Ch'or s' apre in fonti di celeste vena, Ed or si spande in gloriosi rami Furo co' fiori d' Elicona insieme. Di lui, che pien di gloria e di consiglio Ov' egli sempre accoglie Ogni bel pregio di valore e d'arte. In grado a lui seguendo pur le sagge Dive, che di mia mente hanno il governo, M' accesi di veder l'onda latina; E vidi il Tebro e Roma, Che fuor de l'onorata sua ruina Alza l'augusta chioma. O tante volte vinta, e non mai doma Tanto di te si ragionò nel cielo, Mando per l'alto corso i migliori anni E in guise allor maravigliose e nuove Dietti sul mondo intero Sembianza e parte del celeste Impero. Al Re de l'Asia, e a lui d'intorno accolti In un bel cerchio uniti De la mia bella Arcadia almi pastori Pieni tutti d' un Nume altero e grande: E seco avean, per far celesti onori A ninfe ed ad eroi, versi e ghirlande. Decilo, che fioria di lauro e d'ostro, Per man mi prese, e mi condusse a lei, Che giù per lo sentiero degli Dei. Venne a recare il nome al secol nostro : Con l'altero splendor de' genj suoi E tanta fama ottenne, Che Berecintia e Marte e gli altri Numi Venne a far bella Italia, e bella Roma Valore entro mia mente, Che da terra levarmi era possente: Del gran consiglio eterno Sin dentro i nembi a ragionar col fato; Onde Cintia si vide Per le selve di Caria or mesta, or lieta Il nostro canto accolse, E di luce real tutto l' asperse ; E a nostre Muse in ogni tempo diede Quali cose ridico, o grande Albano, porto, Innanzi a l'alta Donna eri presente? Di recare al tuo sguardo Quel, che in mente mi splende, Onde tanto Cristina T Fama di te ne' miei pensieri impresse; Le lodi, ch' or ti sorgeranno intorno. Io tosto partirò da queste frali Cose a l'alte immortali, Ove i miei regni e i miei trofei comprendo: Non verran tutti in cielo I genj miei; chè la più chiara parte Che da volgari eroi già si diparte. Che recargli dovranno il fren del mondo Gir lo splendor de la romana Fede. Fu lento a porsi in su le vie celesti: Forse era grave l'aspettarla tanto. Il Ciel non pose mente al nostro affanno, Nè al lagrimoso aspetto Del gran pubblico danno: Allor le nostre Muse Spogliar d'onor le chiome, Lasciâr le care cetre, e i lieti manti, Ed eran già tutte converse in pianti, L'alto spirto real chiamando a nome. Ma tu, Signor, de' chiari genj erede Asciugasti il lor pianto, e a nuova speme Tu richiamasti i carmi; ed or ti porto Quei, che un tempo ti fur diletti e cari E di lor ragionò Bïone il saggio, Che di nuovo intelletto alza la face Per fugar l'ombra, e per aprire il vero; E i nuovi raggi col suo canto spande, Di cui si veste di Licori il nome. Che per le selve or è già sacro e grande. O , se verrà, che adempia I grandi augurj il fato, Come promette tuo valore e zelo E in ciò si adopra la gran Donna in cielo! Allor de le felici Tue magnanime cure, e sacri affanni CANZONE. Vider Marte e Quirino Aspro fanciullo altero Per entro il suo pensiero Tener consiglio col valor latino: Poi vider le faville Del suo primiero ardire Su l'Istro alzarsi, e far men belle l'ire Come nube, che splenda Infra baleni e lampi, E poscia avvien, che avvampi, E tutta in ira giù dal ciel discenda; Venne a tonar sul Trace, E nel vibrar sdegnoso asta pugnace Alto giocondo orrore Avea Roma sul ciglio In ascoltar del figlio L'aspre battaglie, e il coraggioso ardore: Ammiravan gli Dei Lui, che ingombrar solea d' ampj trofei O se per lui men pronte Giungean l' ore crudeli! Sotto a' tragici veli L'ardir dell'Asia celeria la fronte: Soffrirebbe dolente 1 |