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Ne le capanne mie tanto sovente
Degnassero posare il santo piede :
Ma pur sempre si vede,
Ch'ove impressero l'orme,
Virtute ivi non dorme,

Ch'or s'

apre

in fonti di celeste vena,

Ed or si spande in gloriosi rami
D'inclite piante, e le campagne adombra,
Ove più d'un Eroe si siede a l'ombra.
Le Muse fur, che me fanciullo ancora
Guidaro in su la Parma a i bei giacinti,
Che per me poscia avvinti

Furo co' fiori d' Elicona insieme.
Il dolce tempo, e la mia prima speme
Ivi trassi cantando, e l'ozio illustre
Del mio Signor fu dono:

Di lui, che pien di gloria e di consiglio
Regge d'Italia si feconda parte,

Ov' egli sempre accoglie

Ogni bel pregio di valore e d'arte. In grado a lui seguendo pur le sagge Dive, che di mia mente hanno il governo, M' accesi di veder l'onda latina;

E vidi il Tebro e Roma,

Che fuor de l'onorata sua ruina
D'altri diademi e d'altri lauri cinta

Alza l'augusta chioma.

O tante volte vinta, e non mai doma
Alma città di Marte!

Tanto di te si ragionò nel cielo,
Che al fin l'eterna Cura

Mando per l'alto corso i migliori anni
A le romane mura;

E in guise allor maravigliose e nuove

Dietti sul mondo intero

Sembianza e parte del celeste Impero.
Vidi il Pastor, che fu cotanto amaro

Al Re de l'Asia, e a lui d'intorno accolti
Sacri purpurei Padri, eguali ai Regi,
E scintillare in mezzo ai sette colli
Anime chiare, ed intelletti egregi:
Poi vidi in regia selva

In un bel cerchio uniti

De la mia bella Arcadia almi pastori Pieni tutti d' un Nume altero e grande: E seco avean, per far celesti onori A ninfe ed ad eroi, versi e ghirlande. Decilo, che fioria di lauro e d'ostro, Per man mi prese, e mi condusse a lei, Che giù per lo sentiero degli Dei.

Venne a recare il nome al secol nostro :
Turbo tutti costei

Con l'altero splendor de' genj suoi
Gli antichi e i nuovi eroi;

E tanta fama ottenne,

Che Berecintia e Marte e gli altri Numi
Avrian seco partiti i lor pensieri :
Chè schiva al fin d'imperj

Venne a far bella Italia, e bella Roma
Con arti eccelse, e memorabil prove,
Qual farebbe tra noi Pallade o Giove.
Innanzi a lei si accese

Valore entro mia mente,

Che da terra levarmi era possente:
Ito sarei su per le nubi a lato

Del gran consiglio eterno

Sin dentro i nembi a ragionar col fato;
Ma le belle ferite,

Onde Cintia si vide

Per le selve di Caria or mesta, or lieta
L'alta Reina a' versi miei commise;
E in così care guise

Il nostro canto accolse,
Che nel fulgor l'avvolse
De' suoi celesti ingegni,

E di luce real tutto l' asperse ;
Indi il guardo magnanimo converse
Ver noi sempre giocondo,

E a nostre Muse in ogni tempo diede
Chiara d'onor mercede.

Quali cose ridico, o grande Albano,
A te, che si sovente

porto,

Innanzi a l'alta Donna eri presente?
Altre parole entro il mio core i'
Che risonano meco i pregi tuoi;.
Ed or desio m' accende

Di recare al tuo sguardo

Quel, che in mente mi splende,
E dentro il sen mi guardo:
Ho meco i grandi augurj,

Onde tanto Cristina

T

Fama di te ne' miei pensieri impresse;
E sono figlie di sue voci istesse

Le lodi, ch' or ti sorgeranno intorno.
Certo so ben, che al ciel farò ritorno,
Dicea l'augusta Donna, e se del fato
Il balenare intendo,

Io tosto partirò da queste frali

Cose a l'alte immortali,

Ove i miei regni e i miei trofei comprendo:

Non verran tutti in cielo

I genj miei; chè la più chiara parte
Farà sua sede in lui,

Che da volgari eroi già si diparte.
Stanno su l' ali i glorïosi lustri,

Che recargli dovranno il fren del mondo
E già per lui nostro intelletto vede
In compagnia del Sole

Gir lo splendor de la romana Fede.
Cósì dicea nè 'l formidabil giorno,
Che a noi poscia la tolse,

Fu lento a porsi in su le vie celesti:
Rapido venne, e sì per tempo sciolse
L'anima eccelsa dal terreno ammanto.
A le sue stelle, ai Numi

Forse era grave l'aspettarla tanto.

Il Ciel non pose mente al nostro affanno, Nè al lagrimoso aspetto

Del gran pubblico danno:

Allor le nostre Muse

Spogliar d'onor le chiome,

Lasciâr le care cetre, e i lieti manti, Ed eran già tutte converse in pianti, L'alto spirto real chiamando a nome. Ma tu, Signor, de' chiari genj erede Asciugasti il lor pianto, e a nuova speme Tu richiamasti i carmi; ed or ti porto Quei, che un tempo ti fur diletti e cari E di lor ragionò Bïone il saggio, Che di nuovo intelletto alza la face Per fugar l'ombra, e per aprire il vero; E i nuovi raggi col suo canto spande, Di cui si veste di Licori il nome. Che per le selve or è già sacro e grande. O , se verrà, che adempia

I grandi augurj il fato,

Come promette tuo valore e zelo

E in ciò si adopra la gran Donna in cielo!

Allor de le felici

Tue magnanime cure, e sacri affanni
Udrai miei versi ragionar con gli anni.

CANZONE.

Vider Marte e Quirino

Aspro fanciullo altero

Per entro il suo pensiero

Tener consiglio col valor latino:

Poi vider le faville

Del suo primiero ardire

Su l'Istro alzarsi, e far men belle l'ire
Del procelloso Achille.

Come nube, che splenda

Infra baleni e lampi,

E poscia avvien, che avvampi,

E tutta in ira giù dal ciel discenda;
Tale il Romano invitto

Venne a tonar sul Trace,

E nel vibrar sdegnoso asta pugnace
Fe' il grande impero afflitto.

Alto giocondo orrore

Avea Roma sul ciglio

In ascoltar del figlio

L'aspre battaglie, e il coraggioso ardore:
Su la terribil' arte

Ammiravan gli Dei

Lui, che ingombrar solea d' ampj trofei
Cotanta via di Marte.

O se per lui men pronte

Giungean l' ore crudeli!

Sotto a' tragici veli

L'ardir dell'Asia celeria la fronte:

Soffrirebbe dolente

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