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E, se d'intorno miri

Il Campidoglio e il Tebro,
Pietà ti discolora, e manca il ciglio.
Quanto terror t' ingombra

Veggendo sotto i polverosi aratri
I cadaveri e l'ombra

De' latini teatri !

Qui pur sedean l'imperïali mura,
Che il mio poter disperse :

Qui i tetti d'oro, che mia man converse
In fredda nebbia oscura;

E tu con debil arte or ti lusinghi

La fama sostener d'un mio nemico ?
Forse io cangiai costume, o pur fatico
Incontro ai bronzi e alle gran moli invano?
Non è di questa mano

Ancor la gloria spenta,

Nè l'ira di mia mente ancor s' allenta.
Or io mirando, che gelato e muto

Stavasi il Fabbro al minacciar feroce,
Alzai la stessa voce,

Con cui soglio fugar l'invidia e il volgo,
E dissi: A te mi volgo,

A te, cui di mia man note son l'armi,
Però, che teco in Pindo

Io tante volte guerreggiai coi carmi.

Ben puoi morte recare ai bronzi e ai marmi, A le provincie, ai regni;

tuoi gran sdegni ?

Ma, che possono meco i tuoi

Non chiedo in mia difesa usbergo o scudo :

Ecco che io vengo ignudo;

Io del proprio valor solo mi copro,
E certo so, che non invan m' adopro
Appo l'aonie Dive,

Per far sicura dagli oltraggi tuoi

La fama de gli Eroi :
E quando pure estinto

De' nostri carmi lo splendor vedrai,
Ancor tu sparirai.

Alzaro allora i lieti Cigni un grido

Per queste selve, e risonar s'intese
La gloria di Farnese

Per tutto il colle, e andò di lido in lido:
E diede allora un doloroso strido

Il crudo veglio, che di gel divenne.
Tento tre volte l'immortali penne
Trattar per l'aure, e ricusaro il volo:
Alfin lo sdegno il liberò dal suolo,
E mentre l'aria fuggitivo ei tenne,
Urtò co i fieri vanni

De la mole di Tito il manco lato,
E là si vede impresso

In quei novelli danni

Lo scorno e l'ira del gran Re degli anni.

CANZONE.

O se l'ombra di Ciro

Lungo l'Eufrate oggi movesse il piede!
Fuor dell' antica sede

Babilonia vedria pianger sul lito:
Vedria le reggie dell' impero Assiro
Per ermi campi inonorate e sparte,
E l'ampie mura di splendore ed arte,
Oggi d'arabe insidie orrido albergo:
Chè tanto può colui, che armato il tergo
Di vanni eterni su per l'alta mole

Sta

sempre al fianco ai corridor del Sole!

Egli è colui, che qua giù spinge gli anni,
Ei lor rapidi sdegni

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Onde trasforma la sembianza ai regni,
E cangia sede ai mari :

Ma qualor volge il ciglio
All'Aventino, al Tebro

Tutto l'orgoglio suo vede in periglio,
E per se stesso e il suo poter s'adira,
Pensando, che a domare indarno aspira
Roma, che prende ogni gran piaga a gioco,
E dal cenere ancor s' erge superba :
E così ei vede farsi

Con suo tormento e scherno

De le glorie latine un giro eterno.
Già non pensaro i secoli feroci

Allor, che vider del real bifolco
Girar qui intorno l'animoso aratro,
Che dal negletto solco

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Sorger dovesse la fatal nemica.
Quindi dell' ira lor l'alta fatica
Incominciaro, e le dier tanta guerra,

E quando visse in regie spoglie accolta,
E quando alto sostenne

La consolar bipenne,

Che discordia civil di man le tolse:

E da che il ferro e l'

opra

Dell' indomito Bruto
Dai Numi ebber rifiuto,

E la temuta dignità risorse:
Quanto sul Lazio corse

Il piè degli anni irato,

E quante sul Tarpeo moli famose

A terra sparse, e in cieca notte ascose!

Nè stanco o sazio di recare affanno
Il fero veglio alato, ancor congiunse

L'ira de' Goti alle stagion crudeli:

E la Donna del Mondo a tal poi giunse,
Che il crin s'avvolse entro i funesti veli.
Non però da viltà prese consiglio,
Non di pianto portò le guance asperse;

Ma tacita nel seno

L'orme del ferro e dell'età sofferse,
E talora mirò le sue sventure,
Come leon, che con terribil faccia
Guarda le sue ferite, e altrui minaccia.
Speravan gli anni di mirare estinto

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Di Roma alfine lo splendore e il nome;
Poichè nel Vatican, cinta le chiome,
Seder vedean sul trono

De la virtute antica,
Altra placida e lenta,
E di pietate amica;

Quindi dicean: Se apparirà sul Tebro
Novo Duce africano 9

E qual romulea mano

Andrà di Libia a fulminare il seno?

Chi recherà la face, onde Cartago

Vide ne' suoi gran danni

Tanto intorno avvampar le terre e i mari?
Spererà forse Roma

In mezzo ai Duci incatenati e ai Regi

Vedere i figli suoi

Tornar dall'Asia doma,

E co' felici esempli

Ornarle il seno di teatri e templi ? Cosi soleano lusingarsi l' ire

Dell'aspre età nemiche

Entro il loro desire?

E intanto il fato del Romano Impero
Varcava il Gange sotto i novi Augusti:

E la Città latina

In si bella sembianza anco è risorta
Che l'antiche ruine omai conforta,
Ed or stan le bell' arti in lieto ardore
Nel mirar di Clemente i gran pensieri,'
Per cui verrà, che l' alta Donna speri
Il chiaro aspetto del primiero onore:
Già l'ardire de gli anni

Paventa d'incontrar ne' suoi viaggi
Nove offese sul Lazio e novi oltraggi.

CANZON E.

Allor, che il buon Chirone

Apriva per l'ombrosa aspra Tessaglia
Palestre di battaglia,

Sorgeva di valore alta cagione.
Infra i piacer feroci ivi Giasone
Accese il suo pensiero;

E nel più chiuso orror contro a le belve
Sospinse il gran destriero,

E di lor sangue vi bagnò le selve. Ivi fe' lieto il crine

Di chiari lauri in su leggiadre imprese, Per cui domò l'immense onde marine : Le venture di Colco eran vicine

A sua bella virtute,

Ed eran del suo cor gli spirti alteri
Il fior di gioventute

Pronti a irrigar dei bei sudor guerrieri.

Dolce pure a mirarsi

Fu negli antri di Pelio il biondo Achille Spirar lampi e faville,

E ne' colori di bell' ira ornarsi ;

Poi vibrar l'aste, e trionfante farsi

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