E, se d'intorno miri Il Campidoglio e il Tebro, Veggendo sotto i polverosi aratri De' latini teatri ! Qui pur sedean l'imperïali mura, Qui i tetti d'oro, che mia man converse E tu con debil arte or ti lusinghi La fama sostener d'un mio nemico ? Ancor la gloria spenta, Nè l'ira di mia mente ancor s' allenta. Stavasi il Fabbro al minacciar feroce, Con cui soglio fugar l'invidia e il volgo, A te, cui di mia man note son l'armi, Io tante volte guerreggiai coi carmi. Ben puoi morte recare ai bronzi e ai marmi, A le provincie, ai regni; tuoi gran sdegni ? Ma, che possono meco i tuoi Non chiedo in mia difesa usbergo o scudo : Ecco che io vengo ignudo; Io del proprio valor solo mi copro, Per far sicura dagli oltraggi tuoi La fama de gli Eroi : De' nostri carmi lo splendor vedrai, Alzaro allora i lieti Cigni un grido Per queste selve, e risonar s'intese Per tutto il colle, e andò di lido in lido: Il crudo veglio, che di gel divenne. De la mole di Tito il manco lato, In quei novelli danni Lo scorno e l'ira del gran Re degli anni. CANZONE. O se l'ombra di Ciro Lungo l'Eufrate oggi movesse il piede! Babilonia vedria pianger sul lito: Sta sempre al fianco ai corridor del Sole! Egli è colui, che qua giù spinge gli anni, Onde trasforma la sembianza ai regni, Ma qualor volge il ciglio Tutto l'orgoglio suo vede in periglio, Con suo tormento e scherno De le glorie latine un giro eterno. Allor, che vider del real bifolco Sorger dovesse la fatal nemica. E quando visse in regie spoglie accolta, La consolar bipenne, Che discordia civil di man le tolse: E da che il ferro e l' opra Dell' indomito Bruto E la temuta dignità risorse: Il piè degli anni irato, E quante sul Tarpeo moli famose A terra sparse, e in cieca notte ascose! Nè stanco o sazio di recare affanno L'ira de' Goti alle stagion crudeli: E la Donna del Mondo a tal poi giunse, Ma tacita nel seno L'orme del ferro e dell'età sofferse, Di Roma alfine lo splendore e il nome; De la virtute antica, Quindi dicean: Se apparirà sul Tebro E qual romulea mano Andrà di Libia a fulminare il seno? Chi recherà la face, onde Cartago Vide ne' suoi gran danni Tanto intorno avvampar le terre e i mari? In mezzo ai Duci incatenati e ai Regi Vedere i figli suoi Tornar dall'Asia doma, E co' felici esempli Ornarle il seno di teatri e templi ? Cosi soleano lusingarsi l' ire Dell'aspre età nemiche Entro il loro desire? E intanto il fato del Romano Impero E la Città latina In si bella sembianza anco è risorta Paventa d'incontrar ne' suoi viaggi CANZON E. Allor, che il buon Chirone Apriva per l'ombrosa aspra Tessaglia Sorgeva di valore alta cagione. E nel più chiuso orror contro a le belve E di lor sangue vi bagnò le selve. Ivi fe' lieto il crine Di chiari lauri in su leggiadre imprese, Per cui domò l'immense onde marine : Le venture di Colco eran vicine A sua bella virtute, Ed eran del suo cor gli spirti alteri Pronti a irrigar dei bei sudor guerrieri. Dolce pure a mirarsi Fu negli antri di Pelio il biondo Achille Spirar lampi e faville, E ne' colori di bell' ira ornarsi ; Poi vibrar l'aste, e trionfante farsi |