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Pria che freddi, in porcellana,

La sovrana

De le terre, la reina,
Versa giù soavemente
Lietamente

La superba gelatina.
E di quel con fiori adorno
Fatto intorno

Un bell' argin di cristallo,
La presenta a le tue belle
Damigelle

Scalmanate in mezzo il ballo.

O qual gloria, Nise mia,
Per te fia

Regolar l' etrusca terra!
Le del Tebro amate sponde
Far gioconde

Col Contento d'Inghilterra!

ANTONIO TOMMASI

Lucchese, della Congregazione della Madre di Dio. Fu assai felice nel comporre sonetti Anacreontici.

SONETTO.

Musa, tu che de' sacri Inni canori
Apri e chiudi Regina in ciel le fonti
Che badi or più? lascivi empj cantori
Tutti ingombran d'Italia i piani e i monti.

Nè lor nieghi i tuoi doni? e i santi allori
Non strappi ancor da le profane fronti?
Mira qual turba rea d'immondi Amori
Per costor da Cocito a noi sormonti.

Qual fia de' carmi onor, ch' arso e distrutto
Per molle canto, di virtude il regno
Ragion si giaccia in vil servaggio e in lutto?

Diran, diran le genti: è questo il degno
Sudor de' vati, e di lor cure il frutto?
Ah peran versi e stile, arte ed ingegno.

SONETTO.

Limpido rio, che desïoso ai bassi
Campi scendendo vai d'alpestre vena,
Mira il terren, dove il destin ti mena,
Parte sparso di fior, parte di sassi.
Folle, se là per cieco amor ne andassi,
Dove la piaggia lascivetta e amena
Ride e t'invita! A la pietrosa arena
Vie più saggio desir volga i tuoi passi.
Quivi felice andrai tra sponda e sponda :
E la ruvida ghiaja ognor più fia

Cortese e amica al bel candor de l'onda.
Te non lusinghi la fiorita via;

Che non sai quanto è limacciosa e immonda:
Là perderai tua purità natía.

SONETTO

Quel cieco Amor, cui cieca turba adora,
Come suo nume, ed è suo fier tiranno,
Di poche rose i suoi seguaci infiora,
E mille figge in lor spine d' affanno.
Pur quegli stolti il duol, ch' entro gli accora,
Soffrendo, il rio signor fuggir non sanno;
E gli fan voti, e benedicon l'ora,

In cui gli trasse ne l' iniquo inganno.
Poichè sovente una bugiarda spene

Vie più gli accende, e dice: oh qual contento Nascerà in breve al cor da tante pene! Folli! ma cento pur sentiro, e cento Servi d'Amore al fin l'aspre catene Bestemmiar tra vergogna e pentimento.

SONETTO.

Quante, oh quante ingorde fiere Qui d'intorno urlare io sento! Tirsi, omai da le costiere Richiamiam lo sparso armento. Ahi già sorge, e il cor mi fere De le prede alto il lamento. Ahi per monti e per riviere Cento stragi io scorgo e cento. Tanto è il danno, e voi Pastori, Per fiorite erme pendici Vaneggiate in lenti amori! Ov'è il senno, ove l'ultrici Fiamme accese in forti cori ? Ahi, ahimè mandre infelici!

SONETTO.

Questo capro maledetto

Mena il gregge in certe rupi, Che mi par, che per dispetto Voglia porlo in bocca ai lupi. Ma, s' ei siegue, io son costretto Di lasciarlo in questi cupi Antri agli orsi, o un di lo getto Giù per balze e per dirupi; Ed il teschio e 'l corno invitto. Onde altier cozza e guerreggia, E soverchia ogni conflitto, Vo', che là pender si veggia Sul Liceo, con questo scritto: Perchè mal guidò la greggia.

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SONET TO.

Ier, menando i bianchi agnelli
Lungo un rio per verde erbetta,
Vidi in mezzo a cento augelli
Grandeggiar folle Civetta.
Bel veder lei gonfia, e quelli
Quasi umil turba soggetta
Per le siepi e gli arbuscelli
Lei seguir di vetta in vetta.
Già Reina esser si crede

Quella sciocca; e altera e gaja
Già vien piede innanzi piede.
Ma la mira una Ghiandaja,
Ed, ah, grida, ah non s'avvede,
Che costor le dan la baja?

GIOVANBATISTA ZAPPI

Nobile Imolese. Studiò nel collegio Montalto di Bologna, ove fece st rapidi e si maravigliosi progressi, che in età di soli 13. anni vi ricevette la laurea. In Romá esercitò la professione di Avvocato, ed ebbe le cariche di assessore nel tribunale dell' agricoltura, e di fiscale in quello delle strade. Il suo studio prediletto fu però quello della volgar poesia; ma le sue Rime sentir fanno sovente il cattivo gusto del secolo. Fu uno de' fondatori dell' Arcadia. Ebbe a moglie Faustina Maratti, la quale gareggiò con lui nel talento di poetare. Caro a' più ragguardevoli personaggi fu rapito da immatura morte ai 30. di luglio del 1719.

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