Da la più pura e più leggiadra stella Ch' empiea tutti di luce i regni sui, Ne scelse Iddio la più bell'Alma, e quella Mandò quaggiuso ad abitar tra nui. Ma poi crebbe si vaga, e tanto bella, Ch' ei disse: ah non è più degna di vui; E la tolse a' profani, e in sacra cella Per se la chiuse; e cosa era da lui. Vago il mirarla, or che fra velo e velo Tramanda un lume da' begli occhi fuore, Come di Sol, tra nube e nube in cielo. Fora cieco ogni sguardo, arso ogni core Al raggio, al lampo, a le faville, al telo, Se in parte non copria tanto splendore.
Poichè de l'empio Trace a le rapine Tolse il sarmata Eroe l'Austria e l'Impero, E più sicuro e più temuto al fine Rese a Cesare il solio, il solio a Piero; Vieni d'alloro a coronarti il crine,
Diceva il Tebro a l' immortal Guerriero ; Aspettan le famose onde latine
L'ultimo onor da un tuo trionfo altero. No, disse il Ciel, tu, ch' hai sconfitta e doma L'Asia, o gran Re, ne' maggior fasti sui, Vieni a cinger di stelle in Ciel la chioma. L' Eroe, che non potea partirsi in dui, Prese la via del Cielo; e a la gran Roma Mandò la Sposa a trïonfar a trionfar per lui.
Chi è costui, che in sì gran pietra scolto Siede gigante, e le più illustri e conte Opre de l'arte avanza, e ha vive e pronte Le labbra sì, che le parole ascolto? Questi è Mosè ben mel diceva il folto Onor del mento, e'l doppio raggio in fronte; Questi è Mosè, quando scendea dal monte, E gran parte del Nume avea nel volto. Tal era allor, che le sonanti e vaste
Acque ei sospese a se d' intorno; e tale, Quando il mar chiuse, e ne fe' tomba altrui. E voi, sue turbe, un rio vitello alzaste? Alzata aveste immago a questa eguale, Ch' era men fallo l'adorar costui.
Quand' io men vo verso l'ascrea montagna, Mi si accoppia la Gloria al destro fianco: Ella dà spirti al cor, forza al piè stanco, E dice andiam ch' io ti sarò compagna. Ma per la lunga inospita campagna
Mi si aggiunge l'Invidia al lato manco; E dice: anch'io son teco. Al labbro bianco Veggo il veneno che nel suo cor stagna. Che far degg' io? se indietro io volgo i passi, So, che Invidia mi lassa e m' abbandona : Ma poi fia che la Gloria ancor mi lassi. Con ambe andar risolvo a la suprema Cima del monte: Una mi dia corona; E l'altra il vegga, e si contorca e frema.
Vincesti o Carlo. D'atro sangue impura Corre l'onda del Savo: il Trace estinto Alzò le sponde al fiume; e la sventura Vendicasti ben tu d'Argo e Corinto. Erra il barbaro Re di pallor tinto; E Belgrado che fea l'Asia sicura, Teme i tuoi bronzi, da cui pria fu vinto; E non percosse ancor, treman le mura. Or siegui a fulminar su i Traci infidi, Fin che vegga il mar negro, e 'l mar vermiglio Rifolgorar la Croce alto su i lidi. Poscia di riposar prendi consiglio,
E l'impero del mondo in duo dividi; A. Te l'Occaso, e l'Oriente al Figlio.
Questi è il gran Raffaello: Ecco l'idea Del nobil genio, e del bel volto, in cui Tanto Natura de' suoi don ponea, Quanto egli tolse a lei de' pregi sui. Un giorno ei qui, che preso a sdegno avea Sempre far su le tele eterno altrui Pinse se stesso, e pinger non potea Prodigio, che maggior fosse di lui. Quando poi Morte il doppio volto e vago Vide, sospeso il negro arco fatale,
Qual, disse, è il finto e il vero? equal impiago?
Impiaga questo inutil manto e frale,
L'Alma rispose, e non toccar l'Immago. Ciascuna di noi due nacque immortale,
Vieni: mi disse Amore. Io m' accostai tremando. Perchè vai sospirando? Di che paventa il core? Vieni mi disse Amore. Lieto per man mi prese, E 'l ragionar riprese. Da che in mia corte stai, Tu non vedesti mai Il Museo di Cupido. Io lo sogguardo e rido: Credea, che il vezzosetto Scherzoso fanciulletto
Tutte le sue brame avesse Di gioventute amiche; Non che a serbo tenesse Amor le cose antiche. Dentro una ricca stanza, Che di tempio ha sembianza, Guidami il mio bel duce: L'oro, che intorno luce, Mi raddoppiava il giorno. Or guarda, ei disse, intorno Guarda, o servo fedele.
Di sculti marmi, e di dipinte tele
Ricco è il bel loco, dove Amor passeggia; E quinci Ilio m' addita, e l' arsa reggia Cui la greca tradi sposa infedele ;
E quindi il mare e le fuggenti vele
Di Teseo ingrato; e vuol che sculta io veggia Ninfa che guizza, e ninfa che arboreggia, Imprese tutte di quel Dio crudele.
V'è Amor dipinto in cocchio alto d' onore, Con mille uomini e numi in ceppi e in foco Dinanzi al carro; ed ei gli urta e confonde. Psiche, che i vanni e 'l tergo arse ad Amore, Non v'è dipinta. Ognun fa pompa e giuoco Dell'altrui scorno; il suo scorda e nasconde. Ma più liete e gioconde
Cose e più rare io serbo, Disse il garzon superbo: Ciò, che pennel dipinse, Ciò, che scalpello finse Il tuo piè non ritardi; Rivolgi al ver gli sguardi. Vedi queste due spade Opra di prisca étade? Faron, dicea Cupido, Di Piramo e d'Enea: Su queste, ei soggiugnea, Caddero Tisbe e Dido: Del sangue sparso allora Ecco le stille ancora, E mentre ciò dicea Quel barbaro, ridea, Stavano in un de' lati Cinque bei pomi aurati, De' quai molto si canta In Asera e in Aganippe: Tre son quei d'Atalanta, Il quarto è di Cidippe. Ma non è chi paregge
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