SONETTO. Ben devria farvi onor d' eterno esempio A por SONET TO. O pria sì cara al Ciel del mondo parte Chi le più strane a te chiamando insieme SONETT O. Casa, in cui le virtuti han chiaro albergo, E pura fede e vera cortesía; E lo stil, che di Arpin sì dolce uscìa, Risorge, e i dopo sorti lascia a tergo; S'io movo per lodarvi, e carte vergo, Presontuoso il mio pensier non sia ; Chè mentre e' viene a voi per tanta via, Nel vostro gran valor m' affino e tergo. E forse ancora un amoroso ingegno Ciò leggendo dirà più felici alme Di queste il tempo lor certo non ebbe. Due Città senza pari e belle ed alme Le dier al mondo, e Roma tenne e crebbe; Qual può coppia sperar destin più degno? SONETTO. Se già ne l'età mia più verde e calda Che quella, che 'n te sempre ebbi speranza, Raccolta di Lirici. 3 VITTORIA COLONNA Niuna cosa, dice Tiraboschi, ci fa mag giormente conoscere qual fosse il comune en tusiasmo in Italia per lo studio della volgar Poesia, quanto il vedere le più nobili dame rivolte a coltivarla con sommo ardore, di niu na cosa maggiormente pregiarsi quanto del ti tolo di poetesse. Fino dal 1559. il Domenichi pubblicò le Rime di ben cinquanta poetesse. Nessuna però ottenne maggiori lodi, quanto Vittoria Colonna, celebre per le doti del volto non solo, ma dell' animo ancora. Fu figlia di Fabrizio Colonna gran Contestabile del regno di Napoli, e di Anna di Montefeltro figlia di Federigo Duca di Urbino, e nacque in Marino feudo della sua famiglia circa il 1490. Sino dall'età di soli quattro anni fu destinata sposa a Ferdinando d'Avalos Marchese di Pescara, cui dopo le nozze amò teneramente. Morto lo sposo per le ferite avute nella battaglia di Pavia del 1525. cercò ella indarno un soave sfogo nella poesia. Passò quindi al ritiro in un monastero d'Orvieto, e poi in quello di S. Caterina in Viterbo. Ritornata in Roma morì quivi nel 1547. Nella sua solitudine coltivò le muse sacre, e fu in onorevole commercio co' più dotti personaggi. Vedine la vita premessa alle Rime di lei, Bergamo 1760. SONET TO. Ahi quanto fu al mio Sol contrario il fato, Che fa scorno agli antichi, invidia a noi, A mal grado del tempo avreste voi Dal secondo morir sempre guardato. Potessi i' almen mandar nel vostro petto L'ardor, ch'io sento, o voi nel mio l'ingegno Per far la rima a quel gran morto eguale; Chè così temo il Ciel non prenda a sdegno Voi, perchè avete preso altro soggetto, Me, ch' ardisco parlar d'un lume tale. SONETTO. Qui fece il mio bel Sole a noi ritorno SONETTO. Qual digiuno augellin, che vede ed ode Interno; e senza ch' io stessa m'avveggia BERNARDO CAPPELLO. Venezia abbondò in questo secolo di poeti più che qualsivoglia altra città dell' Italia, e Veneziano fu appunto Bernardo Cappello, di cui scrisse esattamente la vita il Sig. Ab. Serassi. Nacque da Francesco e da Maria Sanuta circa il principio di questo secolo. Fu grande amico del Bembo. Una massima da lui sostenuta nel Senato di Venezia lo fece rilegare a perpetuo esiglio in Arbe isola della Schiavonia. Di là dopo due anni rifuggiossi colla mo glie a Roma, ove fu accolto dal Card. Alessandro Farnese. Visse pure alla corte di Ur bino, donde ritornato a Roma mori a 18. di Marzo del 1565. Il suo Canzoniere viene ripu tato uno de' più leggiadri di questo secolo. |