Sayfadaki görseller
PDF
ePub

SONETT O.

L'empia schiera di quei tristi pensieri,
Che d'intorno al mio cor han posto campo,
Lo circonda ogn' or sì, ch'a lo suo scampo
Indarno introdur tenta altri guerrieri.
E se pur contra i minacciosi e feri

I bei desiri, ond' io pietoso avvampo,
E'l mio ben meritar talora accampo,
Stuol degno, che di lui mi fidi e speri;
Orribil suon, che mi rimembra il danno,
Ch'a torto ne sostegno, mi spaventa
Si ch'ogni mio sperar cede a l'affanno.
Quinci ogni mio nemico s' argomenta,
Or con aperto, or con celato inganno,
Di far, ch' io stesso al mio morir consenta.

SONETTO.

Così di Primavera eterna guida

Vi veggia io sempre, leggiadretti fiori, E versar d' ogn' intorno arabi odori, Onde la terra si rallegri e rida : Come Italia per voi lieta si fida, Dopo si lunghi e tempestosi errori, Poggiar a' primi suoi perduti onori, E por silenzio a le dogliose strida; Ch'or acquetate in parte ha la novella Del grande officio, onde sì ogn' or v'alzate, Che Roma di tornar spera ancor bella; E dar cagion con l' opre alte e pregiate D'ir sospirando a questa gente e a quella L'alte ricchezze de la nostra etate.

VERONICA GAMBARA

Nacque in Brescia nel 1485, morì nel 1550. Baldassare Zamboni ne scrisse la vita. Fu tran quilla d'animo e saggia di costumi. Sposò Gi berto X. Signor di Correggio. Di lei disse l'A riosto c. 46.

Veronica da Gambara è con loro

Si grata a Febo e al santo aonio coro.

SONETT O.

Vinca gli sdegni e l'odio vostro antico,
Carlo e Francesco, il nome sacro e santo
Di Cristo e di sua fe vi caglia tanto,
Quanto a voi più d'ogni altro è stato amico.

L'arme vostre a domar l'empio nemico

[ocr errors]

Di lui sian pronte, e non tenete in pianto Non pur l'Italia, ma l' Europa, e quanto Bagna il mar, cinge valle, o colle aprico.

gran Pastor, a cui le chiavi date

Furon del Cielo, a voi si volge e prega,
Che de le greggi sue pietà vi prenda.

Possa più de lo sdegno in voi pietate,
Coppia reale, e un sol desio v' accenda
Di vendicar chi Cristo sprezza e nega.

GASPARA STAMPA

Padovana, ma dama Milanese d'origine. Visse anni 30, e mori verso il 1554. Rimatri ce passionata, semplice ed elegante. Forse av rebbe tra tutte il primato, se i partigiani del la Gambara, e della Colonna non le facessero ostacolo. Collatino de Conti di Collato fu l'og getto del suo amore e delle sue rime. La lon tananza dell'amante, e la moglie da lui le affrettò la morte. A Rubbi.

presa

SONETTO

Cantate meco, Progne e Filomena,
Anzi piangete il mio grave martíre;
Or che la primavera e 'l suo fiorire
I miei lamenti e voi tornando mena.

A voi rinnova la memoria e pena
De l'onta di Tereo, e le giust' ire;
A me l'acerbo e crudo dipartire
Del mio signore morte empia rimena.

Dunque essendo più fresco il mio dolore,
Aitatemi amiche a disfogarlo,

Ch'io per me non ho tanto entro vigore.

E se piace ad Amor mai di scemarlo,
Io piangerò poi'l vostro a tutte l'ore
Con quanto stile ed arte potrò farlo.

[ocr errors]

SONETTO

Fiume, che dal mio nome il nome prendi,
E bagni i piedi a l'alto colle e vago
Ove nacque il famoso ed alto Fago,
De le cui frondi alto desio m'accendi;
Tu vedi spesso lui, spesso
l' intendi,
E talor rendi la sua bella immago;

Ed a me che d'altr' ombra non m' appago,
Così sovente, lassa, lo contendi.

Pur non ostante che la nobil fronde,

Ond' io piansi e cantai con più d'un verso, La tua mercè, si spesso lo nasconde; Prego il Ciel ch'altra pioggia o nembo avverso Non turbi, Anasso, mai le tue chiar' onde, Se non quel sol che da quest' occhi verso.

SONETT O.

Mesta e pentita de' miei gravi errori,
E del mio vaneggiar tanto e sì lieve,
E d'aver speso questo tempo breve
De la vita fugace in vani amori,
A te, Signor, che intenerisci i cori
E rendi calda la gelata neve,

E fai soave ogn' aspro peso e greve,
A chiunque accendi de' tuoi santi ardori,
Ricorro e prego, che mi porghi mano
A trarmi fuor del pelago, onde uscire
S'io tentassi da me, sarebbe vano,
Tu volesti per noi, Signor, morire,
Tu ricomprasti tutto il seme umano,
Dolce Signor, non mi lasciar perire.

GIOVANNI GUIDICCIONI

Nacque in Lucca nel 1500. Dal Cardinale Bartolommeo suo zio fu posto al servigio del Card. Alessandro Farnese. Fu Governatore di Roma e Vescovo di Fossombrone. Accompa gnò come nuncio Carlo V. in molti viaggi. Dopo il ritorno fu fatto presidente della Romagna, e poi commissario generale delle armi pontificie, e finalmente governatore della Mar ca. Morì in Macerata nel 1541. Ecco il giudizio che di lui scrisse Giglio Giraldi: Joannes Guidiccionius poeta admirandi ingenii sed interdum obscurior In his vero carminibus, in quibus Italiae miseras calamitates atque infortunia complorat, suae istius praeclarae dictionis testimonia legentibus exhibet. La vita di lui esatta e diffusa leggesi premessa all'edizione di sue opere. Bergamo 1753.

SONET TO.

[ocr errors]
[ocr errors]

Viva fiamma di Marte, onor de' tuoi,
Ch' Urbino un tempo e più l'Italia ornaro,
Mira, che giogo vil, che duolo amaro
Preme or l'altrice de' famosi Eroi.
Abita morte ne' begli occhi suoi,

Che fur del Mondo il Sol più ardente e chiaro;
Duolsene il Tebro e grida: o Duce raro,
Movi le schiere, onde tanto osi e puoi;
E qui ne vien, dove lo stuol de gli empi
Fura le sacre e glorïose spoglie,
E tinge il ferro d'innocente sangue,
Le tue vittorie e le mie giuste voglie,
E i difetti del Fato, ond' ella langue,
Tu, che sol dei, con le lor morti adempi.

« ÖncekiDevam »