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SONETTO

Dal pigro e grave sonno, ove sepolta
Sei già tanti anni, omai, sorgi e respira;
E disdegnosa le tue piaghe mira,
Italia mia, non men serva, che stolta.
La bella libertà, ch' altri t'ha tolta

Per tuo non sano oprar, cerca e sospira ;
E i passi erranti al cammin dritto gira,
Da quel torto sentier dove sei volta.
Che se risguardi le memorie antiche,
Vedrai, che quei, che i tuoi trïonfi ornaro,
T'han posto il giogo, e di catene avvinta.
L'empie tue voglie a te stessa nemiche,
Con gloria d' altri, e con tuo duolo amaro,
Misera, t'hanno a sì vil fine spinta.

SONETT 0.

Tanti con mia vergogna aspri tormenti
Nel tuo regno ho sofferto, empio tiranno;
Tanti ne attendo ancor, ch'omai mi fanno
Grave a me stesso, e favola a le genti.
Le faci avventa e drizza i tuoi pungenti
Strali, ch' acceso ed impiagato m'hanno,
Ne' freddi e duri petti, ed il mio affanno
Tempra co i raggi tuoi di pietà ardenti;
O il cor disciogli, il qual d'un nodo forte
Stringi, e riempi di vaghezze nove,
Ch' assai gloria ti fia l'avermi vinto.
E tanto più, quant' io per te dipinto
Il viso porto di color di morte,

E tu campo hai da far più degne prove.

SONETTO.

Degna nutrice de le chiare genti,

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Ch'a i dì men foschi trionfar del Mondo; Albergo già di Dei fido e giocondo, Or di lagrime triste e di lamenti; Come posso udir io le tue dolenti

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Voci, e mirar senza dolor profondo
Il sommo Imperio tuo caduto al fondo,
Tante tue pompe e tanti pregi spenti!
Tal così ancella maestà riserbi,

E sì dentro al mio cor sona il tuo nome,
Ch'i tuoi sparsi vestigi inchino e adoro:
Che fu a vederti in tanti onor superbi
Seder Reina, e 'ncoronata d'oro
Le gloriose e venerabil chiome?

SONET TO.

Sovra un bel verde cespo e in mezzo un prato Dipinto di color mille diversi

Due pure e bianche vittime, ch' io scersi Dianzi ne' paschi del mio Tirsi amato, Zefiro, io voglio offrirti; e da l' un lato Donne leggiadre in bei pietosi versi Diran, come i tuoi di più cari fersi Nel lume d'un bel viso innamorato; Da l' altro porgeran giovani ardenti Voti ed incensi, e tutti in cerchio poi Diranti unico Re de gli altri venti; Se i fior, che 'l Sol nel suo bel viso ancide Bianchi e vermigli, co' soavi tuoi

Fiati rinfreschi, a cui l'aria e 'l Ciel ride.

FRANCESCO MARIA MOLZA.

Di lui scrisse esattamente la vita l'Abate Serassi nell' edizione di Bergamo 1747. Fu uno de' più leggiadri talenti che vantasse l'Italia in que' tempi. Nacque in Modena nel 1489. Fu inclinato ai piaceri, cui per altro divise sempre cogli studj. Riportò una ferita da un suo rivale, per cui fu diseredato dal padre, e ne contrasse una tale malattia, che dopo lungo travaglio fu tratto a morte in assai fresca età. Fu uno de' principali ornamenti dell' Accademia Romana. Tra le sue opere celebre è specialmente la Ninfa Tiberina.

SONETTO.

Su questo lito e questa istessa arena
Cagion novella d'ogni vostro danno,
Signor, sostenne duro e greve affanno
Il forte Alcide, onde ogni istoria è piena;

E con possenti braccia e invitta lena
Su'l petto Anteo ( quest'onde e piagge il sanno)
Si strinse sì, che del materno inganno
Poco si valse ad alleggiar la pena.

Cadde di Libia il fiero mostro anciso,
Sparse le membra e fe' vermiglio'l piano
Nel proprio sangue orribilmente involto.

Così mostrando a la fortuna il viso,
Cader vedrete ogni sua forza in vano,
E'l mondo a farvi onor, come pria, volto.

SONETTO.

Gite, Coppia gentil, e 'l bel sommesso
Mormorar vostro le colombe adegue:
Vincan le conche senz' aver mai tregue
I casti baci rintegrati spesso:

E col desio ch' al cor avete impresso,
Prima che 'l fior de gli anni si dilegue,
Com'.edera che muro o tronco segue,
L'un l'altro abbracci di dolcezza oppresso.
Cesare intanto col gran padre invitto
Di soggiogar prepari l'Oriente,

E purghi d'ogni error l'Asia e l'Egitto:
Onde i lunghi odj e le discordie spente,
Risani il mondo già cotanto afflitto,
E si riveggia pien d' un' aurea gente.

CANZON E.

Ne l'apparir del giorno

Vid'io, chiusi ancor gli occhi, entro una luce Ch' avea del cielo i maggior lumi spenti, Una donna real, che, come duce,

Traea schiera d'intorno,

E cantando venia con dolci accenti:

O fortunate genti,

S'oggi in pregio tra voi

Fosse la mia virtute,

Com' era al tempo de gli antichi eroi!

Che se tra ghiande ed acqne e pelli irsute
Beata si vivea l'inopia loro;

Qual vi daria per me gioja e salute
Un vero secol d'oro?

Quando l'eterno Amore

Creò la luna e'l sole e l'altre stelle
Nacqu'io nel grembo a l'alta sua bontate:
L'alme virtuti, e l' opre ardite e belle
Mi sono o figlie o suore,

Perchè meco o di me tutte son nate;
Ma di più dignitate

Son io io son del cielo
La prima meraviglia;

E quando Dio pietà vi mostra e zelo,
Me sol vagheggia, e meco si consiglia,
Che son più cara e più simíle a lui.
E che tien caro, e che si rassomiglia
Più, che 'l giovare altrui ?

Io son che giovo ed amo,

E dispenso le grazie di là suso,
Si come piace a lui che le destina.

Già venni in terra, e Pluto ch' era chiuso
V'apersi, e tenni in Samo

Lei per mia serva, ch' era in ciel reina.
Ma 'l furto e la rapina,

L'amor de l'oro ingordo
Trasser fin di Cocito

Le furie e'l lezzo, onde malvagio e lordo
Divenne il mondo, e 'l mio nome schernito
Sì ch' io n'ebbi ira, e fei ritorno a Dio.
Or mi riduce a voi cortese invito

D'un caro amante mio.

Per amor d'uno io

vegno

A star con voi, ch'or sotto umana veste
Simile a Dio siede beato e bea.

Dal ciel discese, e quanto ha del celeste
Questo vil basso regno

L'ha da lui, che n'ha quanto il ciel n'avea.
Pallade e Citerea

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