nato ad Avignone si arruolò nel Clero, di cui non troppo ne onorò l'abito. Arse per anni ventuno di Madonna Laura, figlia di Audeberto De-Noves Cavaliere e Sindaco d'Avignone, e di Ermessende di lui moglie. Laura adunque formò l'oggetto di pressochè tutte le rime del Petrarca. Ma questa passione non lo rendeva che più ardente ne' poetici studj, talmente che la corona stessa di lauro, di cui venne con magnifica pompa fregiato nel Cam pidoglio più dolce gli riuscì per una certa allusione ch'essa faceva col nome della sua Laura. Egli fu a gara onorato da' più cospicui personaggi. I Signori di Coreggio gli procurarono la dignità d'Arcidiacono nella chiesa di Parma. Dopo varj viaggi specialmente per l'Italia, e dopo varie incumbenze le più onorevoli, passò in continua languidezza senile gli ultimi mesi di sua vita nella sua villa d'Arquà vicino a Padova, dove nella notte del 18. Luglio 1374. morì nella sua biblioteca col capo appoggiato ad un libro. Fu uno de' più grandi uomini de' suoi tempi, ed uno dei primi tre padri della lin gua italiana. V. il Tiraboschi, e la Storia, che diffusamente ne scrisse l'Abate de Sade. SONET T 0. Chi vuol veder quantunque può Natura, E venga tosto, perchè morte fura SONETT O. Levommi il mio pensier in parte, ov' era SONETTO. Gli Angeli eletti e l'anime beate Che luce è questa, e qual nova beltate, CANZONE. Chiare e fresche e dolci acque, Pose colei, che sola a me par Donna; Con sospir mi rimembra ) A lei di fare al bel fianco colonna; Con l'angelico seno; Aer sacro sereno, Ov'Amor co' begli occhi il cor m'aperse; Date udienza insieme A le dolenti mie parole estreme. S'egli è pur mio destino E'l Cielo in ciò s' adopra, Ch'Amor questi occhi lagrimando chiuda; Qualche grazia il meschino Corpo fra voi ricopra, E torni l'alma al proprio albergo ignuda. Se questa speme porto Che lo spirito lasso Non poria mai in più riposato portó, Fuggir la carne travagliata e l'ossa. Ch' a l'usato soggiorno Torni la fera bella e mansueta ; Nel benedetto giorno, Volga la vista desïosa, e lieta, Si dolcemente, che mercè m' impetre, Asciugandosi gli occhi col bel velo. Dolce ne la memoria, Una pioggia di fior sovra 'l suo grembo; Umile in tanta gloria, Coverta già de l'amoroso nembo. Qual fior cadea sul lembo, Qual su le trecce bionde, Ch'oro forbito e perle Eran quel dì a vederle, Qual si posava in terra, e qual su l'onde; Qual con un vago errore Girando, parea dir: qui regna Amore. Quante volte diss' io Allor pien di spavento : Costei per fermo nacque in Paradiso; Il divin portamento, E'l volto, e le parole, e'l dolce riso Da l'immagine vera, Ch'i' dicea sospirando : Qui come venn' io, e quando? Credendo esser in Ciel, non là dov' era. Quest' erba sì, ch'altrove non ho pace. Uscir del bosco, e gir in fra la gente. CANZON E. Italia mia; benchè 'l parlar sia indarno Che nel bel corpo tuo si spesse veggio; E''l Pò, dove doglioso e grave or seggio. Che la pietà, che ti condusse in terra, Vedi, Signor, cortese, Di che lieve cagion, che crudel guerra; E i cor, che 'ndura e serra Marte superbo e fero, Apri tu, padre, e 'ntenerisci e snoda; (Qual io mi sia) per la mia lingua s'oda. Voi, cui fortuna ha posto in mano il freno De le belle contrade, Di che nulla pietà par che vi stringa; |