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E

Tal fur, lasso, le vie de' pensier miei
Ne' primi tempi, e cammin torto fei.
per far anco il mio pentir più amaro,
Spesso piangendo, altrui termine chiesi
De le mie care e volontarie pene;
E in dolci modi lagrimare appresi,
E un cor piegando di pietate avaro
Vegghiai le notti gelide, serene;

E talor fu, ch' io l torsi, e ben conviene
Or penitenza, e duol l'anima lave
De' color atri, e del terrestre limo,
Ond' ella è per mia colpa infusa e grave:
Che se 'l Ciel me la diè candida e leve,
Terrena e fosca a lui salir non deve.
Nè può, s' io dritto estimo,

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Ne le sue prime forme

Tornar già mai, che pria non segni l'orme Pietà superna nel cammin verace,

E la tragga di guerra, e ponga in pace. Quel vero Amor dunque mi guidi e scorga, Che di nulla degnò si nobil farmi;

Poi

per se

se'l cor pure a sinistra volge, Nè l'altrui puo', nè 'l mio consiglio aitarmi; Si tutto quel, che luce a l'alma porga, Il desir cieco in tenebre rivolge. Come scotendo pure al fin si volge Stanca talor fera da i lacci, e fugge; Tal io da lui, ch' al suo venen mi colse Con la dolce esca, ond' ei pascendo strugge, Tardo partimmi e lasso, a lento volo; Indi cantando il mio passato duolo, In se l'alma s'accolse;

E di desir novo arse,

Credendo assai da terra alto levarse :

Ond' io vidi Elicona, e i sacri poggi Salii, dove rado orma è segnata oggi. Qual peregrin, se rimembranza il punge Di sua dolce magion, talor s'invia

Ratto per selva, e per alpestri monti;
Tal men giv' io per la non piana via,
Seguendo pur alcun, ch' io scorsi lunge,
E fur tra noi cantando illustri e conti:
Erano i piè men del desir mio pronti,
Ond' io del sonno e del riposo l'ore
Dolci scemando, parte aggiunsi al die
De le mie notti, anco in quest'altro errore,
Per appressar quella onorata schiera;
Ma poco alto salir concesso m'era
Sublimi elette vie,

Onde 'l mio buon vicino

Lungo Permesso feo novo cammino. Deh come seguir voi miei piè fur vaghi Nè par, ch' altrove ancor l'alma s'appaghi! Ma volse il pensier mio folle credenza A seguir poi falsa d'onore insegna, E bramai farmi a i buon di fuor simile; Come non sia valor, s' altri nol segna Di gemme e d'ostro; o come virtù, senza Alcun fregio, per se sia manca e vile. Quanto piansi io, dolce mio stato umile, I tuoi riposi, e i tuoi sereni giorni Volti in notti atre e rie, poich'io m'accorsi, Che gloria promettendo, angoscie e scorni Dà il Mondo; e vedi quai pensieri ed opre Di letizia talor veste, o ricopre.

Ecco le vie, ch' io corsi,

Distorte: or vinto e stanco,

Poichè varia ho la chioma, infermo il fianco,

Volgo, quantunque pigro, indietro i passi; Che per quei sentier primi a morte vassi. Picciola fiamma assai lunge riluce,

Canzon mia mesta; ed anco alcuna volta
Angusto calle a nobil terra adduce.

Che sai, se quel pensiero infermo e lento
Ch'io mover dentro a l'alma afflitta sento
Ancor potrà la folta

Nebbia cacciare, ond' io

In tenebre finito ho il corso mio,

E per secura via, se 'l Ciel l' affida,

Sì com' io spero, esser mia luce e guida?
BARTOL. CARLI DE' PICCOLOMINI.

Dalla Racc. de' Sonetti d'Accademici Sanesi del Santi.

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SONET TO.

O sacro Tebro, che turbato il volto,
De gli eccelsi tuoi colli bagni il piede,
Mirando le rovinose prede,

pur

Ch'ha fatto il tempo, e 'l ferro audace e stolto; Alza la testa, e 'l crin da' giunchi sciolto Leva da gli occhi, e mira il Sol, che riede Con disusata luce a farti fede,

Com'è 'l Ciel tutto ad arricchirti volto. Quello antico valor, quell' alta gloria Risorger viva in poca ora vedrai

Da le ceneri sue come fenice.

A le fugaci penne la vittoria

Fermerà 'l corso in questo nido, e avrai
Il tuo Cesare primo, e più felice.

BERNARDINO ROTA

Napoletano ancor tenero giovanetto produsse eleganti componimenti si nella latina, che nell'italiana favella. È il migliore de' seguaci di Petrarca, a di cui imitazione pianse a lungo la morte di Porzia Capece sua consorte. Fu inventore delle Egloghe Pescatorie. Mori in Napoli compianto dai buoni, e dai letterati nel 1575. d'anni 66.

SONETTO

Parte dal suo natío povero tetto,
Da pure voglie accompagnato intorno,
Contadin rozzo, e giunge a bel soggiorno
Da chiari pregi a gran diporto eletto.

Ivi ha tal meraviglia, e tal diletto,
Scorgendo di ricch' opre il loco adorno;
Che gli occhi e'l piè non move, e noja e scorno
Prende del dianzi suo caro alberghetto.

Tal avvien al pensier, se la bassezza
Del mendico mio stil lascia, e ne viene
Del vostro a contemplar l' alta ricchezza,

Casa, vera magion del primo bene:

In cui per albergar Febo disprezza
Lo Ciel', non che Parnaso, ed Ippocrene.

SONETTO.

Qual Uom, se repentin folgor l'atterra,
Riman di se medesmo in lungo obblio;
Dal tuo ratto sparir tal rimas' io
Legno dannato a foco, arida terra.
Chè la prigion non s'apre, e non si sferra
Il mezzo, che restò del viver mio:
Fulminata la speme, e col desio

Ogni mia gioja, ogni mio ben sotterra.
In cotal guisa chi può dir, ch' uom viva?
O manca, o tronca vita! e pur pietade
Devria trovar chi l'esser tiene a sdegno.
Così calcata serpe parte è viva,

Parte morta si giace: e così legno

Tocco in selva dal Ciel pende, e non cade.

SONET TO.

Questo cor, questa mente, e questo petto
Sia il tuo sepolcro, e non la tomba o'l sasso,
Ch'io t'apparecchio qui doglioso e lasso;
Non si deve a te Donna altro ricetto.
Ricca sia la memoria e l'intelletto

Del ben, per cui tutt'altro a dietro io lasso; E mentre questo mar di pianto passo, Vadami sempre innanzi il caro obbietto. Alma gentil, dove abitar solei

Donna, e reina in terren fascio avvolta
Ivi regnar celeste immortal dei,
Vantisi pur la morte averti tolta

Al mondo: a me non già; ch'a pensier miei
Una sempre sarai viva, e sepolta.

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