E Tal fur, lasso, le vie de' pensier miei E talor fu, ch' io l torsi, e ben conviene Ne le sue prime forme Tornar già mai, che pria non segni l'orme Pietà superna nel cammin verace, E la tragga di guerra, e ponga in pace. Quel vero Amor dunque mi guidi e scorga, Che di nulla degnò si nobil farmi; Poi per se se'l cor pure a sinistra volge, Nè l'altrui puo', nè 'l mio consiglio aitarmi; Si tutto quel, che luce a l'alma porga, Il desir cieco in tenebre rivolge. Come scotendo pure al fin si volge Stanca talor fera da i lacci, e fugge; Tal io da lui, ch' al suo venen mi colse Con la dolce esca, ond' ei pascendo strugge, Tardo partimmi e lasso, a lento volo; Indi cantando il mio passato duolo, In se l'alma s'accolse; E di desir novo arse, Credendo assai da terra alto levarse : Ond' io vidi Elicona, e i sacri poggi Salii, dove rado orma è segnata oggi. Qual peregrin, se rimembranza il punge Di sua dolce magion, talor s'invia Ratto per selva, e per alpestri monti; Onde 'l mio buon vicino Lungo Permesso feo novo cammino. Deh come seguir voi miei piè fur vaghi Nè par, ch' altrove ancor l'alma s'appaghi! Ma volse il pensier mio folle credenza A seguir poi falsa d'onore insegna, E bramai farmi a i buon di fuor simile; Come non sia valor, s' altri nol segna Di gemme e d'ostro; o come virtù, senza Alcun fregio, per se sia manca e vile. Quanto piansi io, dolce mio stato umile, I tuoi riposi, e i tuoi sereni giorni Volti in notti atre e rie, poich'io m'accorsi, Che gloria promettendo, angoscie e scorni Dà il Mondo; e vedi quai pensieri ed opre Di letizia talor veste, o ricopre. Ecco le vie, ch' io corsi, Distorte: or vinto e stanco, Poichè varia ho la chioma, infermo il fianco, Volgo, quantunque pigro, indietro i passi; Che per quei sentier primi a morte vassi. Picciola fiamma assai lunge riluce, Canzon mia mesta; ed anco alcuna volta Che sai, se quel pensiero infermo e lento Nebbia cacciare, ond' io In tenebre finito ho il corso mio, E per secura via, se 'l Ciel l' affida, Sì com' io spero, esser mia luce e guida? Dalla Racc. de' Sonetti d'Accademici Sanesi del Santi. SONET TO. O sacro Tebro, che turbato il volto, pur Ch'ha fatto il tempo, e 'l ferro audace e stolto; Alza la testa, e 'l crin da' giunchi sciolto Leva da gli occhi, e mira il Sol, che riede Con disusata luce a farti fede, Com'è 'l Ciel tutto ad arricchirti volto. Quello antico valor, quell' alta gloria Risorger viva in poca ora vedrai Da le ceneri sue come fenice. A le fugaci penne la vittoria Fermerà 'l corso in questo nido, e avrai BERNARDINO ROTA Napoletano ancor tenero giovanetto produsse eleganti componimenti si nella latina, che nell'italiana favella. È il migliore de' seguaci di Petrarca, a di cui imitazione pianse a lungo la morte di Porzia Capece sua consorte. Fu inventore delle Egloghe Pescatorie. Mori in Napoli compianto dai buoni, e dai letterati nel 1575. d'anni 66. SONETTO Parte dal suo natío povero tetto, Ivi ha tal meraviglia, e tal diletto, Tal avvien al pensier, se la bassezza Casa, vera magion del primo bene: In cui per albergar Febo disprezza SONETTO. Qual Uom, se repentin folgor l'atterra, Ogni mia gioja, ogni mio ben sotterra. Parte morta si giace: e così legno Tocco in selva dal Ciel pende, e non cade. SONET TO. Questo cor, questa mente, e questo petto Del ben, per cui tutt'altro a dietro io lasso; E mentre questo mar di pianto passo, Vadami sempre innanzi il caro obbietto. Alma gentil, dove abitar solei Donna, e reina in terren fascio avvolta Al mondo: a me non già; ch'a pensier miei |