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Se da vertute non ha gentil core,
Com' acqua porta raggio,

E'l Ciel ritien le stelle e lo splendore. Splende l'intelligenza de lo Celo,

Deo creator più ch' a nostr' occhi il Sole.
Quella l'incende so fattore oltra celo;
Lo Cel volgendo a lui obedir tole:
Consegui al primiero

Dal giusto Deo beato compimento.
Così dar dovria 'l vero

La bella Donna, che gli occhi risplende
De lo gentil talento,

Che mai di lei ubbidir non si disprende, Donna, Deo mi dirà, che presumesti? Siando l'Alma mia lui davanti :

Lo Cel passasti, e fino a me venisti,
E desti in vano Amor me per semblanti,
Ch'a me conven le laude,

Ch' alla Reina di regname degno,
Per cui cessa onne fraude,

Dirle potrò tene d'Angel sembianza,
Che fosse del tuo regno;

Non mi fue fallo, s'io le puosi amanza.

A Fra Guittone di Arezzo viene comunemente attribuita la gloria d'aver condotto a perfezione il più leggiadro componimento della Lirica italiana, cioè il Sonetto (1). Di lui scrisse diffusamente la

(1) Crescimbeni. Comment. t. II. p. 264.

ed in più altri luoghi.

Raccolta di Lirici,

b

vita il Conte Mazzuchelli. Egli appartenne ai Cavalieri della milizia della Vergine Maria, e nell'anno 1293. fondò il monastero degli Angioli dell'ordine Camaldolese in Firenze. Le sue rime non mancano di grazia e di gentilezza, quantunque Benvenuto da Imola dica di lui, che bonas sententias adinvenit, sed debilem stylum, sicut potest intelligi ex libro, quem fecit (1). Le sue poesie leggonsi nel libro VIII. della Raccolta de' poeti antichi fatta dai Giunti nel 1527., delle quali eccone un saggio nel seguente sonetto, trascritto colla sua propria ortografia.

Quanto più mi destrugge il meo pensiero
Chè la durezza altrui produsse al mondo;
Tanto ognhor(lasso) in lui piùmiprofondo;
E' co'l fuggir de la speranza spero :
E o parlo meco; è riconosco in vero,
Chè mancherò sotto si grave pondo;
Ma'l meo fermo disio tant' è giocondo,
Ch'eo bramo è seguo la cagion, ch'eo pero:
Ben forse alchun uerrà dopo qualche anno;
Il qual leggendo i miei sospiri in rima
Si dolerà de la mia dura sorte:

E' chì sa; chè colei, c' hor non mi estima
Visto con il mio mal giunto il suo danno
Non deggia lagrimar dè la mia morte? (2)

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Oltre i poeti da Dante onorevolmente nominati moltissimi altri ve ne sono, che a questa età appartennero, e de' quali legger si possono le memorie presso il Quadrio, ed il Crescimbeni. Imperocchè non vi fu parte alcuna dell' Italia, in cui non venisse con sommo fervore coltivata la volgare poesia, appena fu dessa sortita dalla rozza ed incolta sua culla (1). Per non allontanarmi dunque dal mio scopo, io rimetto a que' due Scrittori chiunque vago

netto a Giusto de' Conti, ed alcuni altri al Trissino, senza averne un certo fondamento. Ch'esso sia di Fra Guittone, oltre i Giunti lo confermano pure il Crescimbeni, ed il Compilatore della Raccolta de' poeti d'ogni secolo fatta in Bologna nel 1709.

(1) Due poeti Milanesi appartengono pure a questa età. Il primo è Pietro detto della Basilica di S. Pietro, cognome di nobile famiglia ora chiamata Bascape. Egli scrisse la storia del vecchio e del nuovo testamento in versi italiani assai rozzi l'anno 1264. Di lui parla l'Argelati. Bibl.

Script. mediol. t. I. pars II. p. 129. L'al

tro è Fr. Buonvicino da Riva del terzo ordine degli Umiliati, del quale molte poesie italiane scritte verso l'anno 1290. conservansi nei codici della Biblioteca, Ambrosiana. Vet. Humil. Monum. t. I, p. 297

fosse di averne più lunghe o più minute

notizie.

e

Ben sembra, che sarebbe questo il luogo di ricercare chi sieno stati i primi autori de' sonetti, de' madrigali, delle ballate, delle canzoni, e di altri siffatti componimenti. Ma come mai dar luce ad una ricerca relativa a' tempi oscurissimi privi d'ogni memoria, che ne additi una sicura via? Finchè adunque non riceva maggior lume questa quistione, fa d'uopo concedere qui ancora a' Provenzali l'invenzione delle varie specie, che poi introdotte furono nella lirica italiana. Cosa indubitabile è bensì, che tutte le anzidette specie, e quelle ancora più da' moderni usitate, furono già in uso presso i più antichi nostri poeti. Non sarà perciò disaggradevole cosa a' miei Leggitori, che delle principali d'esse io qui aggiunga un brevissimo saggio. E primieramente già vedemmo che a Fr. Guittone d'Arezzo viene attribuita la gloria d'aver condotto a perfezione il sonetto, che l'Italia ricevuto avea da'Provenzali rozzo tuttora e deforme (1). Pros

(1) Non solo del sonetto, ma delle varie sue specie, e delle aggiunte ancora, che ad esso furono fatte col nome di coda, noi abbiamo esempi presso gli antichi. Oltre quelli che leggere si possono nel Crescim

simo al sonetto e per età e per interna struttura è il Madrigale, di cui eccone uno di Madonna Ricciarda de' Selvaggi a M. Cino da Pistoja da lei teneramente a

mato.

Gentil mio sir, lo parlare amoroso

Di voi, si in allegranza mi mantenne, Che dirvel non poria, ben lo sacciate: Perchè del mio amor sete gioioso,

Di ciò grand' allegria e gio' mi vene,

beni, nel Quadrio ed in altri, eccone uno assai bello di Lorenzo de' Medici:

Veggo Giustizia scolorita e smorta,
Magra, mendica, e carca di dolore,
E sento far di lei sì poco onore,
Che ha le bilance a' piè, la spada torta.
Drieto le veggio andar una gran scorta
Con fede, carità e vero amore;
Ma l'oro ha oggi in se tanto valore,
Che l'ha ferita, a tal ch' è quasi morta :
Ond'ella giace tutta vulnerața

Cogli occhi bassi, e in capo ha un certo velo,
E drieto a lagrimar molta brigata.
Tal che gli stridi vanno infino al cielo,
Ella riman scontenta e sconsolata,
E molti intorno van lasciando il pelo;
Sicchè non v' è più zelo
Di fe, di carità; ma sol nequizia
Regna nel mondo; e più v'è l' avarizia

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