Ed altro mai non haggio in volontate, Tutt' hora fate la vostra voglienza: Voi di celar la nostra desienza. Il Minturno è d'avviso, che più ancora del sonetto e del madrigale antiche siano le Ballate, che, come l'istessa voce significa, si cantavano ballando: ora che esse si trovino i metri e gli andamenti di quelle specie di lirica poesia, che presero poi il nome di Ode, di Anacreontica, di Canzonetta, e di Ditirambo, chiaramente si potrà scorgere dalle tre ballate, che qui aggiungo, perchè servir possano quasi di esempio. La prima leggesi tra le Carzoni a ballo composte dal Magnifico Lorenzo de' Medici, e raccolte nella rarissima edizione di Firenze 1568. (1). Essa è contra l' invidia e la maldicenza. (1) Prima ancora delle Ballate che leggonsi nella citata edizione di Firenze e nelle Rime di Petrarca, e de' suoi imitatori, moltissime ve ne sono di autori del XIII. secolo. Ho nondimeno creduto bene di scegliere queste tre, perchè mi sono sembrate e più eleganti, e meglio condotte delle più antiche. Chi vuol viver con diletto Quanto se pessima e ria! La seguente è pure di Lorenzo de' Medici. Essa è di carattere burlesco, ed esprime vivamente il costume delle donnicciuole fiorentine. Io l'aggiungo qui come sta nella magnifica edizione fatta in Londra nel 1801. dal Sig. Leonardo Nardini, alla cui rara intelligenza debbesi il vanto d'aver fatto sempre più gustare agli oltramontani i più bei frutti dell' italiana poesia. Poich' io son stato pregato E non tanto cicalare, S'una si fa alla finestra, Per la via più che non suole و La terza finalmente è cavata dai mar mi del Doni (1), e non è molto dissimile dalle Canzonette, che tanto vennero poi in pregio presso i moderni. Essa appartiene alle Canzoni, che cantar si soleano nella festa del Maggio, e che diceansi ancora Maggiolate. Nel vago, dolce, dilettoso Maggio A piè di questo faggio Nostri felici amori; Che'l Dio Pan porge orecchio al nostro canto. Il Dio Pan porge orecchio al nostro canto, Crollan le verdi cime. S' accordan con suo' versi a nostre rime. S' accordan con suo' versi a nostre rime Le Pastorelle, Che ne le selve ombrose Pascon le pecorelle Cogliendo gigli e le selvagge rose. Cogliendo gigli e le selvagge rose. Vidi l'altr' hieri La mia pulita Rosa Fra secreti sentieri, Nè mai la vidi sì bella e sdegnosa. Nè mai vidi la mia si humana e bella, (1) Par. I. Ragion. VII. |