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che la Religione. (1) Ciò appunto ne viene insegnato sotto il velo della favola stessa di Orfeo, il quale avendo avuto in dono da Mercurio quella meravigliosa lira, rattemprava con essa i barbari costumi, allettando gli uomini ad unirsi in una ben costituita società (2); e tali forse esser doveano i poeti, perché Platone non isdegnasse di dar loro accesso nella severa sua Repubblica. Nell'origine stessa pertanto della lingua italiana rintracciar si dee l'origine della lirica volgare Poesia.

Da che sulle rovine del latino idioma e sul bizzarro concorso di stranieri vocaboli diffusi per l'Italia coll'invasione dei Barbari, si vide nascere l'italiana lingua, sorsero pure ad un tempo Rimatori in ogni genere, i quali co' loro versi non poco contribuirono a dirozzarla, ed a spargerla per le varie contrade. Non è però mio scopo di qui rintracciare a qual popolo debbasi particolarmente l'origine della rima, cui troviamo bentosto in uso presso i più antichi poeti dopo la discesa de' Barbari. Fu questa una controversia già a lungo agitata, ma inutilmente, dai più valenti letterati; essendovene alcuni, che han voluto derivarla

per

(1) Horat. lib. I. Od. 10. Ovid. Fast. V. Varr. lib. II.

(2) Strab. lib. X.

sino dagli Arabi e dai Turchi (1). Io farò solo qualche cenno sulla celebre quistione intorno al primato delle due volgari lingue, della provenzale cioè e dell'italiana; e dietro all' orme dell' illustre Tiraboschi brevemente ricercherò quale di esse due sia stata la prima a far uso di versi rimati.

Se attener ci potessimo all'autorità di Petrarca, la quistione sarebbe bentosto decisa a favore degl' Italiani. Egli difatti nella prefazione alle sue epistole famigliari parlando della rima dice: Quod genus apud Siculos (ut fama est ) non multis ante saeculis renatum brevi per omnem Italiam ac longius manavit; ed accennando i poeti, che scrissero d'amore, aggiunge:

Ecco i due Guidi, che già furo in prezzo;
Onesto bolognese, e i Siciliani,
Che fur già primi, e quivi eran da sezzo (2).

Ma oltre che questi due passi lasciano luogo a varie interpretazioni intorno al vero sentimento di Petrarca, essi hanno altresì

31 г.

(1) Arteaga. Dell'origine, ec. p. Andres. Rivoluzioni del Teatro, ec. p. 145. Le Grand. Pref. Muratori. Antiq. Ital. Vol. II. diss. 40. Tiraboschi Vol. III. Crescimbeni Vol. I. Quadrio ed altri. (2) Trionfo d'Amore c. IV.

in opposizione le epoche e più antiche e più sicure de' Provenzali (1). Noi difatti vantar non possiamo esempio di Poesia italiana prima del XII. secolo, laddove la Storia letteraria di Francia (2) ci addita un Guglielmo IX. conte di Poitiers, che verso il fine del secolo XI. ed al principio del XII. scrisse poesie provenzali. Dante stesso nella sua Vita nuova non annovera alcun poeta, che vissuto sia prima del XIII. secolo. Conviene perciò collo stesso Tiraboschi concedere a'Provenzali il primato di tempo nella volgare poesia, e mostrare con ciò, che paghi delle nostre glorie non invidiamo le altrui. Ommettendo adunque di più a lungo parlare de' poeti provenzali, intorno a cui può consultarsi il chiarissimo Abate Millot (3), pare che agli anni 1135. e 1184. appartener potrebbero i due più antichi monumenti di poesia italiana, se pure la loro epoca non fosse contrastata da altri più sicuri monumenti, e dall'autorità ancora d'insigni Scrittori. Il primo è un' iscrizione della chiesa cattedrale di Ferrara, ed il secondo un'altra iscrizione tratta da

(1) Nostradamus. Vite de' Poeti provenzali. Goujet. Bibl. Franc. Vol. VIII. Hist. génér. de Languedoc. Vol. III.

p. 44.

(2) Hist. litter. de la France, Vol. XI.

(3) Hist. littér. des Troubadours.

una lapide, che a' tempi di Vincenzo Borghini (1) conservavasi tuttavia in Firenze nella Casa Ubaldini. Ma contro di amendue queste iscrizioni si oppone la forma de' caratteri, e contra quella di Ferrara l'autorità ancora del Guarini, il quale afferma che essa non fu scolpita che nel 1340. Quella poi della nobile famiglia Ubaldini era già stata posta in dubbio dal Fontanini, e fu di poi come supposta intieramente rigettata dal P. Ireneo Affò, e dal Tiraboschi, i quali ne dimostrano anzi le più aperte contraddizioni negli anni e negli avvenimenti in esse riportati (2). Nè più sicuri sono gli argomenti, che recansi da Francesco Giambullari per provare, che un certo Lucio Drusi pisano coltivasse sino dal 1170. l'italiana poesia (3) giacchè essi non ad altro si appoggiano che ad un supposto sonetto di Agatone Drusi, e ad alcune mal tessute congetture, che vengono confutate dal Tiraboschi e da altri.

(1) Discorsi, par. II. p. 26.

(2) Fontanini. Dell Eloq. p. 118. Affò. Dizion. poet. Dissert. preliminare.

(3) Giambullari. Orig. della Lingua fiorent. p. 133. Anche il Crescimbeni, Comment. della volgar Poesia t. I. p. 403. sospettò che fosse supposto il sonetto di Agatone Drusi, ed in conferma de' suoi dub bj addusse il sentimento del Salvini.

Finchè adunque non si scopra qualche più certo monumento, il quale dimostri che prima ancora del 1187. fosse in alcuna parte dell'Italia coltivata la volgare poesia, fa d'uopo concedere a Ciullo, ossia Vincenzo Dalcamo, o dal Camo siciliano il primato di tempo fra i poeti, che qualche saggio cominciarono a produrre di versi italiani. Tanto ad onore della loro nazione vantar possono i Siciliani; e tanto hanno saputo dimostrare i loro scrittori, e singolarmente il Mongitore (1). Di Ciullo abbiamo difatti una Canzone (2) composta di stanze di cinque versi, i primi tre dei quali sono una specie di martelliani. In essa fa Ciullo menzione di Saladino, e del Soldano d'Egitto, dicendo alla sua Donna:

Se tanto avere donassimo quanto a lo Saladino,

E per ajunta quanta lo Soldano,
Toccareme non poteria la mano.

Mongitore Bibl. Sic. t. I. p. 140. (2) Questa Canzone fu pubblicata da Leone Allacci nella sua Raccolta degli antichi poeti, e dopo di lui dal Crescimbeni, Comment. t. III. p. 2. Dante nella sua volgare Eloquenza l. I. c. 12. riferisce il terzo verso di questa medesima Canzone quasi ad esempio del siciliano dialetto

senza nominarne l'autore.

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