E questo fece i nostri passi scarsi Tanto, che pria lo scemo della luna (6) Rigiunse al letto suo per ricorcarsi, Che noi fossimo fuor di quella cruna (7). Ma quando fummo liberi ed aperti Su dove il monte indietro si rauna (8), Io stancato, ed ambedue incerti Di nostra via, ristemmo su in un piano Solingo più che strade per diserti. Dalla sua sponda ove confina il vano, A' piè dell' alta ripa che pur sale, Misurrebbe (9) in tre volte un corpo umano: E quanto l'occhio mio potea trar d'ale (10) Or dal sinistro ed or dal destro fianco, Questa cornice mi parea cotale (11). Lassù non eran mossi i piè nostri anco, Quand' io conobbi quella ripa intorno Quivi intagliato in un atto soave, Però ch' ivi era immaginata (15) quella Da quella parte onde il core ha la gente (18): Perch' io mi mossi col viso, e vedea (19) Diretro da Maria, per quella costa Onde m'era colui che mi movea, Un'altra storia nella roccia imposta: Perch'io varcai Virgilio, e femmi presso, Acciocchè fosse agli occhi miei disposta. Era intagliato li nel marmo stesso Lo carro e i buoi traendo l'arca santa, Perchè si teme ufficio non commesso (20). Dinanzi parea gente, e tutta quanta Partita in sette cori, a' duo mici sensi (21) Facea dicer l'un No, l'altro Si canta. Similemente al fumo degl' incensi Che v'era immaginato, e gli occhi e il naso (22) Trescando alzato, l'umile Salmista, D'un gran palazzo Micol ammirava, Del roman prince, lo cui gran valore Ed una vedovella gli era al freno (26), Dintorno a lui parea calcato e pieno Di cavalieri, e l'aquile nell'oro (27) Sovr' esso in vista al vento si movieno. La miserella infra tutti costoro Parea dicer: Signor, fammi vendetta Del mio figliuol ch'è morto, ond'io m'accoro Ed egli a lei rispondere: Ora aspetta Tanto ch'io torni; ed ella: Signor mio, Come persona in cui dolor s'affretta: Se tu non torni? Ed ei: chi fia dov'io (28) La ti farà; ed ella: L'altrui bene A te che fia, se'l tuo metti in obblio (29)' Ond' elli: Or ti conforta, chè conviene Ch'io solva il mio dovere anzi ch'io muova: Giustizia vuole, e pietà mi ritiene. Colui, che mai non vide cosa nuova (30) Produsse esto visibile parlare Novello a noi, perchè qui non si truova. Mentr' io mi dilettava di guardare Le immagini di tante umilitadi, E per lo fabbro loro (31) a veder care; Ecco di qua, ma fanno i passi radi, Mormorava il poeta, molte genti: Questi ne invieranno agli alti gradi: Gli occhi miei ch'a mirar erano intenti Per veder novitadi onde son vaghi, Volgendosi ver lui non furon lenti. Non vo' però, Lettor, che tu ti smaghi (32) Di buon proponimento, per udire Come Dio vuol che il debito si paghi. Non attender la forma del martire (33): Pensa la succession, pensa che, a peggio, Oltre la gran sentenzia non può ire. Io cominciai: Maestro, quel ch'io veggio Muover a noi, non mi sembran persone, E non so che (34), si nel veder vaneggio Ed egli a me: La grave condizione Di lor tormento a terra gli rannicchia Si, che i miei occhi pria n'ebber tenzone (35 Ma guarda fiso là, e disviticchia (36) Col viso quel che vien sotto a quei sassi: Già scorger puoi come ciascun si picchia (37 O superbi Cristian miseri lassi, Che della vista della mente infermi Fidanza avete ne' ritrosi passi (38); Non v'accorgete voi che noi siam vermi Nati a formar l'angelica farfalla (39) Che vola alla giustizia senza schermi? Di che l'animo vostro in alto galla (40)7 Voi siete quasi entomata in difetto (1), Si come verme in cui formazion falla. Come per sostentar solajo o tetto, Per mensola (42) talvolta una figura Si vede giunger le ginocchia al petto, La qual fa del non ver vera rancura (43) Nascere a chi la vede; così fatti Vid' io color, quando posi ben cura. Ver' è che più e meno eran contratti, Secondo ch' avean più e meno addosso ( E qual più pazienzia avea negli atti, Piangendo parca dicer: Più non posso. NOTE (1) Poi, poichè. Soglio, porta. (2) Che il mal amor ec. Cui rende poco usata, o aperta raramente, l'appetito disordinato degli uomini, poichè facendo esso parere che quello che è male sia bene, li manda in perdizione. (3) Qual fora stata ec. Perchè avvertito dall'Angelo di non guardare addietro. Vedi i versi 131. e 132. del Can. anteced. (4) Che si moveva ec. Che si distendeva dali una e dall'altra parte, serpeggiando a guisa d'un ruscello. (5) Al lato che si parte. Al lato che dà volta. (6) Lo scemo della luna. Quella parte della luna che rimane oscurata, e che è la prima a toccar l'orizzonte. Or dunque dicendo Dante, che pria lo scemo della luna rigiunse al letto suo per ricorcarsi, che noi fossimo fuor di quella cruna, vuol dire ch'erano già quasi quatir' ore di sole innanzi ch'ei n'uscissero di quella viottola; imperciocchè nel giorno quinto dopo il plenilunio, che è quel giorno in cui Enge il poeta la scena presente, il tramonto della luna cade appunto quattr' ore dopo il nascer del sole. (7) Di quella cruna. Di quello stretto calle incavato sulla pietra, a guisa di cruna d'ago. (8) Indietro si rauna. Si ritira indietro, de' sette cori, che se l'orecchio mi diceva: non cantano; l'occhio mi diceva: sì, cantano. (22) E gli occhi e il naso ec. Intendi come sopra, ove si parla degli altri due sensi. - Fensi, si fenno. (23) Al benedetto vaso. All'Arca. Trescando alzato. Danzando, e nell'atto del salto. (24) Ad una vista. Ad una finestra. - Micol ammirava, sì come donna ec. Micol era figlia di Saulle e moglie di David, la quale si offese dell' umiltà che trescando mostrava il marito suo. (25) Per avvisar. Per fissar col guardo, per vedere. Mi biancheggiava. Mi comparia biancheggiante sul marmo. (26) Gli era al freno. Gli prendeva la briglia del cavallo. (27) Nell' oro. Ricamate in oro nell'insegne. (28) Chi fia dov' io. Chi fia nel mio seggio. (29) L'altrui bene a te che fia ec. Che lode avrai tu se altri farà il suo dovere, quando tu stesso trascuri di fare il proprio ? (30) Colui ec. Iddio che, vedendo tutto ab eterno, non vede certamente cosa mai che nuova gli riesca. (31) E per lo fabbro loro ec. Intendi: e che a vederle mi recavano diletto, come quelle che erano opera di Dio. (32) Ti smaghi. Ti diparta. (33) Non attender ec. Non badare alla forma di queste pene del Purgatorio ; ma pensa piuttosto a ciò che verrà dietro di loro, vale a dialla gloria dei beati; pensa, che alla peggio che andar possa, queste pene non dureranno al di là del giudizio finale. re, (34) E non so che. E non so che cosa mi sembri. (35) N' ebber tenzone. Stetter fra 'l si el no, prima di conoscere che oggetti fosser quelli. (36) E disviticchia col viso. E distingui colla vista. (37) Si picchia. È picchiato, è tormentato. (38) Fidanza avete ne' ritrosi passi. Credete di camminar dritto, quando andate per sentiero contrario alla ragione. (39) L'angelica farfalla. L'anima spirituale. Che vola alla giustizia ec. Che sciolta dal corpo viene dinanzi all'eterna giustizia, senza speranza di poter fare schermo alle proprie colpe, e di poterle nascondere. (40) In alto galla. In alto galleggia, si leva in superbia. Si come verme (41) Entomata in difetto. Modo scolastico, e vale: siete insetti difettosi. ec. Come verme che non forma perfetta farfalla. (42) Mensola. Così dicono gli architetti quel pezzo che sostiene cosa che sporgasi fuori del GANTO UNDEGIMO ARGOMENTO. Intanto che viene, siccome dicemmo, quella | l' inganno di coloro, ch'essendosi acquistati al | turba pietosa, le pone in bocca il poeta la parafrasi dell' orazione domenicale; la più santa in vero di tutte le orazioni, e la più confacevole alle anime che purgano il reato della superbia. Imperocchè si chiede per quella che il nome di Dio, non il nostro, abbia lode, e che la divina volontà, non la nostra, si faccia. Or essendosi avvicinati quei miseri, dimanda loro Virgilio con parole di dolcissimo affetto per dove giungasi alla scala del secondo balzo; e rispondendogli | | fra tutti Omberto degli Aldobrandeschi, lo in- | vita a seguitare la moltitudine per arrivarvi. Nato costui di Guglielmo Aldobrandeschi dei Conti di Santafiore, famiglia potentissima nella Maremma di Siena, tanto per gli arroganti suoi modi e per le sue prepotenze dispiacque ai Senesi, che assalito da una banda di essi presso Campagnatico, vi lasciò miseramente la vita. Or udendo l'Alighieri da lui medesimo l'esser suo, la colpa, e la maniera dello scontarla, compunto forse dall' interno rimorso della propria | alterezza, va oltre con basso volto, e ravvisa Oderisi da Gubbio, eccellente miniatore della scuola di Giotto. Al quale indirizzando parole di lode, si scusa l' Artista con umil riserva, ed esalta sopra le proprie opere quelle di Franco Bolognese, per cui l'arte del Miniatore s' accostò d'assai alla perfezione. Poi aggiungendo ch'ei non sarebbe stato sì giusto a confessare tal verità, quand' egli era tra i vivi e sentia gli stimoli dell' ambizione, parla con bellissime sentenze della vana gloria di questo mondo, e del cuna fama di quassù, eterna la credettero e inarrivabile. Del numero dei quali fu tra gli altri, giusta il parer d'Oderisi, Provenzano Salvani, ch' egli fa osservare al poeta in quella schiera affaticato ed oppresso. Ebbe Provenzano distinta nascita in Siena, e riuscì uomo assai valente in guerra ed in pace, ma superbo e audacissimo. Ruppe i Fiorentini all' Arbia; poi vinto da Giambertoldo, vicario di Carlo I re di Puglia, e capitano di parte Guelfa, ebbe mozzo il capo. Il perchè fa Dante le meraviglie di trovarlo quivi, e non piuttosto nell' Antipurgatorio, dove si stanno coloro che indugiarono fino alla morte il pentirsi. Al che pur risponde Oderisi, aver egli ottenuto grazia di quel confine, in ricompensa di un'azione magnanima. Era Provenzano ne' tempi della sua maggior fortuna, quando un amico suo cadde prigion dei nemici, ne potevasi riscattare da Carlo che collo sborso di diecimila fiorini d'oro. Adunque non isdegnò quell' altero capitano d' umiliarsi a supplicare il popolo in atto di mendico, perchè soccorresse di tal somma il prigioniero: atto in verità generoso, ma duro bene a sostenersi per le anime gentili, che ridotte ad elemosinare, tremano per ogni vena. La qual cosa, conclude Oderisi, se adesso non giungi a comprendere, verrà tempo che i tuoi concittadini ti daran motivo di provare in te stesso. Con che gli vaticina l'esilio, e la miseria e le umiliazioni che accompagnato lo avrebbero. padre nostro che ne' cieli stai, Da ogni creatura, com'è degno Di render grazie al tuo alto vapore (2). Vegna ver noi la pace del tuo regno, Che noi ad essa non potem da noi (3), S'ella non vien, con tutto il nostro ingegno. Come del suo voler gli Angeli tuoi Fan sacrificio a te cantando Osanna, Senza la qual per questo aspro diserto E come noi lo mal che abbiam sofferto Quell' ombre orando, andavan sotto il pondo, Se di là sempre ben per noi si dice, Di qua che dire e far per lor si puote Che portar quinci, si che mondi e levi Tosto, si che possiate mover l'ala, Si va più corto, e se c'è più d'un varco, Quel ne insegnate che men' erto cala (10): Che questi che vien meco, per l'incarco Della carne d'Adamo onde si veste, Che dette avea colui cu' io seguiva, Che la cervice mia superba doma, De' miei maggior mi fer sì arrogante, Che non pensando alla comune madre (12), Ogni nomo ebbi in dispetto tanto avante Ch'io ne morii, come i Senesi sanno, E sallo in Campagnatico ogni fante (13). Io sono Omberto: e non pure a me danno Superbia fe', chè tutti i miei consorti Ha ella tratti seco nel malanno. E qui convien ch'io questo peso porti Per lei, tanto che a Dio si soddisfaccia, Pei ch'io nol fei tra'vivi, qui tra' morti. Ascoltando chinai in giù la faccia, Ed un di lor (non questi che parlava) Si torse sotto il peso che lo impaccia: E videmi e conobbemi e chiamava, Tenendo gli occhi con fatica fisi A me che tutto chin con loro andava. 0, lissi lui, non se'tu Oderisi, L'onor d'Agobbio, e l'onor di quell'arte (14) Che alluminare è chiamata in Parisi? Frate, diss' egli, più ridon le carte Che pennelleggia Franco Bolognese : L'onore è tutto or suo, e mio in parte (15). Ben non sare' io stato si cortese Mentre ch'io vissi, per lo gran disio Di tal superbia qui si paga il fio; Ed ancor non sarei qui, se non fosse (16) Che, possendo peccar, mi volsi a Dio. O vanagloria dell'umane posse, Com poco verde in su la cima dura, Tener lo campo, ed ora ha Giotto grido, Così ha tolto l'uno all'altro Guido (19) 107 La gloria della lingua, e forse è nato Chi l'uno e l'altro caccerà di nido. Non è il mondan romore altro che un fiato Di vento che or vien quinci ed or vien quindi, E muta nome perchè muta lato. Che fama avrai tu più, se vecchia scindi (20) Da te la carne, che se fossi morto Innanzi che lasciassi il pappo e il dindi, Pria che passin mill' anni? che è più corto Spazio all' eterno, che un muover di ciglia Al cerchio che più tardi in cielo è torto. Colui che del cammin si poco piglia Dinanzi a me, Toscana sono tutta, Ed ora a pena in Siena sen pispiglia; Ond' era sire quando fu distrutta (21) La rabbia Fiorentina, che superba Fu a quel tempo si com' ora è putta. La vostra nominanza è color d'erba (22) Che viene e va, e quei la discolora Per cui ell' esce della terra acerba. Ed io a lui: Lo tuo ver dir m'incuora (23) Buona umiltà, e gran tumor m' appiani: Ma chi è quei di cui tu parlavi ora? Quegli è, rispose, Provenzan Salvani; Ed è qui perchè fu presuntuoso A recar Siena tutta alle sue mani. Ito è così, e va senza riposo Poi che mori: cotal moneta rende A soddisfar chi è di là tropp' oso (24). Ed io: Se quello spirito che attende, Pria che si penta, l'orlo della vita (25), Laggiù dimora, e quassù non ascende, Se buona orazion lui non aita, Prima che passi tempo quanto visse, Come fu la venuta a lui largita? Quando vivea più glorioso, disse Liberamente nel campo di Siena, Che sostenea nella prigion di Carlo, NOTE (1) Ai primi effetti di lassù. Agli Angeli del cielo, primi effetti della tua creazione. (2) Al tuo alto vapore. All' alta tua Sapienza, che è detta nelle Scritture: vapor virtutis Dei et emanatio. (3) Chè noi ad essa ec. Perocchè, s'ella non viene a noi per tua benignità, noi con tutto il nostro ingegno non possiamo venire ad essa. (4) De' suoi. De' loro voleri. (5) S'adona. Rimane abbattuta. Non spermentar. Non mettere a cimento.- Che si la sprona. Che si la instiga con le male suggestioni. (7) Buona ramogna. Buon successo. (8) Ch' hanno al voler ec. Da quelli che hanno la buona volontà, diretta dalla grazia di Dio. Ben si dee loro ec. Ben si debbono aiutare a lavar le macchie che portaron dal mondo al purgatorio. (10) Men erto cala. Che discende men rapido, e che perciò è più agevole alla salita. (11) Giammai fu vosco. Fu giammai udito da voi. (12) Alla comune madre. All' origine che abbiamo comune, e per la quale ogni uomo si dee stimare uguale all' altr'uomo, e non superbire. (13) Ogni fante. Ogni parlante, dal latino fari, parlare. (14) Agobbio. Gubbio, città nel ducato d' Urbino. Alluminare. Miniare: francese, enluminer. (15) L'onore è tutto or suo ec. Egli ora è tenuto nel mondo maggior pittore ch' io non era, e a me resta solamente l'onore d' avergli aperta la strada. (16) Non sarei qui ; ma nell' inferno. - Possendo peccar. Essendo io anche in poter di peccare: vuol dire, essendo tuttora in vita. (17) Se non è giunta ec. Se non è sopraggiunta da secoli d'ignoranza, quando chi ha conseguito fama non può esser sorpassato da emuli. (18) Credette Cimabue ec. Giovanni Cimabue fiorentino, uno dei primi restauratori della pittura in Italia. — Giotto, discepolo di lui, il quale aggiungendo perfezione all' arte, oscurò la fama del maestro. (19) L'uno all'altro Guido. Guido Cavalcanti, filosofo e poeta fiorentino, la riportò su Guido Guinicelli bolognese che poetò nella lingua del sì prima di lui. E forse è nato ec. Qui Dante parla di sè medesimo. (20) Che fama ec. Ordina: Pria che passin mill' anni, che è più corto spazio all eterno (il quale spazio paragonato all'eterno è più corto) che un muover di ciglia (paragonato) al cerchio che più tardi in cielo è torto (al moto del cerchio celeste che più lento si gira), che fama avrai tu, se scindi (separi) da te vecchia la carne (se muori vecchio) più che se fossi morto innanzi che lasciassi il pappo e il dindi (avanti che dismettessi il parlar de' bambini, che il pane dicono pappo, e i denari dindi)? (21) Ond' era sire. Della qual città era Signore. Quando fu distrutta ec. Quando in Montaperto rimasero sconfitti dai Senesi gli arrabbiati fiorentini. Che superba ec. Che a quel tempo fu altera, com'oggi è vile al pari di meretrice. (27) E oscuro so che parlo: e so che non s'intenderà bene perchè costui tremasse per ogni vena limosinando. (28) I tuoi vicini. I tuoi concittadini. - Vicino per concittadino disse anche il Petrarca (nel Sonetto 71, dove piange la morte di Cino da Pistoja : Pianga Pistoja, e i cittadin perversi, Che perdut' hanno sì dolce vicino. Che tu potrai chiosarlo. Che tu potrai intenderlo. (29) Quest'opera ec. Questa buona opera ( di limosinar cioè per l'amico) gli tolse quei confini, lo liberò dal confine dell'Antipurgatorio. CANTO DECIMOSEGONDO ARGOMENTO. Staccatosi l' Alighieri dalla compagnia d'Ode- | realtà che insegnamenti pratici di sana morale ; risi, prosegue con Virgilio a man destra il viag- | nè vorrem dire che l' uso di tale istruzione mal gio; e mentre va innanzi, osserva tutto il terreno per dove cammina istoriato dagli esempj di coloro cui superbia trusse a mal fine. Dichiareremo in poche parole nelle Annotazioni ciascuna di queste Istorie. Frattanto egli è qui ben d'avvertire, non esser giusto il biasimo che si dà per taluni a Dante, quasi ch' egli abbia fatto un brutto miscuglio di sacro e di profano, di verità rivelate e di favole. Primieramente le cose mitologiche, da cui l' Alighieri tragge partito, non sono in s'accoppii nella poesia colle sacre materie,quando, al Capitolo nono dei Giudici, le istesse divine Scritture lo autorizzano coll' esempio. Poi non essendo la Divina Commedia un trattato di Fede, ma una poetica finzione, molti dei più rinomati Gentili s'incontrano così nell' Inferno come negli altri due regni ch' ella percorre; ed è in questo caso più necessaria cosa che tollerabile il ricordare a coloro gli ammaestramenti e gli stimoli che ebbero essi pure nella lor |