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GANTO VENTESIMO

ARGOMENTO.

La narrazione della quale origine, che che ne dica il Venturi, si accomoda benissimo a quanto

Pone one il divino poeta nella quarta bolgia quei ch' ebbero presunzione di vaticinare il futuro; e assegna loro per gastigo l'avere il collo e la fac-è scritto nel decimo dell' Eneide. Chiudono ficia volti al contrario, verso la schiena, sicchè nalmente la schiera degl' Indovini Euripilo, che non potendo vedere innanzi, sono costretti di fu con Calcante quegli che diede il segno ai Greci camminare all' indietro. È fra quei miserabili di scioglier le vele dal porto d'Aulide per girne Anfiarao, uno de' sette regi cha assediaron Te- alla guerra Trojana; Michele Scotto, gran be, e che fu inghiottito dalla terra nell'atto che maestro in negromanzia, secondo ne attesta il stava per essere ucciso: avvi Tiresia, di cui Boccaccio, e così nominato perciocchè di Scozia pur narra la favola essersi cangiato d' uomo in era; Guido Bonatti Forlivese autore d'un libro donna per aver percossi due serpenti nel mo- d' astrologia, che dice il Daniello d'aver vedumento de' loro amori ; nè quinci esser tornato to; Asdente, ciabattino di Parma, famoso per alla primiera condizione, se non dopo sett'anni, le sue predizioni; e moltissime donne in fine, le mentre incontratosi di nuovo nelle medesime bel- quali abbandonando l' arti femminili, agl'incanmedesimamente le ripercosse. Scopresi quindi tesimi e alle malie si dedicarono. Le quali acAronte, celebre indovino della Toscana, che cennando Virgilio all' Alighieri, lo ammonisce abitò ne' monti di Luni sopra Carrara; poi di allestire il passo, scorrendone insensibilmente Manto, della quale Virgilio racconta le vicen- il tempo accordato loro pel misterioso viaggio. de, e com' ella diè origine alla città di Mantova,

ve,

Di nuova pena mi convien far versi,

E dar materia al ventesimo canto
Della prima canzon, che è dei sommersi (1).
lo era già disposto tutto quanto

A riguardar nello scoperto fondo,
Che si bagnava d'angoscioso pianto:

E vidi gente per lo vallon tondo
Venir tacendo e lacrimando, al
passo (2)
Che fanno le letane in questo mondo.
Come 'l viso mi scese in lor più basso (3),
Mirabilmente apparve esser travolto
Ciascun dal mento al principio del casso (4):
Che dalle reni era tornato il volto (5),

Ed indietro venir li convenia,
Perchè veder dinanzi era lor tolto.
Forse per forza già di parlasia

Si travolse cosi alcun del tutto;
Ma io nol vidi, nè credo che sia.
Se Dio ti lasci, Lettor, prender frutto

Di tua lezione, or pensa per te stesso,
Com' io potea tener lo viso asciutto,
Quando la nostra immagine da presso (6)
Vidi si torta, che il pianto degli occhi
Le natiche bagnava per lo fesso.
Certo io piangea, poggiato ad un de'rocchi (7)
Del duro scoglio, si che la mia scorta
Mi disse: Ancor se' tu degli altri sciocchi?
Qui vive la pietà quando è ben morta (8).
Chi è più scellerato di colui

Ch' al giudicio divin passion comporta (9)?

Drizza la testa, drizza, e vedi a cui
S'aperse agli occhi de' Teban la terra,
Perche gridavan tutti: Dove rui (10),
Anfiarao? perchè lasci la guerra ?

E non restò di ruinare a valle
Fino a Minos, che ciascheduno afferra (11).
Mira, ch'ha fatto petto delle spalle:

Perchè volle veder troppo davante,
Dirietro guarda, e fa ritroso calle (12).
Vedi Tiresia, che mutò sembiante

Quando di maschio femmina divenne,
Cangiandosi le membra tutte quante;
E prima poi ribatter le convenne

Li duo serpenti avvolti con la verga,
Che riavesse le maschili penne (13).
Aronta è quei ch' al ventre gli s'atterga (14),
Che nei monti di Luni, dove ronca
Lo Carrarese che di sotto alberga,
Ebbe tra bianchi marmi la spelonca

Per sua dimora; onde a guardar le stelle
E il mar non gli era la veduta tronca.
E quella che ricopre le mammelle (15),
Che tu non vedi, con le trecce sciolte,
E ha di là ogni pilosa pelle (16),
Manto fu, che cerco per terre molte,
Poscia si pose là dove nacqu'io;
Onde un poco mi piace che mi ascolte.
Poscia che I padre suo di vita uscio,
E venne serva la città di Baco (17),
Questa gran tempo per lo mondo gio.

Suso in Italia bella giace un laco

Appie dell' alpe, che serra Lamagna Sovra Tiralli, ed ha nome Benaco (18). Per mille fonti, credo, e più si bagna,

Tra Garda, e Val Camonica, e Pennino (19) Dell'acqua che nel detto lago stagna. Luogo è nel mezzo là dove 'l Trentino (20) Pastore, e quel di Brescia, e 'l Veronese Segnar poria, se fesse quel cammino. Siede Peschiera, bello e forte arnese (21) Da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi, Ove la riva intorno più discese. Ivi convien che tutto quanto caschi

Cio che in grembo a Benaco star non può, E fassi fiume giù pei verdi paschi. Tosto che l'acqua a correr mette cò (22), Non più Benaco, ma Mincio si chiama Fino a Governo, dove cade in Po (23). Non molto ha corso, che trova una lama Nella qual si distende e la impaluda, E suol di state talora esser grama. Quindi passando la vergine cruda (24) Vide terra nel mezzo del pantano, Senza cultura, e d'abitanti nuda. Li, , per fuggire ogni consorzio umano, Ristette co' suoi servi a far sue arti, E visse, e vi lascio suo corpo vano. Gli uomini poi che 'ntorno erano sparti, S' accolsero a quel luogo, ch' era forte Per lo pantan che avea da tutte parti. Fer la città sovra quell'ossa morte,

E per colei, che 'l luogo prima elesse,
Mantova l'appellar senz'altra sorte (25).
Gia fur le genti sue dentro più spesse,

Prima che la mattia da Casalodi (26),.
Da Pinamonte inganno ricevesse.
Però t'assenno, che se tu mai odi (27)
Originar la mia terra altrimenti,
La verità nulla menzogna frodi.
Ed io: Maestro, i tuoi ragionamenti

Mi son si certi, e prendon sì mia fede, Che gli altri mi sarian carboni spenti (28). Ma dimmi della gente che procede,

Se tu ne vedi alcun degno di nota; Che solo a ciò la mia mente rifiede (29). Allor mi disse: Quel, che dalla gota

Purge la barba in su le spalle brune,
Fu, quando Grecia fu di maschi vota,
Si che appena rimaser per le cune,
Augure, e diede 'l punto con Calcanta
In Aulide a tagliar la prima fune.
Euripilo ebbe nome, e cosi 'l canta
L'alta mia Tragedia in alcun loco (30):
Een lo sai tu che la sai tutta quanta.
Quell' altro che ne' fianchi è così poco (31),
Michele Scotto fu, che veramente
Dele magiche frode seppe il giuoco.
Vedi Guido Bonatti, vedi Asdente

Ch' avere atteso al cuojo ed allo spago
Ora vorrebbe, ma tardi si pente.
Vedi le triste che lasciaron l'ago,

La spola, e 'l fuso, e fecersi indovine ; Ferer malie con erbe e con immago (32). Ma vienne omai, che già tiene 'I confine Damendue gli emisperi, e tocca l'onda Sotto Sibilia, Caino e le spine (33).

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(8) Qui vive ec. Il non aver qui compassione de' condannati, è veramente un esser pio, uniformandosi alla volontà dell' eterno giudice.

(9) Ch' al giudicio ec. Che soffre patimento nel mirare gli effetti della divina giustizia. (10) Gridavan tutti. I Tebani schernendo10.Dove rui? Dove precipiti?

(11) Che ciascheduno afferra. Nelle cui mani capita ognuno.

(12) Ritroso calle. Retrogrado cammino. (13) Le maschili penne. Le membra maschili. (14) Ch' al ventre gli s'atterga. Che accosta il tergo al ventre di lui, atteso il narrato stravolgimento delle persone.

(15) Che ricopre le mammelle che tu non vedi. Perciocchè viene verso i poeti col tergo innanzi. (16) Ogni pilosa pelle. Dell'occipite e del pettignone.

(17) La Città di Baco. La città di Tebe sacra a Bacco.

(18) Tiralli. Tirolo.- Benaco antico nome del lago detto in oggi di Garda.

(19) Pennino. L'alpi pennine. Alpes poenae. (20) Luogo è nel mezzo ec. Verso la metà del ટે detto lago, e precisamente ove l'acque del fiume Tignalga sboccano nel Benaco, è un luogo, in cui possono segnare, cioè benedire, e però dov' hanno giurisdizione tre Vescovi, quel di Trento, quel di Brescia, e quel di Verona.

(21) Bello e forte arnese ec. Bella e forte rocca da far fronte ai Bresciani e ai Bergamaschi là dove la riva è più bassa.

(22) Mette co'. Mette capo. Comincia. (23) Fino a Governo. Castello, detto in oggi Governolo.

(24) La vergine cruda. Manto, chiamata cruda, perchè imbrattavasi di sangue, e inquietava i sepolti.

(25) Senz' altra sorte. Senz' altro augurio.

(26) Prima che la mattia ec. Prima che la stoltezza di quei da Casalodi ricevesse inganno da Pinamonte. Costui della nobile famiglia de' Buonaccossi da Mantova persuase ad Alberto conte di Casalodi che discacciata la nobiltà, si sarebbe guadagnato il favore del popolo. Al qual consiglio

cedendo Alberto, Pinamonte col favore di esso

popolo gli tolse la signoria.

(27) Tassenno. T'avverto.

(28) Carboni spenti. Cioè senza effetto. (29) Rifiede. Si rivolge.

(30) L'alta mia Tragedia. Così chiama l' Eneide per essere scritta in verso eroico.

(31) Ne' fianchi è così poco. O perchè smilzo della persona, o perchè attillato nel vestire, siccome a' que' tempi usavano gli Scozzesi.

(32) E con immago. E con immagini di cera,

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Cosi di ponte in ponte altro parlando,

Che la mia commedia cantar non cura, Venimmo, e tenevamo il colmo, quando Ristemmo per veder l'altra fessura (1)

Di Malebolge, e gli altri pianti vani;
E vidila mirabilmente oscura.
Quale nell' Arsenal de' Veneziani

Bolle l'inverno la tenace pece
A rimpalmar li legni lor non sani,
Che navicar non ponno, e'n quella vece
Chi fa suo legno nuovo, e chi ristoppa
Le coste a quel che più viaggi fece:
Chi ribatte da proda, e chi da poppa,
Altri fa remi, ed altri volge sarte,
Chi terzeruolo, ed artimon rintoppa (2):
Tal, non per fuoco, ma per divina arte
Bollia laggiuso una pegola spessa
Che 'nviscava la ripa da ogni parte.
I'vedea lei, ma non vedeva in essa
Mai che le bolle che 'l bollor levava (3),
E gonfiar tutta, e riseder compressa.
Mentr' io laggiù fisamente mirava,

Lo duca mio dicendo: Guarda guarda, Mi trasse a se del luogo dove io stava. Allor mi volsi come l'uom cui tarda (4) Di veder quel che gli convien fuggire, E cui paura subita sgagliarda:

Che per veder non indugia 'l partire;
E vidi dietro a noi un diavol nero
Correndo su per lo scoglio venire.
Ahi quanto egli era nell' aspetto fiero!

E quanto mi parea nell' atto acerbo,
Con l'ale aperte, e sovra i piè leggiero!
L'omero suo, ch'era acuto e superbo (5),
Carcava un peccator con ambo l' anche,
E quel tenea de' piè ghermito il nerbo.
Del nostro ponte, disse, o Malebranche (6),
Ecco un degli anzian di santa Zita:
Mettetel sotto, ch'i' torno per anche

A quella terra che n'è ben fornita :
Ogni uom v' è barattier, fuor che Bonturo (7):
Del no, per li denar, vi si fa ita.
Laggiù il buttò, e per lo scoglio duro

Si volse, e mai non fu mastino sciolto
Con tanta fretta a seguitar lo furo (8).
Quei s'attuffò, e torno su convolto (9);

Ma i demon che del ponte avean coverchio (10) Gridar: Qui non ha loco il santo volto; Qui si nuota altrimenti che nel Serchio; Però se tu non vuoi de' nostri graffi, Non far sovra la pegola soverchio (11). Poi l'addentar con più di cento raffi; Disser: Coverto convien che qui balli, Si che, se puoi, nascosamente accalfi (12).

Non altrimenti i cuochi ai lor vassalli

E

Fanno attuffare in mezzo la caldaia La carne cogli uncin perchè non galli (13). Lo buon Maestro: Acciocchè non si paia Che tu ci sii, mi disse, giù t'acquatta Depo uno scheggio che alcun schermo t'haia (14). рет nulla offension che a me sia fatta, Non temer tu, ch' io ho le cose conte, Perchè altra volta fui a tal baratta. Poscia passo di là dal cò del ponte (15), E com' ei giunse in su la ripa sesta, Mestier gli fu d'aver sicura fronte. Con quel furor, e con quella tempesta Ch' escono i cani addosso al poverello, Che di subito chiede ove s'arresta; Usciron quei di sotto 1 ponticello,

E volser contra lui tutti i roncigli (16); Ma ei grido: Nessun di voi sia fello. Innanzi che l' uncin vostro mi pigli, Traggasi innanzi alcun di voi che m'oda, E ро di roncigliarmi si consigli. Tutti gridaron: Vada Malacoda:

Perche un si mosse, e gli altri stetter fermi, E venne a lui dicendo: Che gli approda (17)? Credi tu, Malacoda, qui vedermi

Esser venuto, disse il mio Maestro, Securo già da tutti i vostri schermi, Senza voler divino e fato destro (18)? Lasciami andar, che nel cielo è voluto Ch'io mostri altrui questo cammin silvestro. Allor gli fa l'orgoglio si caduto,

Che si lascio cascar l'uncino ai piedi,
E disse agli altri: omai non sia feruto.
El duca mio a me: O tu, che siedi

Tra gli scheggion del ponte quatto quatto,
Sicuramente omai a me ti riedi.

! Perch' io mi mosi, ed a lui venni ratto;
Ei diavoli si fecer tutti avanti,
Si ch'io temetti non tenesser patto (19).
E cusi vidio già temer li fanti

Ch' uscivan patteggiati di Caprona,
Veggendo se tra nemici cotauti (20).
lo m'accostai con tutta la persona
Lango 1 mio duca, e non torceva gli occhi
Dalla sembianza lor ch'era non buona.
Es chinavan gli raffi, e vuoi ch' io 'l tocchi,
Diceva l'un con l'altro, in sul groppone?
E rispondean: Si, fa che gliele accocchi (21).
Ma quel demonio che tenea sermone

Col duca mio, si volse tutto presto,
E disse: Posa, posa, Scarmiglione.
Pui disse a noi: Più oltre andar per questo
Scogho non si potrà, perocchè giace
Tuito spezzato al fondo l'arco sesto:
E se l' andare avanti pur vi piace,
Andatevene su per questa grotta;
ho é un altro scoglio che via face.

ler, pa oltre cinqu' ore, che quest'otta (22), Me dugento con sessanta sei

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Libicocco venga oltre, e Draghignazzo,

Cirïatto sannuto, e Graffiacane, E Farfarello, e Rubicante pazzo. Cercate intorno le bollenti pane (25);

Costor sien salvi insino all' altro scheggio, Che tutto intero va sopra le tane (26). O me! Maestro, che è quel che io veggio? Diss' io deh! senza scorta andiamci soli, Se tu sa' ir, ch'i' per me non la chicggio. Se tu se' si accorto come suoli,

Non vedi tu che digrignan li denti, E colle ciglia ne minaccian duoli? Ed egli a me: Non vo' che tu paventi: Lasciali digrignar pure a lor senno, Ch' ei fanno ciò per li lesi dolenti. Per l'argine sinistro volta dienno;

Ma prima avea ciascun la lingua stretta (27) Co' denti, verso lor duca per cenno, Ed egli avea del cul fatto trombetta.

NOTE

(1) Fessura. Fossa.

(2) Terzeruolo. La minor vela della nave. Artimone. La vela maggiore.

(3) Mai che. Se non che.

(4) Cui tarda. A cui un'ora par mill' anni. (5) Superbo. Alto. Costruisci: Un peccator con ambo l' anche carcava l'omero suo ec.

(6) Del nostro ponte ec. O Malebranche ( così chiama Dante collettivamente que' demoni) posti a guardia del nostro ponte, ecco un degli anzian di Santa Zita ; cioè uno de' seniori Lucchesi . Santa Zita è protettrice di Lucca. Ch'i'torno per anche. Ch' io torno a prenderne altri.

(7) Fuor che Bonturo. Detto ironicamente a significare ch' egli era il più barattiere di tutti. (8) Furo. Ladro.

(9) Convolto. Piegato in arco, e alla foggia dei supplichevoli: il perchè ben si spiega il seguente diabolico sarcasmo: Qui non ha luogo il Santo Volto, o l'effigie del Redentore venerata in Lucca.

(10) Che del ponte avean coverchio . Cioè che stavano sotto il ponte.

(11) Non far ec. Intendi: Non soverchiare, non sopravanzare la pegola.

(12) Accaffi. Acciuffi, rubi l' altrui. (13) Galli. Galleggi.

(14) Thaia. Tabbia.

(15) Dal co'. Dal capo.

(16) Roncigli. Una specie d' uncini. Maligno.

Fello.

(17) Che gli approda? Che gli giova ch'io vada innanzi per ascoltarlo? Tanto non potrà scher

mirsi da noi.

(18) Fato destro. Fato propizio.

(19) Non tenesser patto. Non mantenessero la loro parola.

(20) E così vid' io ec. Quando i Lucchesi uscirono per capitola zione da Caprona, dovettero passare di mezzo ai Pisani che assediavano quella rocca. Nel transito ch'essi facevano, gridava cia

scun de' nemici: appicca, appicca; per la qual cosa la paura di coloro fu grande.

(21) Fa che gliele accocchi. Glielo attacchi, intendendo del raflio. Gliele, indeclinabilmente per tutti i generi e per tutti i casi. Ved. il Cin. Partic. cap. 119.

(22) Jer, più oltre ec. Aggiungi al numero 1266 i trentatre anni compiuti della vita di G. C, e i pochi mesi del suo trentesimo quarto anno, nel quale mori, ed avrai l'anno 1300, in cui vuol fare intendere il poeta essergli apparsa la visione,➡ La rottura della via, di cui pure è qui

fatta menzione, accennasi esser avvenuta nel terremoto che segui per la morte del Redentore. (23) Se ne sciorina. Esce fuori della pece. (24) E non saranno rei, Non vi saranno molesti.

(25) Pane. Panie.

(26) Tane. Fosse.

(27) Ma prima ec. I demonj pensando d'aver ingannato Virgilio, accennano con modi beffardi a Barbariccia loro conduttore. Questi con maniera sconcia, ma propria di quella canaglia, dà il segno della partenza.

CANTO VIGESIMOSEGONDO

ARGOMENTO.

Continua ontinuando i due Poeti a gire innanzi con la fiera compagnia, avviene che uno degl' infelici tormentati nella pece bollente non essendosi ritirato per tempo all' appressarsi dei demonj, è tratto su pei capelli dall' uncino di Graffiacane, e lacerato per mille guise dagli altri feroci. Era costui un tal Ciampolo Navarrese, che figlio di padre scialacquatore, fu allogato dalla madre alla Corte di Tebaldo, che a lui commise ogni grande affare. Colà si pose a farla da barattiere, ed ora co' suoi pari ne sostiene il gastigo. Terminata così la propria istoria, e non cessando tuttavia d' inquietarlo i demonj, lo prende fra le sue braccia il capo di essi, talchè Virgilio alle istanze di Dante più distesamente lo interroghi. Ed ei gli dà infatti notizia, prima di frate Gomita, di nazione Sardo, e che abusando

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della grazia che aveva presso Nino de' Visconti di Pisa, Signore di Gallura in Sardegna, trafficò nel fare baratteria di cariche e di uffici: poi ragiona di certo Michele Zanche, il quale, morto il re Enzo, di cui fu egli Siniscalco, per vía di frodi e d' inganni tolse in moglie Adelasia già sposa di esso re, e divenne Signore di Logodoro, altro territorio in Sardegna. Finalmente per isfuggire ai maligni spiriti, mette in uso Ciampolo un' astuzia che ben gli riesce, talchè, lasciandoli scornati, nello stagno rituffasi. Il perchè due di quelli vanamente inseguendolo, e d' avergli dato luogo a fuggire altercando fra loro, s'azzuffano insieme, e cadono in mezzo alla pece. Quindi gli altri compagni si muovono per soccorrerli; e Virgilio intanto e l' Alighieri, cogliendo il destro, si dilungan da loro.

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vidi già cavalier muover campo (1), Per cominciare stormo, e far lor mostra, E talvolta partir per loro scampo: Corridor vidi per la terra vostra (2), O Aretini, e vidi gir gualdane,

E far torneamenti, e correr giostra,
Quando con trombe, e quando con campane (3),
Con tamburi e con cenni di castella,
E con cose nostrali e con istrane;
Nè già con si diversa cennamella (4)
Cavalier vidi mover, nè pedoni,
Ne nave a segno di terra o di stella.
Noi andavam con li dieci dimoni :

Ahi fiera compagnia! ma nella chiesa (5)
Co' santi, ed in taverna co' ghiottoni.
Pure alla pegola era la mia intesa (6),
Per veder della bolgia ogni contegno,
E della gente ch'entro v'era incesa.

Come i delfini, quando fanno segno

Ai marinar con l'arco della schiena, Che s'argomentin di campar lor legno (7) ; Talor cosi ad alleggiar la pena

Mostrava alcun dei peccatori il dosso,
E nascondeva in men che non balena.
E come all'orlo dell'acqua d'un fosso
Stan li ranocchi pur col muso fuori,
Si che celano i piedi e l'altro grosso (8);
Si stavan d'ogni parte i peccatori:

Ma come s'appressava Barbariccia (9),
Così si ritraean sotto i bollori.

Io vidi, ed anche 'l cuor mi s' accapriccia
Uno aspettar così, com'egli incontra (10)
Che una rana rimane, e l'altra spiccia.
E Graffiacan che gli era più di contra,
Gli arronciglio le impegolate chiome (11),
E trassel su, che mi parve una lontra.

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