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Perocché gli occhi mi sarebbon rei
Molte fiate più ch' io non vorria,
Lasso di pianger si la donna mia,
Ch' io sfogherei lo cor, piangendo lei.1
Voi udirete lor chiamar sovente

La mia donna gentil, che se n'è gita
Al secol degno della sua virtute;
E dispregiar talora questa vita,
In persona dell' anima dolente
Abbandonata dalla sua salute.2

§ XXXIV. Poichè detto ebbi questo Sonetto, pensando chi questi era, cui lo intendeva dare3 quasi come per lui fatto, vidi che povero mi pareva lo servigio e nudo a cosi distretta persona di questa gloriosa. E però innanzi ch'io gli dessi il soprascritto Sonetto, dissi due stanze di una Canzone, l'una per costui veracemente, e l'altra per me, avvegnachė paia l'una e l'altra per una persona detta, a chi non guarda sottilmente. Ma chi sottilmente le mira, vede bene che diverse persone parlano; in ciò che l'una non chiama sua donna costei, e l'altra si, come appare manifestamente. Questa Canzone e questo Sonetto gli diedi, dicendo io che per lui solo fatto l' avea.

La Canzone comincia: Quantunque volte, ed ha due parti: nell' una, cioè nella prima stanza, si lamenta questo mio caro amico, distretto a lei; nella seconda mi lamento io, cioè nell' altra stanza che comincia: E' si raccoglie. E così appare che in questa Canzone si lamentano 3 due persone, l' una delle quali si lamenta come fratello, l'altra come servitore.

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Quantunque volte, lasso! mi rimembra
Ch'io non debbo giammai

'Intendi: Perocchè gli occhi sarebbero, molto più ch'io non vorrei, rei, debitori, inverso di me lasso di piangere la donna mia si che piangendo lei sfogherei il core.

2 Priva del di lei saluto.
3 Dare, al. mandare.

In ciò che, al. acciocchè.

5 Si lamentano, al. si rammaricano. Ogniqualvolta.

Veder la donna, ond' io vo si dolente,

Tanto dolore intorno al cor m'assembra 1
La dolorosa mente,

Ch' io dico: Anima mia, chè non ten vai?
Ché li tormenti, che tu porterai
Nel secol che t'è già tanto noioso,
Mi fan pensoso di paura forte;
Ond' io chiamo la Morte,

Come soave e dolce mio riposo,

E dico: Vieni a me, con tanto amore,
Ch'io sono astioso di chiunque muore.
E' si raccoglie negli miei sospiri

Un suono di pietate,

Che va chiamando Morte tuttavia :
A lei si volser tutti i miei desiri,
Quando la donna mia

Fu giunta dalla sua crudelitate:
Perché il piacere della sua beltate 2
Partendo se dalla nostra veduta,
Divenne spirital bellezza grande,
Che per lo cielo spande

Luce d'Amor, che gli Angeli saluta,
E lo intelletto loro alto e sottile
Face maravigliar; tanto è gentile!

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§ XXXV. In quel giorno, nel quale si compiva l'anno che questa donna era fatta de' cittadini di vita eterna, io mi sedea in parte, nella quale ricordandomi di lei disegnava un Angelo sopra certe tavolette e mentre io 'l disegnava, volsi gli occhi, e vidi lungo me uomini a' quali si convenia di fare onore. E' riguardavano quello ch'io facea; e secondo che mi fu detto poi, egli erano stati già alquanto anzi che io me n'accorgessi. Quando li vidi, mi levai, e salutando loro

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dissi Altri era testè meco, e perciò pensava.1 Onde partiti costoro, ritornaimi alla mia opera, cioè del disegnare figure d'Angeli e facendo ciò, mi venne un pensiero di dire parole per rima, quasi per annovale di lei, e scrivere a costoro, li quali erano venuti a me e dissi allora questo Sonetto, che comincia Era venuta, lo quale ha due cominciamenti, e però lo dividerò secondo l'uno e l'altro.

Dico che secondo il primo, questo Sonetto ha tre parti: nella prima dico che questa donna era già nella mia memoria; nella seconda dico quello che Amore però mi facea; nella terza dico degli effetti d'Amore. La seconda comincia quivi: Amor che; la terza quivi: Piangendo usciano. Questa parte si divide in due: nell' una dico che tutti i miei sospiri usciano parlando; nell' altra dico come alquanti diceano certe parole diverse dagli altri. La seconda comincia quivi: Ma quelli. Per questo medesimo modo si divide secondo l'altro cominciamento, salvo che nella prima parte dico quando questa donna era così venuta nella mia mente,2 e ciò non dico nell' altro.

Primo cominciamento.

Era venuta nella mente mia

La gentil donna, che per suo valore
Fu posta dall' altissimo Signore
Nel Ciel dell' umiltate,3 ov'é Maria.

E perciò me ne stava sopra pensiero; e così non m' accorgeva della vostra presenza.

Mente, al. memoria.

3 Lo studioso filologo potrà notare (chiosano gli Edit. Pesar.) un delicato senso nelle voci umiltà, umile, umiliare ec. adoperate da Dante nel processo di questa operetta. Un tal senso è quello di pace, quiete, tranquillità di affetti, cessazione d'ogni appetilo, e non è stato sempre avvistato dai compilatori del Vocabolario. Ecco i luoghi, donde questo senso agevolmente rilevasi: § II, co

lore umile; § XI, viso vestito d' umiltà; § XIX, e sì l'umilia che ogni of fesa oblia; § XXI, pensiero umile; § XXIII, pregava l'una l'altra umilemente; ivi. Ed avea seco umiltà si verace, che parea che dicesse: io sono in pace; ivi. Io diveniva nel dolor si umile vedendo in lei tanta umiltà; § XXVI, d' umiltà vestuta; § XXVII, La vista sua face ogni cosa umile; § XXVIII. E si è cosa umil che nol si crede; § XXXII. Chè luce della sua umilitate; § XXXV. Nel ciel dell'umiltate, ov'è Maria.

Secondo cominciamento.

Era venuta nella mente mia

Quella donna gentil, cui piange Amore,
Entro quel punto, che lo suo valore
Vi trasse a riguardar quel ch'io facia.
Amor, che nella mente la sentia,

S'era svegliato nel distrutto core,
E diceva a' sospiri : Andate fuore;
Per che ciascun dolente sen partia.
Piangendo usciano fuori del mio petto
Con una voce, che sovente mena

Le lagrime dogliose agli occhi tristi.
Ma quelli, che n'uscian con maggior pena,
Venien dicendo: O nobile intelletto,
Oggi fa l'anno che nel ciel salisti.

§ XXXVI. Poi per alquanto tempo, conciofossecosachè io fossi in parte nella quale mi ricordava del passato tempo, molto stava pensoso, e con dolorosi pensamenti tanto che mi faceano parere di fuori una vista di terribile sbigottimento. Ond' io, accorgendomi del mio travagliare, levai gli occhi per vedere s' altri me vedesse; e vidi una gentil donna giovane e bella molto, la quale da una fenestra mi riguardava molto pietosamente quant' alla vista; sicché tutta la pietade pareva in lei accolta. Onde, conciossiacosache quando i miseri veggono di loro compassione altrui, più tosto1 si muovono al lagrimare, quasi come se di se stessi avessero pietade, io sentii allora li miei occhi cominciare a voler piangere; e però, temendo di non mostrare la mia vile vita, mi partii dinanzi dagli occhi di questa gentile; e dicea poi fra me medesimo: E' non può essere che con quella pietosa donna non sia nobilissimo amore. E però proposi di dire un Sonetto, nel quale io parlassi a lei, e

'Più tosto, più prestamente.

La mia vile vita, al. la mia viltà.

conchiudessi tutto ciò che narrato è in questa ragione.1 E però che questa ragione è assai manifesta, nol dividerò.

Videro gli occhi miei quanta pietate

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Era apparita in la vostra figura,
Quando guardaste gli atti e la statura, 3
Ch'io facia pel dolor molte fïate.
Allor m' accorsi che voi pensavate
La qualità della mia vita oscura,
Sicchè mi giunse nello cor paura
Di dimostrar cogli occhi mia viltate.
E tolsimi dinanzi a voi, sentendo

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Che si movean le lagrime dal core,
Ch'era sommosso dalla vostra vista.
Io dicea poscia nell'anima trista:

Ben è con quella donna quell' Amore,

Lo qual mi face andar cosi piangendo.

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§ XXXVII. Avvenne poi che ovunque questa donna mi vedea, si facea d'una vista pietosa e d'un color pallido, quasi come d'amore: onde molte fiate mi ricordava della mia nobilissima donna, che di simile colore mi si mostrava. E certo molte volte non potendo lagrimare nè disfogare la mia tristizia, io andava per vedere questa pietosa donna, la quale parea che tirasse le lagrime fuori delli miei occhi per la sua vista. E però mi venne anche volontade di dire parole, parlando a lei; e dissi questo Sonetto, che comincia Color d'Amore, e ch'è piano senza dividerlo, per la sua precedente ragione.

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