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CAPITOLO XIII.

Dello idioma dei Toscani e dei Genovesi.

Dopo questi vegniamo ai Toscani, i quali per la loro pazzia insensati, pare che arrogantemente s'attribuiscano il titolo del Vulgare Illustre, ed in questo non solamente la opinione dei plebei impazzisce, ma ritruovo molti uomini famosi averla avuta; come fu Guittone d' Arezzo, il quale non si diede mai al Volgare Cortigiano, Bonagiunta da Lucca, Gallo Pisano, Mino Mocato Senese, e Brunetto Fiorentino; i detti dei quali, se si avrà tempo di esaminarli, non cortigiani, ma proprii delle loro cittadi essere si ritroveranno. Ma conciò sia che i Toscani siano più degli altri in questa ebbrietà furibondi, ci pare cosa utile e degna torre in qualche cosa la pompa a ciascuno dei Volgari delle città di Toscana. I Fiorentini parlano, e dicono:

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« Fo voto a Dio, che in gassara eie lo comuno de Luca. »

I Senesi :

« Onche rinegata avesse io Siena. >>

Gli Aretini :

« Vo'tu venire ovelle. »

Di Perugia, Orbicto, Viterbo e Città Castellana, per la vicinità

stellana propter adfinitatem, quam cum Romanis et Spoletanis habent, nihil tractare intendimus. Sed quamquam fere omnes Tusci in suo turpiloquio sint obtusi, nonnullos Vulgaris excellentiam cognovisse sensimus, scilicet Guidonem, Lapum, et unum alium,1 Florentinos, et Cinum Pistoriensem, quem nunc indigne postponimus, non indigne coacli. Itaque si Tuscanas examinemus loquelas, cum pensemus qualiter viri præhonorati a propria diverterunt, non restat in dubio, quin aliud sit Vulgare, quod quærimus, quam quod attingit populus Tuscanorum. Si quis autem quod de Tuscis asserimus, de Januensibus asserendum non putet, hoc solum in mente premat, quod si per oblivionem Januenses ammitterent z litteram, vel mutire totaliter eos, vel novam reperire oporteret loquelam; est enim z maxima pars eorum locutionis: quæ quidem littera non sine multa rigiditate profertur.

CAPUT XIV.

De idiomate Romandiolorum, et de quibusdam Transpadanis et præcipue de Veneto.

Transeuntes nunc humeros Appennini frondiferos, lævam Italiam cunctam venemur, ceu solemus, orientaliter ineuntes. Romandiolam igitur ingredientes, dicimus nos duo in Latio invenisse Vulgaria, quibusdam convenientiis contrariis alternata. Quorum unum in tantum muliebre videtur propter vocabulorum et prolationis mollitiem, quod virum (etiam si viriliter sonet) fœminam tamen facit esse credendum. Hoc Romandioli omnes habent, et præsertim Forlivenses: quorum civitas, licet novissima sit, meditullium tamen esse videtur totius provinciæ; hi Deusci affirmando loquun

1 Scilicet Guidonem, cioè Guido Cavalcanti, Lapum, Lapo Gianni, et unum alium, ed un altro, cioè io stesso Dante Alighieri.

Pospone agli altri Cino da Pistoia, non perchè minore in quanto al sapere, ma perchè minore in quanto alla patria.

che hanno con Romani e Spoletani, non intendo dir nulla. Ma come che quasi tutti i Toscani siano nel loro brutto parlare ottusi, nondimeno ho veduto alcuni aver conosciuto la eccellenzia del Vulgare, cioè Guido, Lapo, e un altro, Fiorentini, e Cino Pistoiese, il quale al presente indegnamente posponemo, non indegnamente costretti. Adunque se esamineremo le loquele Toscane, e considereremo, come gli uomini molto onorati 1 si siano da esse loro proprie partiti, non resta in dubbio che il Vulgare, che noi cerchiamo, sia altro che quello, che hanno i popoli di Toscana. Se alcuno poi pensasse che quello, che noi affermiamo dei Toscani, non sia da affirmare dei Genovesi, questo solo costui consideri, che se i Genovesi per dimenticanza perdessero il z lettera, bisognerebbe loro, ovver essere totalmente muti, ovver trovare una nuova locuzione; perciò che il z è la maggior parte del loro parlare ; la qual lettera non si può se non con molta asperità proferire.

CAPITOLO XIV.

Dello idioma di Romagna, e di alcuni Transpadani, e specialmente del Veneto.

Passiamo ora le frondute spalle dell' Appennino, ed investighiamo tutta la sinistra parte d'Italia, cominciando, come far solemo, a levante. Intrando adunque nella Romagna, dicemo che in Italia abbiamo ritrovati due Volgari, l' uno all' altro con certi convenevoli contrari opposto: delli quali uno tanto feminile ci pare per la mollizia dei vocabuli e della pronuncia, che un uomo (ancora che virilmente parli) è tenuto femina. Questo Volgare hanno tutti i Romagnuoli, e specialmente i Forlivesi, la città dei quali, avvegna che novissima sia, nondimeno pare esser posta nel mezzo di tutta la provincia. Questi affermando dicono Deu

1

La frase del testo viri præhonorati non significa gli uomini molto ono-" rali, come traduce il Trissino, ma bensì gli scrittori sullodati, cioè Guido, Lapo ec. Il Crescimbeni (Vol.

II, par. II, pag. 54) di Guido e di Lapo ne fa tutto un nome, cioè Guido-Lapo, dicendo che di esso non si trova alcuna poesia. E di certo non poteva trovarla.

tur, et Oclo meo, et Corada mea1 proferunt blandientes. Horum aliquos a proprio poetando divertisse audivimus, Thomam videlicet, et Ugolinum Bucciolam Faventinos. Est et aliud, sicut dictum est, adeo vocabulis, accentibusque hirsutum et hispidum, quod propter sui rudem asperitatem, mulierem loquentem non solum disterminat, sed esse virum dubitare facit. Hoc omnes, qui Magara2 dicunt, Brixienses, videlicet, Veronenses, et Vicentini habent, nec non Paduani turpiter syncopantes, omnia in tus participia, et denominativa in tas, ut mercò et bonté.3 Cum quibus et Trivisianos adducimus, qui more Brixianorum, et finitimorum suorum v consonantem per f apocopando proferunt, puta nof pro nove, vif pro vivo, quod quidem barbarissimum reprobamus. Veneti quoque nec se se investigati Vulgaris honore dignantur; et si quis eorum errore compulsus vanitaret in hoc, recordetur si unquam dixit :

<< Per le plage de Dio tu non veras ;* »

inter quos unum vidimus nitentem divertere a materno, et ad Curiale Vulgare intendere, videlicet Ildebrandinum Paduanum. Quare omnibus præsentis Capituli ad judicium comparentibus arbitramur, nec Romandiolum, nec suum oppositum, ut dictum est, nec Venetianum esse illud, quo quærimus, Vulgare Illustre.

CAPUT XV.

Facit magnam discussionem de idiomate Bononiensi.

Illud autem quod de Italica silva residet perconctari conemur expedientes. Dicimus ergo quod forte non male opi

'Deusci, fatto da Deus scit, Dio 'l sa; oclo meo, occhio mio; corada mea, cor mio.

"Magara, voce d'affermazione e di desiderio, per es.: Dio lo volesse, che dicesi derivata dal greco paxa

ριοι ο da μακαρον θεους.

3 Mercò e bonté, mercato e bon. tate.

Per le plage de Dio, per le piaghe di Dio (formula di giuramento), tu non veras, tu non verrai.

sci, e facendo carezze sogliono dire Oclo meo, e Corada mea. Bene abbiamo inteso, che alcuni di costoro nei Poemi loro si sono partiti dal suo proprio parlare, cioè Tomaso ed Ugolino Bucciola Faentini. L'altro dei due parlari, che avemo detto, è talmente di vocaboli ed accenti irsuto ed ispido, che per la sua rozza asperità non solamente disconcia una donna che parli, ma ancora fa dubitare, s'ella è uomo. Questo tale hanno tutti quelli, che dicono Magara, cioè Bresciani, Veronesi, Vicentini, ed anco i Padoani, i quali in tutti i participj in tus, e denominativi in tas, fanno brutta sincope, come è mercò, e bonté. Con questi ponemo eziandio i Trivigiani, i quali al modo dei Bresciani, e dei suoi vicini proferiscono la v consonante per f, removendo l'ultima sillaba, come è nof per nove, vif per vivo; il che veramente è barbarissimo, e riproviamolo. I Veneziani ancora non saranno degni dell' onore dell' investigato Volgare; e se alcun di loro, spinto da errore, in questo vaneggiasse, ricordisi, se mai disse:

« Per le plage de Dio tu non veras; »

tra i quali abbiamo veduto uno, che si è sforzato partire dal suo materno parlare, e ridursi al Volgare Cortigiano, e questo fu Brandino Padoano. Laonde tutti quelli del presente Capitolo comparendo alla sentenzia, determiniamo, che nè il Romagnuolo, nè il suo contrario, come si è detto, nè il Veneziano sia quello Illustre Volgare, che cerchiamo.

CAPITOLO XV.

Fa gran discussione del parlare Bolognese.

Ora ci sforzeremo, per espedirci, a cercare quello che della Italica selva ci resta. Dicemo adunque, che forse non hanno

tal nome.

1 L'Ildebrandinum del testo essen- era nel secolo XVI conosciuto sotto do dal Trissino stato tradotto Brandino, si deduce che questo poeta

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