RIME APOCRIFE. CANZONE. Oimè lasso quelle treccie bionde, D'aureo color gli poggi d'ogn' intorno ; Di que' begli occhi al ben segnato giorno; Oimè 'l fresco ed adorno E rilucente viso; Oimè lo dolce riso, Per lo qual si vedea la bianca neve Morte, perchè 'l togliesti si per tempo? Ed accorto intelletto e ben pensato ; D' odiar lo vile e d'amar l'alto stato Di si bella creanza ; Oimè quella speranza, Ch'ogni altra mi facea veder addietro, Morte, che vivo m' hai morto ed impeso! Dea, per cui d'ogni dea, Siccome volse Amor, feci rifiuto ; Che fosse degna in aere darti aiuto? Di ben sopra natura Per volta di ventura Condotto fosti suso gli aspri monti, Fatto ha di lagrimar gli occhi miei lassi. Dimmi almen per gli tristi occhi miei, Finir non deggio di chiamar omei? Questa canzone fu erroneamente attribuita a Dante dall'edizione di Rime antiche, Venezia 1518, per Guglielmo di Monferrato, sulla cui fede la riprodussero gli editori del passato secolo e del presente, mentre il Giunti aveala già rifiutata, essendosi limitato a ristamparla in fine della sua raccolta del 1527 sotto nome d'autore incerto. Essa è pertanto di Cino; poichè nei molti codici da me veduti non si riscontra mai col nome di Dante, ma bensì in parecchi col nome di Cino; il Pilli ed il Ciampi, appoggiati a buone autorità, la produssero siccome di Cino; e siccome di Cino, e non già di Dante, la citano il Trissino, il Quadrio ed altri. Infatti lo stile, passionato sì ma verboso, ne persuade non ad altri appartenere che al poeta pistoiese. Ma a togliere ogni scrupolo, che nei più dubbiosi potesse tuttavia restare, basterà il dire, che la donna, della quale qui si piange la perdita, è Selvaggia Vergiolesi, l'amorosa di Cino. Che questa donzella facesse non breve dimora alla Sambuca (castello piantato sugli aspri monti dell' Appennino nella provincia pistoiese, ove il padre suo Filippo erasi rifuggito per le cittadinesche fazioni), e che ella poi vi morisse, lo dicono gli scrittori della vita di Cino, lo dice l'istorico Pandolfo Arfaroli, e lo dice finalmente lo stesso Cino nelle sue poesie: Com' io passai per il monte Appennino, Ora la donna, della quale nella presente canzone si deplora la perdita, non si dice forse con vocaboli chiari e precisi morta in sugli aspri monti dell' Appennino, lo che certamente non accadde di Beatrice, perchè morta in Firenze? «Oimè! vasel compiuto Di ben sopra natura, Condotto fosti suso gli aspri monti, Dove t' ha chiuso, ohimè! fra duri sassi La Morte..... >> Stanza III. Pertanto qual senso più naturale e più vero possiamo dare a queste parole, se non quello che il poeta parli della morte di Selvaggia, accaduta nel tempo della ritirata del padre suo in montagna? E per di più farò osservare, che il ritratto della sua donna, fatto qui dal poeta, è pienamente conforme a quello di madonna Selvaggia fatto altrove da Cino. Nel sonetto CLIV ei dice così: « Treccie conformi al più raro metallo, Fronte spaciosa e tinta in fresca neve, Braccia tonde, man candida e sottile, Son le bellezze di Selva gentile. » Nella presente canzone va poi delineando l'immagine della stessa donna coi tratti medesimi del riportato sonetto: ei va piangendo le treccie conformi al più raro metallo, Oimè lasso! quelle treccie bionde, Dalle quai rilucieno D'aureo color gli poggi d' ogn' intorno; va piangendo le gote vermiglie, . Oimè! 'l fresco ed adorno E rilucente viso; (lo che non potea dirsi di Beatrice, la quale aveva, siccome rilevammo, un color pallido, un colore di perla); va piangendo i candidi denti e i labbri di corallo, la bianca neve Fra le rose vermiglie d'ogni tempo ec. » Adunque non si voglia più togliere a Cino questa canzone per darla a Dante, cui non appartiene per certo. CANZONE. Io miro i crespi e gli biondi capegli, D'un fil di perle, e quando d' un bel fiore, A sol a sol con lei ov'io la chieggio? Disfarla ad onda ad onda, E far de' suoi begli occhi a' miei due specchi, Che lucon si, che non trovan parecchi. Poi guardo l' amorosa e bella bocca, La spaziosa fronte e'l vago piglio, Li bianchi denti, e'l dritto naso e 'l ciglio Il vago mio pensiero allor mi tocca Passa ben di dolcezza ogni altra cosa. Non ho nel mondo cosa che non desse L'altre, che den valer, che dentro copre ? Che sono in cielo, il Sole e l'altre stelle, Pensar ben dêi, che ogni terren piacere Si trova in lei, ma tu nol puoi vedere. |