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Ille: Quis hoc dubitet? Propter quod respice tempus,
Tytire, quam velox; nam jam senuere capellæ,
Quas concepturis dedimus nos matribus hircos.
Tunc ego Quum mundi1 circumflua corpora cantu
Astricolæque meo, velut infera regna, patebunt,
Devincire caput 2 hedera, lauroque juvabit.
Concedat Mopsus? Mopsus, tunc ille, quid? inquit.
Comica nonne vides ipsum reprehendere verba,
Tum quia fœmineo resonant ut trita labello,

Ed ei: Chi'l porrà in forse? Or dunque guarda,
Titiro mio, si come il tempo vola:

Imperocchè invecchiar già le caprette,

Che noi demmo per madri a figliar gl'irchi.
A cui risposi: Quando celebrati

Fian dal mio canto i corpi che s' aggirano
Intorno al mondo, ed i celesti spirti,

Si come or sono i due più bassi regni;
Allor mi gioverà d'edra e di lauro
Cigner la fronte. Che il conceda Mopso?
Che Mopso? (l'altro allor) Non vedi lui
Disapprovar le comiche parole,

Si perchè suonan quai comuni e basse

intelligit, seu quod ratione metri auclo-
ritate poetica addiderit in principio il-
lam S, seu quod ita quondam illum vo-
catum crediderit, eo quod Virgilius dicit,
et quæ rigat æquora Sarnus, quasi de
isto Arno loquatur, quod quidem fal-
sum est. Loquitur namque Virgilius de
Sarno fluvio Campania prope Neapo-
lim, ut satis loca ibidem a Virgilio no-
minata demonstrant. Ma il Poeta non
disse Sarno per licenza poetica, per-
chè lo disse anche nella Volg. Eloq.,
1. 1, cap. 6, quamquam * Sarnum bibe-
rimus ante dentes: nè per ignoranza, se
non forse comune, perchè tutti al suo
tempo dicevan così. Monsig. Fontanini
nella sua Eloq. Ital., 1. II, cap. 29,
« Sarnum per Arnum, e Tusiam per
Tusciam all' antica, oltre alle spesse
maniere latino barbare di quel tempo,

*

secondo il Corbinelli avvisa di mano in mano. » Quind'io sospetto che l'Anon. non sia stato contemporaneo di Dante; bensì alcun tempo dipoi egli si sia approfittato di alcune note istoriche da lui trovate su di quest' egloghe.

1 i. Purgatorii. Astricolæque, i Paradiso.

2 q. d. Cum perfecero Purgatorium, et Paradisum Comœdiæ meæ, ut Infernum perfeci, tunc ego delectabor coronari in poetam.

[Se l'Anonimo avesse bene inteso la frase di Dante, avrebbe annotato : Cum perfecero Paradisum Comœdiæ meæ, ut Infernum et Purgatorium perfeci, tunc etc.]

3 i. vulgaria. Leggi a questo proposito il cap. II, vol. IV degli Aneddoti.

i. multum prolata. castalias, Musas.

Tum quia castalias pudet acceptare Sorores?
Ipse ego respondi: versus iterumque relegi,
Mopse, tuos. Tunc ille humeros contraxit, et, Ergo
Quid faciemus, ait, Mopsum revocare1 volentes?
Est mecum quam noscis ovis 2 gratissima, dixi,
Ubera vix quæ ferre potest, tam lactis abundans,
(Rupe sub ingenti carptas modo ruminat herbas)
Nulli juncta gregi, nullis assuetaque caulis,

4

Sponte venire solet, numquam vi poscere mulctram.
Hanc ego præstolor manibus mulgere paratis ;
Hac implebo decem missurus vascula Mopso.
Tu tamen interdum capros meditere petulcos,

Dal labbro femminil, si perchè n' have
Rossor di accôrle il buon castalio Coro?
Tal diei risposta, e i versi tuoi rilessi,
O Mopso. Quegli allor strinse le spalle,
E disse: Or che farem per distor Mopso?
Meco ho, risposi, quella che tu sai
Pecorella carissima, che a pena
Al peso regge delle mamme, tanto

Di latte abbonda. Or sotto una gran balza
Stassi l'erbe pasciute ruminando:

A nessun gregge unita ella, a nessuno

Ovile accostumata, da sè suole

Alla secchia venir senza oprar verga.
Or questa aspetto a munger prontamente:
Di questa n' empierò dieci vaselli,
E manderolli a Mopso. Ma tu intanto
Studia aver cura de' lascivi capri,

1 i. si nihil respondemus, nihil amplius iniciet nobis.

2 i. bucolicum carmen.

3 Con questa rupe smisurata volle accennare il Poeta, a mio credere, il monte altissimo del Purgatorio, a fornir la Cantica del quale egli allora era intento.

[Così credette il Dionisi, forse indotto in questa opinione dalle parole

dell'Anonim. che sono alla nota 6 pag. antec., le quali notammo essere errate.]

4 Quia non invenitur aliud opus bucolicum in lingua latina. Intendi dopo Virgilio; ma in allora non erano state scoperte l'egloghe di Calfurnio.

5 Se non sufferre laborem in carmine bucolico, sed a natura habere.

6 Queste io le ho per parole di Me

Et duris crustis discas infigere dentes.

Talia sub quercu Melibus, et ipse canebam,
Parva tabernacla et nobis dum farra coquebant.

E aver buon dente a roder l'altrui pane.
Cosi sotto una quercia Melibeo,

Ed io con lui cantava, mentre il farro

La piccola capanna a noi cocea.

JOANNES DE VIRGILIO DANTI ALAGERII.

EGLOGA RESPONSIVA.

1

Forte sub irriguos colles, ubi Sarpina Rheno
Obvia fit viridi niveos interlita crines

Nimpha procax, fueram nativo 2 conditus antro.
Frondentes ripas tondebant sponte juvenci : 3
Mollia carpebant agnæ, dumosa capellæ.

Viveami a piè degli irrigati colli
Nel natio speco occulto, ove Savena
Sparsa di verde la nevosa chioma
Corre ninfa lasciva in grembo al Reno.
1 giovenchi pascean liberamente
Le frondifere sponde: l'erba molle
Carpian l'agnelle, e le caprette i dumi.

libeo, cioè di ser Dino Perini, colle quali egli insinui a Titiro, cioè a Dante, che mediti a quando a quando petulcos... capros, vale a dire i grandi alla sua parte contrarii, per guardarsene, e i personaggi degni d'infamia per inserirne anche nel rimanente del Poema la riprensione o la satira; e che s'avvezzi a masticar con pazienza il pane degli altri, che ha sette croste, ovvero il pane della povertà, ch'è

per sè stesso durissimo. Stude in his è la glosa interlineare dell' Anonimo al meditere.

1 irriguos, i. madidos. interlita, i. intermaculata. La Savena è spartita in due rami, detti la Savena vecchia e la nuova; per questo la dice aspersa i nevosi crini di verde. 2 i. Bononiæ.

3 scolares majores. agnæ, minores scolares. capellæ, mediocres scolares.

Quid facerem? nam solus eram puer incola silvæ.
Irruerant alii causis adigentibus urbem ;

1

Nec tum Nisa mihi, nec respondebat Alexis,

4

Suetus uterque comes: calamos moderabar hydraules 2
Falce recurvella cunctæ solamina, quando
Litoris adriaci3 resonantem Tityron umbra,
Quam densæ longo pretexunt ordine pinus *
Pascua porrectæ cœlo genioque locali 5
Alida mirtetis, et humi florentibus herbis,
Quaque nec arentes Aries fluvialis arenas
Esse sinit, molli dum postulat æquora villo,
Retulit ipse mihi flantis leve sibilus Euri,

6

7

Che dovea dunque io farmi, io della selva
Unico essendo abitator novello?

Con furia si cacciâr gli altri in cittade
Da' bisogni sospinti; nè più Nisa
Meco era allor, nè più era meco Alessi,
Già miei fidi compagni; ond' io men giva
Con la roncola adunca le palustri

Canne acconciando, unico mio sollazzo;
Quando dall'ombra dell' adriaco lido,
'Ve i densi pini posti in lunga fila
Copron gli ameni spaziosi prati,
Cui 'l ciel benigno, e l'indole del loco
Fan di mirti olezzar, d' erbe, e di fiori,
E dove vieta il fluvial Montone

Ch' arido sia il terren, mentr' egli cerca
Al suo morbido vel l'acqua del mare;
Da quell' ombra sonar Titiro intesi.

1 i. famula. Alexis, famulus.

2 i. aquatiles, et dicitur ab ydros quod est aqua. recurvella, i. moderatorio. Ma falce recurvella, par che voglia dir colla roncola, o rangaglia, come noi diciamo.

3 adriani. Tityron, accusativus græ

cus.

4s. Ravenna, cioè, la pineta in sul lito di Chiassi presso Ravenna.

DANTE. - 1.

5 i. naturaliter sine hominis labore, vel opere.

6 i. spirantia. Quaque, i. ea parte. Aries, i. fluvius Montonis.

7 Nota qui il can. Bandini, che nel MS. a manu posteriori additum fuit postulat inter voces dum et æquora.

8 i. leniter. vocalis odor, i. vocalis sonus scripturæ. Mænala, montes Arcadia pastorales.

28

Quo vocalis odor per Mænala celsa profusus,
Balsamat auditus, et lac distillat in ora;

Quale nec a longo meminerunt tempore mulsum
Custodes gregium;1 quamquam tamen Arcades omnes.
Arcades exultant audito2 carmine nymphæ,
Pastoresque, boves, et oves, hirtæque capellæ,
Arrectisque onagri decursant auribus ipsi;
Ipsi etiam Fauni saliunt de colle Lycæi.
Et mecum: Si cantat oves et Tityrus hircos
Aut armenta trahit, quia nam civile canebas

5

Urbe sedens carmen, quando hoc Benacia quondam
Pastorale sonans detrivit fistula labrum?

Lo stesso sibilar d' Euro, che allora
Spirava placidissimo, recommi

Quanto il vocale odor per gli erti gioghi
Di Menalo diffuso entro gli orecchi
Balsamo instilla, e quanto latte in bocca;
Latte, cui non ricordansi i custodi
De' greggi aver da lunga età gustato
Si dolce; e pur sono d' Arcadia tutti.
Un cotal canto udito, n'esultarono
L' arcadi Ninfe, e co' Pastor le pecore,
L'irsute capre, e i buoi: fino i medesimi
Salvatici giumenti ebber di correre
Cessato, e sterno a orecchie tese; e i Fauni
Scendendo del Liceo, carole intessero.
Io meco dissi: Se gli armenti e l'ayne,
Titiro mio cantando, e gl'irchi move,
Quando fu mai, che pastorali accenti
La mantovana fistola sonando

Le labbra ti guastò; poichè solevi,
Stando in città, sol cantar versi urbani?

1 al. pecudum.

2 al. auditæ.

3 Dei silvarum. Licæi, montis Arcadiæ.

↳ Dicit hic Mopsus: Quando hæc audivi, ego non feceram eglogam, sed postquam per eglogas loquitur et ego.

5 i. virgiliana. Benacus lacus est Mantuæ. Cioè, mediante il Mincio; chè Benaco da' più antichi tempi fu della nostra Verona. Di questo lago, e del fiume che nasce da esso, vedi esatta descrizione nell'Inf. canto XX, v. 61. 6 Non ch' egli prima d' allora aves

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