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Et volucris silvas, et silvæ flamina verna;
Tityre, te Mopsus: miratio gignit amorem.
Ne1 contemne; sitim phrygio Musone levabo:
Scilicet hoc nescis, fluvio potator avito. 3

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Quid tamen interea mugit mea bucula circum ?
Quadrifluumne gravat coxis humentibus uber?
Sic reor en propero situlas implere capaces
Lacte novo, quo dura queant mollescere crusta.
Ad mulctrale veni: si tot mandabimus illi
Vascula, quot nobis promisit Tityrus ipse:
Sed lac pastori fors est mandare superbum.7
E le selve il soffiar di primavera;
Si Mopso veder te, Titiro, gode.
Suol dal veder esser prodotto amore.
Non ne far poco conlo: a te con l'acque
Del Muson frigio ammorzerò la sete.
Forse tu nol conosci, a ber sol uso
Al patrio fiume. Ma che? mugge intanto
La mia vacchetta: che la gravin forse
Le gonfie mamme all'umide sue cosce?
Così credo: ecco ad empiere m' affretto
Di nuovo latte le capaci secchie,
U' possansi ammollir le dure croste.
Vieni dunque al mastello: in questa guisa
Titiro avrà da noi tante misure,
Quante egli a noi ha di mandar promesso:
Ma ad un pastore inviar latte forse

1 Nel MS. me contemne: io leggo ne.
2 i. Musatto poeta paduano.

3 Quia avus Mopsi fuit paduanus. Costui s'inganna di grosso: imperciocchè Giovanni qui parla direttamente con Dante; e lo dice ignaro del frigio Musone, perchè a bere avvezzo nel fiume avito, cioè, nell'Arno; con che dir vuole, ch' essendo il Mussato poeta latino, Dante, che fin allora aveva poetato in lingua volgare, cioè nell'idioma nativo degli avi suoi, non lo conosceva. Quindi è ch' io non

credo nemmeno che l'avolo di Gio-
vanni fosse padovano; e l'ho questa
notizia per arrischiata dal glosatore
sull' inganno or ora scoperto.
i. bucolico carmine.
5 Par meglio sic.

6 Così nel MS. Ma se per li dieci vasetti promessi dal Poeta nella sua egloga prima (v. 64), s'intende l'egloga stessa, avendola questi effettivamente mandata, legger conviene præmisit.

7 Redarguit tacite Tityrum, quia pa

Dum loquor en comites, et Sol de monte rotabat. 1

Mal si conviene. Mentre ch'io ragiono
Ecco i compagni, e il Sole omai tramonta.

1

DANTES ALAGERII JOANNI DE VIRGILIO.

EGLOGA II.

Velleribus colchis 2 præpes detectus Eous
Alipedesque alii pulchrum Titana ferebant:
Orbita, qua primum flecti de culmine cœpit,
Currigerum canthum libratim quemque tenebat, 3
Resque refulgentes, solita superarier umbris,
Vincebant umbras, et fervere rura sinebant.
Tityrus hæc propter confugit et Alphesibœus *
Ad silvam, pecudumque suique misertus uterque,
Fraxineam silvam, tiliis platanisque frequentem:

Spogliato già de' velli aurei di Colco
Traeva il chiaro Sol l'agile Eoo,

E seco gli altri corridori alati :

L'orbita allor, che a declinar dall' alto
Incominciò, dall' una all'altra parte
Tenea le rote eguali, e la splendente
Vampa, che vinta suol esser dall'ombre,
L'ombre vinceva, ed arder fea le ville.
Titiro e Alfesibeo, di sè e del gregge
Pietade avendo, rifuggir per questo
Nella selva di frassini, di tigli,

E di platani densa: e mentre l'agne

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Et dum silvestri pecudes mistæque capellæ
Insidunt herbæ, dum naribus aëra captant,
Tityrus heic annosus enim, defensus acerna
Fronde, soporifero gravis incumbebat odori,
Nodosoque piri vulso de stirpe bacillo

1

Stabat subnixus, ut diceret Alphesibous.

Quod mentes hominum, fabatur, ad astra ferantur,
Unde fuere, nove cum corpora nostra subirent ;
Quod libeat niveis avibus resonare Caystrum
Temperie cœli lætis, et valle palustri ;

Quod pisces coëant pelagi, pelagusque relinquant, *
Flumina qua primum Nerei confinia tangunt;
Caucason Hyrcanæ maculent quod sanguine tigres,
E le caprette in un miste e confuse
Si riposan su l'erba, e respirando
Van per le nari, qui Titiro il vecchio
A un sonnifero odor lasso attendea
Sotto l'ombra d'un acero, e appoggiato
Stava a un nodoso bastoncel, dal ceppo
Svelto d'un pero, perchè Alfesibeo
Pur favellasse, il qual si prese a dire:
Che l'alme umane agli astri, onde fur tratte
I corpi ad informar, faccian ritorno;
Che ai cigni lieti pel temprato cielo,
E per la valle paludosa, piaccia
Empir de' canti loro il bel Caistro;
Che uniscansi del mare i pesci, e quando
Ne' confini di Nereo entrano i fiumi,
Lascino il mar; che il Caucaso di sangue
Sozzin l'ircane tigri, e con sue squame

1 Nel MS. frondi.

2 Dubito, se la virgola vada qui, o dopo nove, la qual parola non so nemmeno se abbia a prendersi per avverbio, o per nome. In qualunque modo, intendi sanamente; chè se Alfesibeo qui parla da platonico, egli Dante parla da cristiano per bocca di Beatrice nel canto IV del Paradiso e di Stazio nel

.

canto XXV del Purg. Alcuni però anche dei Padri della Chiesa, che pur abbominavano la sentenza di Platone, usarono talvolta simiglianti espressioni, solo per voler dire, che le anime nostre sono da Dio e ritornano e Dio.

3 i. cignis. Caystrum, flumen Asiæ. ↳ Cum intrant aquam dulcem. Nerei, Dei marini.

Et Libyus coluber quod squama verrat arenas,
Non miror; nam cuique placent conformia vitæ,
Tityre. Sed Mopso1 miror, mirantur et omnes
Pastores alii mecum sicula arva tenentes,

2

Arida Cyclopum placeant quod saxa sub Etna.
Dixerat: et calidus, et gutture tardus anhelo

4

5

Jam Melibus adest; et vix, en, Tityre, dixit.
Irrisere senes juvenilia guttura, quantum

6

Sergestum e scopulo vulsum risere Sicani.
Tum senior viridi canum de cespite crinem
Sustulit, et patulis efflanti naribus infit:
O nimium juvenis, quæ te nova causa coegit

Che il libico serpente ari il terreno,
Stupore alcun non prendo, poichè suole,
O Titiro, ciascuno aver diletto

Di seguir ciò, ch'è al viver suo conforme.
Ma ben mi maraviglio, e meco tutti
Gli altri pastori siculi, che a Mopso
Gli aridi sassi aggradin de' Ciclopi

Là presso l'Etna. Avea egli detto, e in quella
Già caldo, e tardo per l'ansante gola
Melibeo sopraggiunge; ed ecco, o Titiro,
A stento pronunciò. Risero i vecchi
Al suono giovanil, quanto i Sicani
Trar veggendo Sergesto dallo scoglio.
Quindi il canuto crin dal verde cespo
Alzato il vecchio, a lui che respirava
A larghe nari, disse: O giovin troppo,
Qual mai novella occasion ti spigne
Ad affannar con si veloce corso

1 Mopso è terzo caso richiesto dal verbo placeant.

2 Quia parvi lucri.

3 Mons Siciliæ pro Bononia ponitur.

4 s. magister Fiducius.

5 i. ser Dinus Perini.

6 Nota qui il signor canonico Ban

dini: Olim senex, deinde correctum fuit senes.

7 L'istesso signor Bandini: Ab eadem antiqua manu addita est præpositio e.

8 Siciliani. senior, s. Tityrus. canum, caput. Sustulit, elevavit. efflanti, s. Melibao. infit, dixit.

H

Pectoreos cursu rapido sic angere folles?
Ille nihil contra: sed, quam tunc ipse tenebat,
Cannea quum tremulis conjuncta est fistula labris,
Sibilus hinc simplex avidas non venit ad aures.2
Verum, ut arundinea puer is pro voce laborat,
(Mira loquar, sed vera tamen) spiravit arundo:
<< Forte sub irriguos colles ubi Sarpina Rheno. >>
Et tria si flasset ultra spiramina flata,

Centum carminibus tacitos mulcebat agrestes
Tityrus, et secum conceperat Alphesibœus.
Tityron et voces compellant Alphesiboi:
Sic, venerande senex, tu roscida rura Pelori
Deserere auderes, antrum Cyclopis iturus?

6

Ille: Quid hoc dubitas? quid me, carissime, tentas?

I mantici del petto? Egli a rincontro

Nulla rispose: ma com' ebbe unita
Alle tremule labbra la sampogna,

Ch' egli in mano tenea, nè pure un fischio
Giunse agli avidi orecchi. Quando poi
S' affatica il fanciul perchè dia voce,
(Mirabil cosa narrerò, ma vera)

La sampogna mandò fuor questo carme:
« Viveami a piè degli irrigati colli: »
E se Titiro avesse oltre a tre soffi
Animate le canne, avria lenito
Con cento versi i mutoli cultori,
Come ben avvisossi Alfesibeo,

Il qual rivolto a Titiro con questi
Detti il rampogna: O venerando veglio,
Oserai tu lasciar le rugiadose

Campagne di Peloro, e del Ciclope

Girne allo speco? Ed ei: Di che paventi?

1 Per toglier l'ambiguo, m'è paruto bene scriver quum, invece di cum, ch' era nel MS.

2 nostras, Tityri el Alphesibæi. Verum, i. sed. ut, i. postquam.

3 Principium eclogæ missæ a magi

stro Johanne.

4 i. carmina.

5 Quia 97 tantum sunt missa. 6 i. Bononiæ. Cyclopis, i. tyranni. Ille. s. Tityrus.

7 Nel MS. (come dice il signor ca

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