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all' oratore. L'Italia si gloriava di Dante allorchè la Francia non aveva che rozzi verseggiatori, nè in Germania, nè in Inghilterra era surto chi con poetica veste adornasse il bello. Pertanto calpesta l'onore della nazione qualunque tiene tra noi in dispetto gli antichi nostri. I quali, cioè l' Alighieri, il Boccaccio, il Petrarca, e alcuni scrittori di schiette prose hanno reso immortale il nome del secolo XIV. La memoria di esso vive eziandio per i viaggi e per le scoperte fatte nell'Asia da Oderico da Pordenone, da Marino Sannuto, dal Cornaro, dal Pegoletti, che seguiron l'esempio di Marco Polo, l'ardito visitatore della Tartaria, della Cina, della Mongolia. Vive nelle arti, risorte durante il suo corso a novella gloria; vive nei monumenti con rara magnificenza innalzati per tutta Italia: vive nei lavori degli eruditi in lui cominciati, i quali, quasi buon seme in fertil terreno, portarono nel futuro abbondanti frutti.

Il secolo XIII fu il tempo eroico dell' Italia. Guerre da noi combattute con gran valore, pel solo fine di utilità nazionale: libertà conquistata dai cittadini su i forestieri, e su gli ordini feudali: unione di lei con la religione, essendone stati i papi i propugnatori: bontà di costumi nelle famiglie: desiderio in molti di vincere l'ignoranza: moto, ed attività nel pensiero fecero grande questo secolo uscito appena dalla barbarie, che in se conteneva i germi di nobilissima civiltà, e li avrebbe per certo fatti fiorire, se le passioni di parte fossero state meno insensate, o meno feroci. Ove queste non poterono adoperare la loro forza,

cioè nelle lettere, e nelle arti, proseguì quella il suo corso, e l'Italia diede esempio invidiato a tutta l'Europa. Quindi il secolo XIV è tanto glorioso intellettualmente quanto forse non fu poscia neppure il secolo XVI. Perchè se questo ebbe copia maggiore di eccellenti scrittori, e di sommi artisti, non ebbe Dante, il più gran poeta, il più vasto ingegno di tutta l' età

moderna.

Quello però ci ha lasciato lagrimevole eredità di odii, di vizi, di servitù. In esso germogliarono i primi semi della sacrilega irriverenza verso la Chiesa: in esso i costumi pubblici, ed i privati perdettero la primitiva ingenua schiettezza. Cominciò con tumulti terribili, e fiere guerre: segno però di vita, e di giovinezza in una nazione: finì con quiete, non riposata, ma paurosa. Lo avea salutato al suo nascere il canto dell' Alighieri; lo salutò al suo cadere la supplichevole voce dei penitenti, che a turbe affannate e meste andavano qua e là correndo l'Italia, chiedendo pace a Quello, che solo può darla al mondo. Patì questo secolo pestilenze, fami, tremoti. Ebbe prima armi proprie, poscia venali; vide mutarsi i suoi capitani in perfidi condottieri, l'agitazione dei popoli nell' ossequio di timidi cortigiani. Esso ha pertanto colpe assai gravi con i suoi posteri. Noi però tutte le perdoniamo, perchè ci diede Petrarca, Boccaccio, e Dante. A questo principalmente sia sempre volta la mente degli studiosi. Imparino da esso ad avere italiana la lingua, e la fantasia; italiano il giudizio, l'affetto, il gusto, ad essere d'animo invitto, sdegnoso d'ogni viltà, sprezzatore dell' ire della fortu

na, amante del vero. I tristi tolsero a Dante la patria, i civili onori, e tutte le cose che gli eran care; non gli tolsero, finchè visse, la sicurtà dignitosa della coscienza, nè dopo morte la gloria. Questi son veri beni, durano sempre: cerchiamo di farli nostri con la rettitudine della vita e con la sapienza.

FINE DEL VOLUME PRIMO.

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