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di fare il suo piacere, e che sempre ti sia tua guardia. E preselo, e abbracciollo e baciollo nella fronte, e disse: Figliuol mio, io ti benedico con tutta l'anima e con tutto il corpo e con tutto il desiderio mio; e di e notte ti benedirò, mentre che Iddio mi presterà la vita. Va' in pace, benedetto figliuolo. E la madre fece il simigliante. E'l benedetto figliuolo s'inginocchia in terra, e rende grazie a Dio; e tutto allegro e giocondo esce fuor di casa. Ed ecco che se ne va inverso il diserto. La madre e il padre si fecero alla finestra, onde1 il potevano vedere, e con dolci lagrime e con gran divozione il guardavano tanto quanto il potevano vedere, e tuttavia benedicendolo. Ed ecco che se ne va Giovanni in un asprissimo diserto di lungi molto a tutte l'abitazioni delle genti. E'l padre e la madre rimangono con gran tenerezza e divozione.

Lamento della madre d' Eugenia (figliuola del Prefetto d'Alessandria) fuggita occultamente di casa per farsi

monaca.

La madre si rinchiuse nella camera, e piagnendo con grande lamento diceva: Figliuola mia dolce Eugenia, dove se' tu, che io non ti trovo, com'io soleva, in camera? Chi così disavventuratamente t'ha tolta alla tua madre tapina? Che nuova generazione di perdita è questa? Dove al mondo se' nascosa, e nulla mente lo puote imaginare e comprendere? Se mi t'avessero tolta, figliuola mia, i feroci Barbari e i crudeli Saracini, molto meno trista sarei; imperocchè la tua risplendente faccia e chiara persona, e la tua sapienza t'averebbe fatto onore fra' principi e nobili baroni, e saresti stata glorificata e magnificata da ogni grande signore. E se fossi stata menata nel capo del mondo, nulla impossibile m'averebbe tenuta, ch'io non ti fossi venuta a vedere; nè fatica veruna ci sarebbe di ricomperarti tanto oro, quanto tu pesassi. Se tu fossi morta nelle braccia mie, molto più contenta sarei; e imbalsimando il tuo vergine corpo, serbata t'arei3 per mia consolazione; e quasi come dormissi t'arei contemplando veduta. Ma ora, figliuola mia, niuna consolazione ha la trista madre tua. Guardo per tutto il palagio, e non ti veggio; nel quale, figliuola mia, vestita di gloriose porpore, e coronata di corona splendidissima, 1 Onde. Dalla quale finestra.

2 Ci. A me ed a tuo padre.

Si noti poi Ricomperarti tanto oro quanto ec., per Ricomperarti al prezzo di tanto oro; dando tanto oro. 3 Imbalsimando. Antiquato per Imbalsamando. Subito dopo arei per

avrei.

per le molte e lucenti pietre preziose risplendevi, come stella nel cielo e ora ogni cosa mi pare scurata. Perchè da noi ti se' partita stella diana?1 Ma vie più scurata è l'anima mia; della quale per la letizia ch'io per te ricevea, eri quasi mezza la vita mia. Quando io entro, e veggio le gioie tue, sempre mi si rinnuova il dolore, e piango amaramente si te, diletta figliuola mia, e dico: Ecco la corona tua, Eugenia mia, la quale io soleva acconciare in sul tuo biondissimo capo, e tutta Alessandria faceva allegrezza, quando ti mostravi ne' tuoi ornamenti; ora di te son vedova, e tutta la città è contristata per la tua nuova e inaudita partenza. Quando io era trista e maninconosa, e io ti vedea, subito, come caccia la luce del sole le tenebre scure, così la tua lieta faccia cacciava da me ogni nebbia di tristezza.

MARCO POLO.

La famiglia Polo è celebre nella storia letteraria pe' viaggi di Nicolò, Maffio e Marco, illustrati dalla Relazione che quest' ultimo ce ne ha lasciata.

Nicolò si partì da Venezia col fratello Maffio o Maffeo nel 1250, lasciando la moglie incinta però Marco nato nel 1251 non conobbe suo padre e suo zio innanzi al 1269, quando essi, interrompendo i loro viaggi, vennero in Italia, mandati da Cublai Can de' Mogolli, per pregare il Pontefice che gli piacesse d' inviargli persone atte a diffondere in que' paesi la civiltà europea. Quando poi Nicolò e Maffio ripigliarono i loro viaggi (nel 1271) andò con loro anche Marco (la cui madre era già morta); e tutti e tre nel 1275 furono alla corte di Čublai Can attraversando l'Asia Centrale. Visitarono quindi, primi di tutti, la Cina ed altre regioni orientali; fino all'anno 1295, nel quale si ricondussero a Venezia.

Marco nel 1298 ebbe il comando di una nave alla battaglia di Curzola dove i Veneziani rimasero pienamente sconfitti dai Genovesi; e fu con moltissimi altri condotto a Genova prigioniero. Nelle carceri di quella città dettò ad un compagno di sventura, Rustichello di Pisa, la Relazione de' suoi viaggi: la quale potè poi ridurre a maggior compimento e perfezione quando ritornò libero a Venezia, dove visse fino al 1323. È incerto se

1 Stella diana (lo stesso che Lucifero o Stella mattutina) dissero gli antichi, a significare cosa carissima.

il suo dettato fu italiano o francese o forse in dialetto veneto: ma di questo per altro non può dubitarsi, che la Relazione di Marco Polo qual è da noi posseduta appartiene alle più belle prose antiche italiane.

A questa Relazione fu posto il nome di Milione, quando le cose grandi e strane raccontate dal Polo eran tenute quasi tutte favolose od esagerate: ma dacchè poi la diligenza di alcuni moderni ci fece conoscere i paesi dei quali parla, si è trovato che il Polo fu molto più veritiero che non credettero i nostri maggiori; in quella guisa che molte narrazioni di Erodoto, giudicate per più secoli favolose, furono provate vere dalle scoperte dei recenti viaggiatori

Del Veglio della Montagna, e come fece il Paradiso
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e gli Assassini.

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Milice è una contrada dove il Veglio della Montagna soleva dimorare anticamente. Or vi conteremo l'affare, secondo che messer Marco intese da più uomini. Lo Veglio è chiamato in lor lingua Aloodin. Egli avea fatto fare fra due montagne in una valle lo più bello giardino e 'l più grande del mondo; quivi avea tutti frutti e li più belli palagi del mondo, tutti dipinti ad oro e a bestie e a uccelli: quivi era condotti; 2 per tale veniva acqua e per tale mèle e per tale vino. Quivi era donzelli e donzelle gli più belli del mondo e che meglio sapevano cantare e sonare e ballare: e faceva lo Veglio credere a costoro che quello era lo paradiso. E gli Saracini di quella contrada credevano veramente che quello fosse lo paradiso; e in questo giardino non entrava se non colui, cui egli voleva fare assassino. All'entrata del giardino avea un castello sì forte, che non temeva niuno uomo del mondo. Lo Veglio teneva in sua corte tutti giovani di dodici anni, li quali gli paressono da diventare prodi uomini. Quando lo Veglio ne faceva mettere nel giardino, a quattro, a dieci, a venti, egli faceva loro dare bere oppio, e quegli dormivano bene tre dì, e facevagli portare nel giardino, e al tempo gli faceva ispogliare. Quando gli giovani si

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1 Credesi che il Veglio inebbriasse i suoi aderenti con una bevanda tratta dal canape detto hascisch; donde hascischin e assassino chi ne beveva. 2 Condolli. Canali. Per tale... per tale, qui lo stesso che Per alcuni di questi canali... per altri ec.

3 Avea. Vi era.

A quattro ec. Corrisponde al modo ordinario: Quattro, dieci, venti

per volta.

Al tempo. Quando gli pareva opportuno.

svegliavano, egli si trovavano là entro e vedevano 1 tutte queste cose, veramente si credevano essere in paradiso: e queste donzelle sempre istavano con loro in canti e in grandi sollazzi; donde egli aveano sì quello che volevano, che mai per loro volere non si sarebbono partiti di quello giardino. Il Veglio tiene bella corte e ricca, e fa credere a quegli di quella montagna che così sia, com'io v'ho detto; e quando egli ne vuole mandare niuno di quelli giovani, in niuno luogo, fa loro dare beveraggio che dormano, e fagli recare fuori del giardino in sul suo palagio. Quando coloro si svegliano trovansi quivi, molto si maravigliano e sono molto tristi che si trovano fuori del paradiso. Egli se ne vanno incontanente dinanzi al Veglio, credendo che sia un gran profeta, e inginocchiansi. Egli li domanda: Onde venite? Rispondono : Dal paradiso, e contangli quello che v'hanno veduto entro, e hanno gran voglia di tornarvi: e quando il Veglio vuole fare uccidere alcuna persona, egli fa tôrre quello lo quale sia più vigoroso, e fagli uccidere quello cui egli vuole; e coloro lo fanno volentieri per ritornare nel paradiso. Se scampano, ritornano al loro signore; se è preso, vuole morire, credendo ritornare al paradiso. E quando lo Veglio vuole fare uccidere niuno uomo, egli lo prende e dice: Va', fa' tal cosa; e questo ti fo, perchè ti voglio fare ritornare al paradiso: e gli assassini vanno e fannolo molto volentieri. E in questa maniera non campa niuno uomo dinanzi al Veglio della Montagna, a cui egli lo vuole fare; e si vi dico, che più re gli fanno tributo per quella paura. Egli è vero che negli anni 1277 Alau signore dei Tartari del Levante, che sapeva tutte queste malvagità, pensò tra sè medesimo di volerlo distruggere, e mandò de' suoi baroni a questo giardino, e istettonvi tre anni attorno al castello prima che l'avessono; nè mai non lo avrebbono avuto, se non per fame. Allora per fame fu preso, e fu morto lo Veglio e sua gente tutta; e d'allora in qua non vi fu più Veglio niuno.

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Di Aigiarne figliuola del re Chaidu.

Il re Chaidu avea una sua figliuola, la quale era chiamata in tartaresco Aigiarne (ciò viene a dire, in latino, lucente luna). Questa donzella era si forte, che non si trovava persona che

presi.

1 E vedevano. La sintassi vorrebbe E vedendo.

2 Areano si ec. Avevano tanto copiosamente ciò che volevano.

3 Niuno per Alcuno. Così anche In niuno luogo per In qualche luogo. Se è preso. Per corrispondere a scampano dovrebbe leggersi se sono

5 Questo ti fo. Tale incarico ti do.

vincere la potesse di veruna prova. Lo re suo padre si la volle maritare; quella disse che mai non si mariterebbe s'ella non trovasse un gentil uomo che la vincesse di forza o d'altra pruova. Lo re si le avea largito, ch'ella si potesse maritare a sua volontà. Quando la donzella ebbe questo dal re, si ne fu molto allegra; e allora mandò per tutte le contrade, che se alcuno gentile uomo fosse che si volesse provare colla figliuola del re Chaidu, si andasse a sua Corte, sappiendo che qual fosse 2 quegli che la vincesse, ella il torrebbe per suo marito. Quando la novella fu saputa per ogni parte, eccoti venire molti gentili uomini alla Corte del re. Or fu ordinata la pruova in questo modo. Nella mastra sala del palazzo si era lo re e la reina con molti cavalieri e con molte donne e donzelle; ed ecco venire la donzella tutta sola, vestita d'una cotta di zenzado molto acconcia. La donzella era molto bella e ben fatta di tutte bellezze. Or conveniva che si levasse il donzello che si voleva provare con lei, a questi patti com' io vi dirò; che se'l donzello vincesse la donzella, ella lo dovea prendere per suo marito ed egli dovea avere lei per sua moglie; e se cosa fosse che la donzella vincesse l'uomo, si conveniva che l' uomo desse a lei cento cavalli; e in questo modo avea la donzella guadagnati bene diecimila cavalli. E sappiate che questo non era maraviglia; chè questa donzella era sì ben fatta e sì informata" ch'ella pareva pure una gigantessa. Eravi venuto un donzello lo quale era figliuolo del re di Pamar per provarsi con questa donzella, e menò mille cavalli per mettere alla pruova: ma il cuore li stava molto franco di vincere, e di ciò gli pareva essere troppo bene sicuro: e questo fu nel milledugento ottanta anni. Quando il re Chaidu vide venire questo donzello, sì ne fu molto allegro, e molto desiderava nel suo cuore che questo donzello la vincesse: perciocch' egli era bel giovane e figliuolo di un gran re: e allora si fece a pregare la figliuola che si lasciasse vincere a costui; ed ella si rispuose: Sappiate, padre, che per veruna cosa del mondo non farei altro che diritto e ragione. Or eccoti la donzella entrata nella sala alla prova; tutta la gente che stava a vedere, pregavano che désse a perdere alla donzella, accioc

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1 Largito. Conceduto, data licenza.

2 Qual fosse. Qualunque fosse.

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3 Se cosa (forse se caso) fosse ec. Se avvenisse.

Si informata. Di tali forme.

5 A costui, per Da costui.

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6 Che desse a perdere. Che avvenisse che la donzella perdesse. Si noti poi il plur. masc. accompagnati riferito al sing. fem. bella coppia.

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