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morte 1 i cittadini se ne divisono, e trassonsi insieme i parentadi. e l'amistà d'amendue le parti, per modo che la detta divisione mai non finì: onde nacquero molti scandoli e omicidii e battaglie cittadinesche.

Battaglia di Campaldino.

Mossono le insegne al giorno ordinato i Fiorentini per andare in terra di nimici,3 e passarono per Casentino per male vie; ove, se avessono trovati i nimici, arebbono ricevuto assai danno: ma non volle Dio. E' giunsono presso a Bibbiena, a un luogo che si chiama Campaldino, dove erono i nimici e qui si fermarono, e feciono una schiera. I capitani della guerra misono i feditori alla fronte della schiera, e i palvesi col campo bianco e giglio vermiglio furono attelati dinanzi. Allora il Vescovo, che avea corta vista, domandò: « Quelle, che mura sono?» Fugli risposto: «I palvesi de' nimici. »

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Messer Barone de' Mangiadori da San Miniato, franco ed esperto cavaliere in fatti d'arme, raunati gli uomini d'arme, disse loro: «Signori, le guerre di Toscana si solíano vincere per bene assalire, e non duravano, e pochi uomini vi moriano, chè non era in uso l'ucciderli. Ora è mutato modo, e vinconsi per istare ben fermi: il perchè io vi consiglio, che voi stiate forti, e lasciategli assalire. » E così disposono di fare. Gli Aretini assalirono il campo si vigorosamente e con tanta forza, che la schiera de' Fiorentini forte rinculò. La battaglia fu molto aspra e dura. Cavalieri novelli vi s' erano fatti dall' una parte e dall'altra. Messer Corso Donati colla brigata de' Pistolesi fedì i nimici per costa: le quadrella pioveano: gli Aretini n' aveano poche, ed erano fediti per costa, onde erano scoperti : l'aria era coperta di nugoli, la polvere era grandissima. I pedoni delli Aretini si metteano carpone sotto i ventri de' cavalli con le coltella in mano, e sbudellavangli: e de' loro feditori trascorso

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cere uxorem, nelle quali sottintendesi a casa; secondo l'uso ordinario che la moglie vada ad abitare nella casa del marito.

1 Di tal ec.; cioè: A cagione di tal morte.

2 I parentadi, i congiunti; le amistà, gli amici.

3 In terra ec. Contro gli Aretini.

4 Erono. Erano. Così anche altrove,

5 Palvesi. Scudi. Attelati. Schierati. Il Vescovo d' Arezzo qui mentovato fu Guglielmo degli Ubertini, già ghibellino, poi guelfo ed ora ghibellino di nuovo, per dominare.

6 Forte. Molto, per gran tratto.

7 Fedi, fediti, feditori per feri, feriti, feritori, dall' antico verbo fedire.

8 Onde. Dove, Dalla qual parte.

no tanto, che nel mezzo della schiera furono morti molti di ciascuna parte. Molti quel dì, che erano stimati di grande prodezza, furono vili; e molti, di cui non si parlava, furono stimati. Assai pregio v' ebbe il balio del capitano, e fuvvi morto. Fu fedito messer Bindo del Baschiera Tosinghi, e così tornò a Firenze, ma fra pochi di mori. Della parte de' nimici fu morto il Vescovo, e messer Guglielmo de' Pazzi franco cavaliere, Buonconte e Loccio da Montefeltri, e altri valenti uomini. Il conte Guido non aspettò il fine, ma sanza dare colpo di spada si parti. Molto bene provò messer Vieri de' Cerchi con un suo figliuolo cavaliere alla costa di sè. Furono rotti gli Aretini, non per viltà nè per poca prodezza, ma per lo soperchio de' nimici furono messi in caccia, uccidendoli. I soldati fiorentini, che erano usi alle sconfitte, gli ammazzavano: i villani non aveano pietà. Messer Talano Adimari e' suoi si tornarono presto a loro stanza. Molti popolani di Firenze, che aveano cavallate, stettono fermi: molti niente seppono, se non quando i nimici furono rotti. Non corsono ad Arezzo con la vittoria; 5 che si sperava con poca fatica l'arebbono avuta.

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Al capitano e a' giovani cavalieri, che aveano bisogno di riposo, parve avere assai fatto di vincere, senza perseguitarli. Più insegne ebbono di loro nimici, e molti prigioni, e molti n'uccisono, che ne fu danno per tutta Toscana.

Fu la detta rotta a' dì 11 di giugno, il dì di san Bernaba in uno luogo che si chiama Campaldino presso a Poppi.

Congiura contro Giano della Bella.

Giano della Bella, uomo virile e di grande animo, era tanto ardito che lui difendeva quelle cose che altri abbandonava, e parlava quelle che altri taceva, e tutto in favore della giustizia contro a' colpevoli: e tanto era temuto da' rettori, che temeano di nascondere i maleficii. I grandi cominciarono a parlare contro a lui, minacciandolo che, non per giustizia, ma per fare morire i suoi nimici il facea, abbomi

1 Sanza. Senza. Così in più altri luoghi.

2 Molto bene provò. Fece molte belle prodezze.

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3 Messi in caccia, cioè: Volti in fuga e cacciati dai vincitori che gl' inseguivano ed uccidevano.

↳ Cavallata dicevasi Una banda di milizia a cavallo. Li accusa di non avere soccorsa, come potevano, la loro città.

5 Notisi questo bel modo, a significare che per quella vittoria potevano pigliare Arezzo senza trovar contrasto, ma non seppero profittarne.

6 Notisi il modo Parlava quelle cose, per dire Parlava di quelle cose. L'adoperano i poeti più che i prosatori.

7 Il facea; lo stesso che Ciò facea. Così poco dopo leggesi il rappor

nando lui e le leggi e dove si trovavano, minacciavano squartare i popolani che reggeano. Onde alcuni, che gli udirono, il rapportarono a' popolani, i quali cominciarono a inacerbire, e per paura e sdegno inasprirono le leggi, sì che ciascuno stava in gelosia. Erano i principali del popolo i Magalotti, però che sempre erano stati aiutatori del popolo: ed aveano gran séguito, e intorno a loro aveano molte schiatte che con loro si raunavano d'uno animo, e più artefici minuti con loro si ritrae

vano.

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I potenti cittadini (i quali non tutti erano nobili di sangue, ma per altri accidenti erano detti grandi) per isdegno del popolo molti modi trovarono per abbatterlo; e mossono di Campagna uno franco e ardito cavaliere, che avea nome messer Gian di Celona, potente più che leale, con alcune giurisdizioni a lui date dallo imperadore. E' venne in Toscana patteggiato da' grandi di Firenze, e di voluntà di papa Bonifazio VIII, nuovamente creato: ebbe carta e giurisdizioni di terre che guadagnasse; e tali vi posono il suggello, per frangere il popolo di Firenze, che furono messer Vieri de' Cerchi e Nuto Marignolli, secondo disse messer Piero Cane da Milano procuratore del detto messer Gian di Celona. Molti ordini dierono per uccidere il detto Giano dicendo: « Percosso il pastore, fiano disperse le pecore. »

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Un giorno ordinarono di farlo assassinare: poi se ne ritrassono per tema del popolo: poi per ingegno trovarono modo di farlo morire con una sottile malizia, e dissono: « Egli è giusto : mettiangli innanzi le rie opere de' beccai, che sono uomini mal feraci e mal disposti. » Tra' quali era uno chiamato Pecora, gran beccaio, sostenuto da' Tosinghi, il quale facea la sua arte con falsi modi e nocivi alla repubblica era perseguitato dall'Arte, però che le sue malizie usava senza timore: minacciava i rettori e gli uficiali, e profferevasi a mal fare con gran possa d' uomini e d'arme.

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torono a' popolani, in luogo di Rapportarono a' popolani ciò che avevano udito dire dai Grandi.

1 Che reggeano. Che allora tenevano le magistrature.

2 D'uno (sottinteso solo) animo; cioè: Tutti d'una sola volontà. Si ritraevano, si univano.

3 Per isdegno. Per odio e disprezzo verso il popolo.
Creato papa da poco tempo; nel 1294.

5 Mal feraci. Malfattori.

Mal disposti. Inclinati, pronti a mal fare. 6 Dopo che le vittorie di Carlo d'Angiò nel Regno di Napoli sollevarono la parte Guelfa, i Ghibellini di Firenze « giudicarono che fosse bene guadagnarsi con qualche beneficio quel popolo che prima aveano con ogni ingiuria aggravato... Giudicarono pertanto farsi amico il popolo e loro partigiano, se gli rendevano parte di quegli onori e di quella autorità che gli

Quelli della congiura fatta contro a Giano, essendo sopra rinnovare le leggi nella chiesa d'Ognissanti, dissono a Giano: « Vedi l'opere de' beccai quanto multiplicano al mal fare; » e Giano rispose: « Perisca innanzi la città, che ciò si sostenga; » e procurava fare leggi sopra loro. E per simile diceano de' giudici: «Vedi! i giudici minacciano i rettori al sindacato, 1 e per paura traggono da loro le ingiuste grazie, e tengono le questioni sospese anni tre o quattro, e sentenzia di niuno piato si dà: e chi vuole perdere il piato di sua voluntà, non può, tanto impigliano le ragioni e'l pagamento senza ordine. » Giano, giustamente crucciandosi sopra di loro, dicea: « Faccinsi leggi che sieno freno a tanta malizia. » E quando l'ebbono così acceso alla giustizia, segretamente mandavano a' giudici e a' beccai e agli altri artefici, dicendo che Giano li vituperava, e che facea leggi contro a loro.

Scoprissi la congiura fatta contro a Giano uno giorno che io Dino ero con alquanti di loro per raunarci in Ognissanti,2 e Giano se ne andava a spasso per l'orto. Quelli della congiura fermavano 3 una falsa legge, che tutti non la 'ntendeano: che si avesse per nimica ogni città o castello che ritenesse alcuno sbandito nimico del popolo. E questo feciono, però che la congiura era fatta con falsi popolani per sbandeggiare Giano, e metterlo in odio del popolo. I'* conobbi la congiura, e dubitai per che faceano la legge senza gli altri compagni. Palesai a Giano la congiura fatta contro lui, e mostra'li come lo faceano nimico del popolo e degli artefici, e che, seguitando le leggi, il popolo li si volgerebbe addosso; e che egli le lasciasse, e opponessisi con parole alla difensione. E così fece, dicendo: << Perisca innanzi la città, che tante opere rie si sostengano. >>

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avevano tolta, ed elessero trentasei cittadini popolari, i quali insieme con due cavalieri fatti venire da Bologna riformassero lo stato della città. Costoro, come prima convennero, distinsero tutta la città in Arti, e sopra ciascun' Arte ordinarono un magistrato, il quale rendesse ragione ai sottoposti a quelle. Consegnarono oltre di questo una bandiera, acciocchè sotto quella ogni uomo convenisse armato, quando la città ne avesse di bisogno. Furono nel principio queste Arti dodici, sette maggiori e cinque minori. Dipoi crebbero le minori infino a quattordici, tanto che furono ventuna. » MACHIAVELLI, Stor. lib. II.

1 Minacciano ec., cioè: Minacciano di chiamarli al rendimento di conti. Piato, Causa, Processo.

2 In Ognissanti. Nella chiesa di questo nome già mentovata.

3 Fermavano. Stabilivano, ordinavano.

I per lo è rimasto ai poeti.

5 Mostra' li lo stesso che mostraili o li mostrai. E si noti qui, come altrove, li in cambio di gli.

6 Persistendo nelle sue leggi.

Allora conobbe Giano chi lo tradiva; però che i congiurati non si poteano più coprire. I non colpevoli voleano esaminare i fatti saviamente; ma Giano, più ardito che savio, gli minacciò farli morire. E però si lasciò di seguire il fare le leggi, e con grande scandolo ci partimmo.

I grandi feciono loro consiglio in San Jacopo oltr' Arno, e quivi per tutti si disse che Giano fusse morto.1 Poi si raunarono uno per casa, e fu il dicitore messer Berto Frescobaldi, e disse, come i cani del popolo aveano tolto loro gli onori e gli ufici; e non osavano entrare in palagio: « I loro piati non possono sollicitare: se battiamo uno nostro fante, siamo disfatti.s E pertanto, signori, io consiglio che noi usciamo di questa servitù. Prendiàn l'arme, e corriamo su la piazza: uccidiamo amici e nimici di popolo, quanti noi ne troviamo, sicchè giammai noi nè i nostri figliuoli non siamo da loro soggiogati. »

Appresso si levò messer Baldo della Tosa, e disse: «Signori, il consiglio del savio cavaliere è buono, se non fusse di troppo rischio; perchè, se nostro pensiero venisse manco,* noi saremmo -tutti morti: ma vinciángli prima con ingegno, e scomuniánglis con parole pietose, dicendo, i Ghibellini ci torranno la terra, loro e noi cacceranno, e che per Dio non lascino salire i Ghibellini in signoria: e così scomunati conciarli per modo, che mai più non si rilievino. » Il consiglio del cavaliere piacque a tutti; e ordinarono due per contrada, che avessono a corrompere e scomunare il popolo, e ad infamare Giano, e tutti i potenti del popolo scostassono da lui per le ragioni dette.

Così dissimulando i cittadini, la città era in gran discordia. Avvenne che in quelli di messer Corso Donati, potente cavaliere, mandò alcuni fanti per fedire messer Simone Galastrone suo consorto:7 e nella zuffa uno vi fu morto e alcuni fediti. L'accusa si fe d'amendue le parti ; però si convenía procedere secondo gli ordini della giustizia in ricevere le prove e in punire. Il processo venne innanzi al podestà, chiamato messer

1 Fusse morto. Fosse ucciso; che si dovesse uccider Giano.

2 Non osavano. Si riferisce a loro, cioè ai Grandi, non già (come parrebbe) a cani, od a popolo.

3 Avevano dunque it costume di battere i servitori, e volevano poterli battere impunemente !

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Venisse manco. Non avesse effetto. Saremmo tutti morti. Saremmo uccisi tutti.

5 Scomuniángli. Rompiamo la loro comunanza, facciamo che si disuniscano. L' Allighieri usò in questo senso anche scommettere.

6 Dicendo che i Ghibellini ec.

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Consorto dicevasi chi era unito di parentela o di parte.

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