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ogni cosa. Sbigottiti gl' Italiani da quelle vittorie e dalla presenza di un tal potentato, sentirono la necessità di levarlo d'Italia: e Lodovico il Moro più di tutti; il quale nel tempo di quella spedizione, per la morte del nipote (procurata forse da lui) era diventato padrone del Milanese, e temeva che la Casa reale di Francia non mettesse di nuovo in campo le pretensioni manifestate alla morte dell'ultimo Visconti. Fu quindi ordinata prontamente quella lega che meglio sarebbesi fatta da prima. Carlo VIII dovette abbandonare la sua bella conquista, ed ebbe in luogo di segnalata vittoria il potersi aprire la via a traverso l'esercito che i collegati gli opposero a Fornuovo, a' dì 7 luglio di quello stesso anno 1495 nel quale era venuto. Lodovico per altro potè sospendere quel male di cui temeva, non già definitivamente evitarlo. Perciocchè tre anni dopo successe nel trono di Francia Luigi XII della famiglia d'Orléans: il quale facendo rivivere i diritti della Valentina Visconti mentovata più sopra, fattisi amici Alessandro VI e i Veneziani, mandò contro lo Sforza il milanese Gian Giacomo Trivulzio, guerriero illustre se non macchiava la sua fama discendendo con eserciti forestieri in Italia. Lodovico fuggì dinanzi al pericolo, riparando presso l'imperatore Massimiliano che lo aveva riconosciuto Duca vivente ancora il nipote per averne in moglie Bianca sua figlia con 400,000 ducati di dote. Ben potè dopo qualche tempo rientrare in Milano donde il Trivulzio aveva dovuto partirsi ma abbandonato ben presto dagli Svizzeri che aveva stipendiati per ricuperare il suo Stato, fu fatto prigioniero presso Novara (nel 1500) e condotto in Francia, dove morì.

A compiere la descrizione delle cose più importanti avvenute in Italia nel secolo XV, ci resta da dire soltanto che i Fiorentini tentarono invano, e con proprio danno, di sottomettersi Lucca, perduta nel secolo precedente; perdettero Pisa, che ribellossi da loro nella venuta di Carlo VIII; e, dopo la cacciata dei Medici, abbracciarono una forma di reggimento popolarissima, prevalendo principalmente il consiglio di Fra Girolamo Savonarola da Ferrara. Il quale era venuto appo il popolo in fama di più che umana prudenza, e, a guisa degli antichi tribuni di Roma, strascinava con facondia impetuosa la moltitudine dovunque voleva. Riprovava per giuste cagioni, e proponevasi di riformare la politica, la pubblica amministrazione, i costumi la lettera

tura, le arti e al pari di altri che lo precedettero o lo susseguirono sentì la necessità di cominciar riformando il clero che vuol essere depositario della vera dottrina, e custode e direttore della morale privata e pubblica. Però aizzando contro di sè i potenti, e trascendendo a poco a poco i confini ragionevoli per disdegno di irragionevoli contrasti, fu anch'egli, come tanti altri, rumoroso piuttosto che grande o efficace, ed ebbe assai breve durata. Prima che il secolo toccasse al suo fine, fu accusato di eresia (da Alessandro VI!) ed abbruciato vivo nella stessa città di Firenze.

Dalle guerre di questo secolo trassero frutto principalmente i Veneziani che nella pace conchiusa con Francesco Sforza ebbero Padova, Vicenza, Verona, Brescia e Bergamo, poscia ottennero Cremona e la Ghiara d'Adda da Luigi XII quando venne a far guerra contro Lodovico il Moro. Anche il Regno di Napoli, incorporandosi colla Sicilia, divenne molto più ragguardevole: e queste erano le due maggiori potenze italiane quando finì il secolo XV. Ma Carlo VIII e Luigi XII colle loro spedizioni aveano dato un esempio troppo funesto; e la disuguaglianza di forze tra i vari Stati ond' era composta l'Italia doveva esser cagione che il tristo consiglio di Lodovico il Moro fosse imitato da altri ogni volta che nascesse guerra in questo paese. Considerato dunque sotto il rispetto dell' avvenire, il secolo XV può dirsi infelicissimo all' Italia: considerato in sè stesso e in confronto dei precedenti, non lo diremo più fortunato o felice, ma pure men disastroso. Primamente si vuol notare che in tutta quella età non si conobbe degl'imperatori in Italia quasi altro che il nome. I condottieri colle loro compagnie o bande di milizie mercenarie ebbero, a dir vero, una parte grandissima negli avvenimenti del secolo XV; e costituendo quasi una lega di principi senza principato, ebbero in pugno le sorti delle famiglie più illustri, e in parte ancor del paese. Ma perchè erano disposti a combattersi, non per altro a distruggersi, perciò le guerre diventarono manco micidiali. Certamente la cagione di ciò non fu sempre lodevole in sè medesima (perchè proveniva da un segreto accordo tra i condottieri contro la fede promessa a chi li pagava), nondimeno l'effetto era buono, risparmiando il sangue: e per essere quelle milizie quasi tutte di soldati italiani guidati da condottieri nazionali, accompagnossi al male già da gran tempo introdotto almen questo bene, che

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nè il valore dei nostri si spense, nè il nostro danarouscì fuori del nostro paese. Così non attribuiremo ad amore del pubblico bene, ma piuttosto a necessità, astuzia, ambizione, che i principi sottentrati alle repubbliche proteggessero gli studi e i loro coltivatori; nondimeno quella protezione, paragonata coi costumi di altre età, fu testimonio di un secolo migliorato. Finito quel lungo scisma di cui s'è toccato, i pontefici Nicolò Ve Pio II protessero altamente le lettere, delle quali furono essi medesimi illustri coltivatori. Filippo Maria Visconti. non ostante la sua indole viziosa ed inerte, Francesco Sforza, in mezzo alle guerre, e Lodovico il Moro, nella perfidia de' suoi pubblici e privati delitti, favorirono in Lombardia i letterati, gli artisti ed ogni maniera di studi. I marchesi Gonzaga e la Casa d' Este fecero delle corti di Mantova e di Ferrara un albergo di dotti, e, come alcuni amarono dire, un soggiorno delle Muse. Lo stesso vale dei marchesi di Monferrato, dei duchi d'Urbino. di quei di Savoia, diventati in questo secolo principi del Piemonte, e d' altri minori di stato, che gareggiavan coi grandi. Alfonso re di Napoli non volle mostrarsi indegno di sedere sul trono di quel Roberto da cui il Petrarca avea voluto essere giudicato meritevole della corona. Ma sopra tutto i Medici di Firenze, che di ricchezze vincevano i re, e (per trovarsi in un paese repubblicano) avevano più che gli altri bisogno d'abbagliare il popolo, profondevano immensi tesori a comperar libri, stipendíare e proteggere letterati. E Lorenzo il Magnifico, mentre gareggiava coi principi nel promuovere splendidamente gli studi, mettevasi come studioso e scrittore tra i primi del suo tempo. Già nel secolo XIV, per cura principalmente del Petrarca, del Boccaccio e d'alcuni altri letterati, l' Italia possedeva un buon numero di codici greci e latini, e maestri e cultori non pochi di quelle lingue. Col favore dei principi e di quanti agognavano al principato, e dopoche furon cessate le disastrose scorrerie dei barbari, poterono moltiplicarsi e arricchirsi le raccolte di tali codici; si fondarono biblioteche e accademie: furono aperte nuove scuole, diventarono più illustri e più frequentate le antiche. A misura che i Musulmani occuparono le città dell' imperio greco, sopra tutto poi allorchè Maometto II s' impadroni di Costantinopoli, molti dotti, ai quali parve men duro l'esiglio che l'aspetto e il dominio di quei vincitori, portarono in Italia un gran numero

di manoscritti, e vi diffusero lo studio della lingua greca, la quale in breve diventò quasi comune fra noi. L'uso della stampa, trovata in Germania e venuta assai presto in Italia, moltiplicò poi i libri, e ne diminuì incredibilmente il prezzo, sicchè andarono fra le mani di molti, agevolando l'acquisto delle cognizioni e diffondendo nell' universale della nazione la cultura letteraria propriamente detta. In questo secolo insomma cessarono parecchie di quelle cause che nei precedenti avevano impediti o difficoltati gli studi, e molte ne concorsero che poterono agevolarli, non più ad alcuni pochi, ma a tutti.

SCRITTORI DEL SECOLO XV.

Dopo quanto si è detto, può recar maraviglia che questo secolo abbia somministrato sì scarsa materia al presente Manuale. Ma i letterati di quella età si volsero a dissepellire e pubblicare le antiche ricchezze letterarie, piuttostochè a crearne di nuove; oltrecchè essendo vinto dall' ammirazione il giudizio, avvenne che molti scrivessero in latino, disprezzando come inetta alle scienze ed alle gravi materie della storia e della politica, o mal capace di gentilezza, la così detta lingua volgare. Opinione poco men che incredibile, quando si consideri che potevan vedere come con quella lingua Dino Compagni e i Villani avessero già raccontata la storia del loro tempo, e l' Allighieri avesse potuto descriver fondo a tutto l'universo ed esprimere quanto allora sapevasi di filosofia. Vedevano inoltre con quanta dolcezza e armonia il Petrarca aveva cantato d'amore; come Bartolomeo da San Concordio aveva, per così dire, scolpite le più belle sentenze dei filosofi antichi; il Boccaccio così vivamente rappresentato i costumi, le passioni, i vizi del secolo; il Cavalca e molti altri descritto con efficacissima semplicità le opinioni religiose che ancor duravano al loro tempo, e il fervore e le penitenze dei primi cristiani. E nonpertanto quella erronea opinione prevalse: e di qui nasce che, mentre nella storia della nostra letteratura il secolo XV ha una grande importanza, e molti 'uomini di quel tempo hanno avuta una somma efficacia sulla cultura letteraria universale, le lettere italiane, non poterono allora rallegrarsi di molti nobili frutti,

perchè la nostra lingua, coltivata da pochi, e lasciata all' arbitrio del popolo, decadde anzichè avanzarsi per quasi tutto quel secolo.

LEON BATTISTA ALBERTI.

Nei primi anni del secolo XV, forse nel 1404, nacque Leon Battista Alberti in Venezia da genitori fiorentini che le civili fazioni avevan costretti a emigrare. Mandato dal padre a Bologna si diede allo studio con tal fervore che venne in pericolo fin della vita; e nell'età di venti anni potè dare tal saggio del suo ingegno e della sua cultura da essere non lodato soltanto ma ammirato dai dotti. Secondo l'usanza del secolo, quel primo frutto de' suoi studi ebbe un titolo greco e fu composto in latino; ed è un dramma o scherzo comico intitolato Filodossio o l'amator della gloria, dove si crede che rappresentasse sè stesso. Del resto l' Alberti abbracciando col suo ingegno veramente straordinario le arti belle e le lettere, fu pittore, scultore e architetto, fu poeta e prosatore latino e italiano, scrisse in tutte due queste lingue trattati di belle arti e libri di filosofia morale; meritò di sentirsi chiamare dai contemporanei Vitruvio moderno, e di essere annoverato anche oggidì fra gli scrittori di prosa italiana, più degni che la gioventù si proponga di voler imitare. Perciocchè a Leon Battista Alberti appartiene il trattato Del governo della famiglia attribuito finora ad Agnolo Pandolfini; il quale trattato non è solamente stimato la più bella prosa di quel secolo, ma uno dei pochissimi libri dove la materia e la forma siano quanto mai possa desiderarsi convenienti fra loro, utili ed esemplari. Il dottore Anicio Bonucci al quale dobbiamo la prima edizione compiuta delle Opere volgari dell' Alberti (Firenze, Tipografia Galileiana 1843-49) trovò che il Governo della famiglia costituisce il terzo libro di un' opera intitolata Della famiglia, composta dall' Alberti; il quale ricopiò ben due volte quel libro, la prima per farne dono alla famiglia Pazzi, la seconda per la famiglia Pandolfini, variando i nomi degl' interlocutori per pigliarli dalla famiglia alla quale indirizzava il suo libro, ed anche introducendo qua e là qualche nuovo pensiero o mutando alcune frasi, come esigevano le mutate persone,

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