che il marito tuo. E sappi, moglie mia, che quella che cerca più piacere a quelli di fuori che a cui1 ella debba in casa, costei dimostra meno amare il marito che gli altri. LUIGI PULCI Tra i poeti che nel secolo XV contribuirono a tener viva e onorata la lingua italiana generalmente negletta dai dotti, viene primo di tutti Giusto de' Conti romano, autore di un volume di versi amorosi denominato La bella mano per le molte lodi che va di continuo impartendo alla mano della sua donna. In tutto il volume si scorge uno studio costante e, per vero dire, molto felice di somigliare al Petrarca; il quale dicono che vivesse ancora quando il Conti era già nato. Nessuno potrebbe ragionevolmente negare che La bella mano non sia scritta con somma purità di lingua e squisitezza di modi: però gli Accademici della Crusca ne han tratto. voci e locuzioni che registrarono nel loro Dizionario: ma non per questo si troverebbe oggidì chi annoverasse il Conti fra i più chiari poeti lirici come qualcuno già fece; quando il suo pregio, è tutto nella lingua; e questa può dirsi una ripetizione continua di voci e frasi e fin anche di mezzi versi tolti al Petrarca. Miglior poeta e autore di un' opera che lo studioso della letteratura italiana deve conoscere, e della quale può giovarsi assai anche oggidì chi aspira a farsi scrittore, fu Luigi Pulci fiorentino nato nel dicembre del 1431 e morto nel 1486 o in quel torno. La sua vita non ha cosa alcuna che possa dirsi notabile nella storia politica bensì nella storia letteraria egli occupa un posto di gran momento, perchè prima d'ogni altro condusse, con grande felicità una lunga e molto complicata serie di avvenimenti a formare un poema, di quel genere di epopea nella quale si resero celebri dopo di lui il Berni e l'Ariosto. Frequentò la casa de' Medici, ai quali divenne carissimo: anzi accenna egli stesso che la madre di Lorenzo il Magnifico (Lucrezia Tornabuoni donna assai colta, e poetessa) lo eccitò a scrivere sulle imprese di Carlo Magno; ciò ch' egli fece pigliando in qualche modo il subietto dalla cronaca di Turpino pubblicatasi 1 A cui. A chi, a colui al quale ec. allora. Dicono che s'aiutò eziandio della erudizione dei consigli del Poliziano: ma seguitò sopratutto la sua fantasia, e compose un poema di ventotto canti in ottava rima; al quale pose nome Morgante. Il poema è tutto composto di avventure stranissime: e sono principalmente avventure occorse ad Orlando mentre, sdegnato con Carlo Magno che si lasciava aggirare da Gano di Maganza, andò errando lontano dalla sua corte, da cui come Paladino non gli era lecito dipartirsi. Nel bel principio del viaggio arriva ad una badia, alla quale dan guerra tre smisurati giganti: s'affronta con due, e gli uccide; poi converte al cristianesimo il terzo, chiamato Morgante, e prosegue con lui il suo viaggio. Da questo gigante il Pulci diede il nome di Morgante Maggiore, al poema, benchè non ne sia il principal personaggio. Ne può dirsi, rigorosamente parlando, che il suo poema abbia un protagonista; giacchè l'attenzione di chi legge si trova per necessità divisa tra Orlando, Rinaldo, Carlo Magno, ed anche alcuni altri, che variamente concorrono a questa serie sì numerosa e sì strana di avvenimenti. Carlo Magno, dolente della partenza d' Orlando ha spedito un messaggio a cercarne; e quando questo messaggio ritorna annunziando che il paladino è vivo e sano, Rinaldo, Ulivieri, Dodone ed altri si mettono in via per ritrovarlo. Ciascuno di costoro incontra o va in cerca di speciali avventure, delle quali l'autore ha riempiute in ventotto canti circa quattro mila ottave. I personaggi del poema passano dalla Persia alla Francia, da Babilonia a Parigi con tanta celerità, che sarebbe prodigiosa anche a noi che abbiamo la navigazione a vapore e le strade di ferro. Meridiana, principessa saracina, innamorasi d'Ulivieri ed è da lui convertita. Rinaldo toglie il trono a Carlo Magno, e di poi glielo rende avendogli riverenza per la vecchiaia, e increscendogli che sia rimbambito e non conosca la malizia di Gano. Orlando è incarcerato dall'amostante di Persia, poi liberato diventa sultano di Babilonia; ma abbandona quella signoria per ritornare in Francia, dove combatte per Gano suo persecutore. Morgante s'imbatte a caso in un mezzo gigante chiamato Margutte, e lo mena seco mentre va in cerca di Orlando; ma poco durano insieme per questo caso singolarissimo: che Margutte dopo aver troppo mangiato e bevuto s'addormenta lungo la via presso una fonte: Morgante gli trae gli stivaletti e li appiatta alquanto discosto per averne piacere quando si desterà: ma intanto una bertuccia se n'è impadronita, e per suo spasso se li mette, se li cava e se li rimette; e tanto continua in quel gioco, che Margutte si desta; e a quella vista è preso da un ridere sì violento, che finalmente ne scoppia. Nè meno strana è la fine di Morgante, che muore della morsicatura d' un granchiolino al tallone. La sola cosa che unisce in qualche modo queste tante e sì varie avventure è la malvagità di Gano, che mai non resta dal macchinar quanto può a danno di Francia e della sua Casa Reale. All' ultimo egli è mandato da Carlo al re Marsilio per trattar di pace; ma il traditore promette iniquamente al re di far sì che Orlando col fiore dei Paladini e dei guerrieri di Francia venga nelle angustie di Roncisvalle, dov' egli potrà facilmente averne vittoria. E così accade; e il famoso Orlando muore in quella sventurata battaglia. Dopo questo fatto non può più esser dubbia a Carlo la mala fede di Gano, che perciò è preso e finisce attanagliato. In mezzo a tante stranezze che non di rado ci stancano, trovansi alcune belle e ben condotte invenzioni, e l' opera costituisce un poema romanzesco notabilissimo non solo per essere stato il primo degno di questo nome in Italia, ma ben anche per una grande varietà di avventure e di soggetti, accompagnata da corrispondente varietà di stile; di che faran prova i saggi che se ne recheranno qui appresso. L'autore volge in ridicolo molte popolari credenze degne veramente d'esser derise; e in questo adempie assai bene uno dei fini speciali di quel genere di poesia: ma dalle ubbie del volgo passa talvolta alle cose più sante, e le avvolge in uno stesso dileggio, meritando così di essere disapprovato da chiunque sa che le lettere dovrebbero essere sempre stromento di educazione e di civiltà. Morgante e Margutte in un'osteria (Canto XVIII, st. 150;. Noi siamo usati di far buona cera: 1 Di far ec. Di mangiar lautamente. AMBROSOLI. -1. 23 Non vedi tu costui, com' egli è grande ? Rispose l'oste: Mangi delle ghiande: Che vuoi tu ch' io provegga or ch' egli è sera? E che tu intenda 2 a un fischiar di zufolo, Margutte spicca di sala una stanga; L'oste borbotta, e Margutte ha risposto: E' lo sparò nel corpo solamente." Del bufolo, e tre staia di pan o piue, 1 Pillola di pera. Forse: Cibo da nulla, come il seme d'una pera. 2 Intenda il nostro desiderio, e obedisca. 3 Vai cercando che il battaglio ec. - Il pro Lo sparò ec. Gli fesse soltanto il ventre, senza scorticarlo. verbio parer la granata (comunem. scopa) di casa, significa Esserne pratichissimo. 5 Apparecchiolla. La dispose e la forni dell'occorrente per mensa all'aperto. O s'altra cosa tu ci hai da vantaggio.1 Un canestretto di mele arrecòe 2 D'un quarto o manco, e non era anche pieno. Margutte, e spezza e sconficca ogni cassa, Ed a servire attendon tutti quanti; 1 Da vantaggio. Di più, oltre a quallo che ha già dato. 2 Quarto. Di staio. 3 Aspetta un poco (miccino), tanto ch'io ec. Che non ec. Come. a dire: Se vuoi evitare di essere bastonato. 5 A josa. In copia, abbondantemente. 6 A macco. A piena gola, in gran quantità. |