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Par divenuto di pietà 1 simile.
Vedeste voi nostra donna gentile

2

Bagnata il viso di pianto d'amore? 2
Ditelmi, donne; chè mel dice il core,
Perch' io vi veggio andar senz' atto vile.3
E se venite da tanta pietate,

Piacciavi di ristar qui meco alquanto,

E checchè sia di lei, nol mi celate.

Ch'io veggio gli occhi vostri c'hanno pianto,
E veggiovi venir si sfigurate,

Che 'l cor mi trema di vederne tanto.

1

CANZONI.

Amor, che nella mente mi ragiona
Della mia donna disïosamente,
Muove cose di lei meco sovente,
Che lo 'ntelletto sovr' esse disvia:
Lo suo parlar sì dolcemente suona,
Che l'anima ch' ascolta e che lo sente,
Dice: Oimè lassa, ch' io non son possente
Di dir quel ch' odo della donna mia !
E certo e' mi convien lasciare in pria,
S'io vo' contar di quel ch' odo di lei,
Ciò che lo mio intelletto non comprende;
E di quel che s'intende

6

Gran parte, perchè dirlo non saprei:
Però se le mie rime avran difetto,
Ch' entreran nella loda di costei,
Di ciò si biasmi il debile intelletto,
E' parlar nostro, che non ha valore
Di ritrar tutto ciò che dice Amore.

Non vede il Sol che tutto il mondo gira,

1 Di pietà. Altri legge: di pietra.

8

2 Bagnata ec. Altri: Bagnar nel viso suo di pianto amore.

3 Senz'atto vile; cioè: piene di nobiltà e gentilezza come dev'essere chi viene da Beatrice.

4 Muove cose ec. Si noti che in questa canzone la bellissima donna è simbolo della Filosofia; perciò Dante stesso commenta così queste parole: I miei pensieri, di costei ragionando, molte fiate voleano cose conchiudere di lei, che io non le potea intendere, e smarrivami, sicchè quasi parea di fuori alienato. »>

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5 Ascolta, quanto alle parole; sente, quanto alla dolcezza del suono. 6 Gran parte, sottint. ripetuto, mi convien lasciare.

7 Ritrar. Riferire, esprimere.

8 Tutto 'l mondo gira. Secondo la dottrina astronomica di quel tempo.

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E quella gente che qui s' innamora,
Ne' lor pensieri la trovano ancora,

Quando Amor fa sentir della sua pace;

2

Suo esser tanto a quel che gliel diè piace,
Che sempre infonde in lei la sua vertute
Oltre al dimando di nostra natura.

La sua anima pura,

Che riceve da lui tanta salute,

Lo manifesta in quel ch' ella conduce; 3
Chè in sue bellezze son cose vedute,
Che gli occhi di coloro ove ella luce
Ne mandan messi al cor pien di desiri,
Che prendono aere, e diventan sospiri.
In lei discende la virtù divina,

Siccome face in angelo che 'l vede: 5

6

E qual donna gentil questo non crede,
Vada con lei, e miri gli atti sui.
Quivi dov' ella parla, si dichina
Un angelo dal ciel, che reca fede,
Come l'alto valor ch' ella possiede
È oltre a quel che si conviene

nui.7

Gli atti soavi ch'ella mostra altrui,

8

Vanno chiamando Amor ciascuno a prova
In quella voce che lo fa sentire.

Di costei si può dire :

Gentile è in donna ciò che in lei si trova;

E bello è tanto, quanto lei simiglia:

1 Ogni intelletto ec. Le intelligenze celesti la mirano, e le persone gentili e bramose di perfezione non desiderano altro che lei, e di lei (della Filosofia) si appagano. Il pl. in lor s'accorda col collettivo gente.

2 A quel che ec. A Dio. Oltre al dimando. Oltre a ciò che richiede

la nostra natura.

3 In quel ch'ella conduce. Nella sua persona, nel suo corpo.

Ne mandan messi ec. Personifica l'effetto che la sua donna produce

su chi la riguarda.

5 Siccome face, siccome fa o discende in Angelo che vede nel cielo lui stesso, cioè Dio, indicato per la virtù divina nel verso precedente.

6 Qual donna. Qualunque donna, se qualche donna gentile non crede ciò ch'io affermo.

7 A nui. A noi mortali; e perciò è valore divino.

8 Tutti i suoi atti a prova, a gara, invitano ad amarla in quel modo che costringe ad amare; irresistibilmente.

1

E puossi dire, che 'l suo aspetto giova
A consentir ciò che par meraviglia;
Onde la nostra fede è aiutata ;

Però fu tal da eterno ordinata.
Cose appariscon nello suo aspetto,
Che mostran de' piacer del paradiso;
Dico negli occhi e nel suo dolce riso,
Che le vi reca Amor come a suo loco:
Elle soverchian lo nostro intelletto,
Come raggi di sole un fragil viso: 2
E perch' io non le posso mirar fiso,
Mi convien contentar di dirne poco.
Sua beltà piove fiammelle di fuoco,
Animate d'un spirito gentile,

Ch'è creatore d' ogni pensier buono;
E rompe, come tuono,

Gl' innati vizi che fanno altrui vile.
Però qual donna 3 sente sua beltate
Biasmar, per non parer queta ed umile,
Miri costei, ch' esempio è d'umiltate.
Questa è colei ch' umilia ogni perverso:
Costei pensò chi mosse l'universo. “
Canzone, e' par, che tu parli contraro 5
Al dir d'una sorella che tu hai:
Chè questa donna che tanto umil fai,
Ella la chiama fiera e disdegnosa.

Dico, che il ciel sempre è lucente e chiaro,
E, quanto in sè, non si turba giammai;
Ma gli nostri occhi per cagioni assai
Chiaman la stella talor tenebrosa :

Così, quand' ella la chiama orgogliosa,

1 Giova a consentir ec. Vedendo questa donna di maravigliosa perfezione, siamo condotti a credere anche le altre maraviglie che non vediamo; e così avviene ch'essa aiuti la nostra fede.

2 Fragil viso. Vista, occhio debole.

3 Qual donna ec. Qualunque donna sente biasimare la propria bellezza, perchè manca di compostezza e modestia.

4 Chi mosse ec. Dio. I poeti, che parlando di donne reali ripeterono questo concetto applicato dall' Allighieri ad un essere simbolico, non si avvidero di cadere in iperboli eccessive.

5 Contraro, dicevasi anche in prosa per Contrario.

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6 Quand' ella; l'altra canzone (o, come dice poi, ballatetta) poc' anzi accennata. Ecco il commento dell' Autore a tutto questo passo: Dico che siccome li nostri occhi chiamano, cioè giudicano, la stella talora altrimenti che sia la vera sua condizione, così quella ballatetta considerò questa donna

Non considera lei secondo il vero,
Ma pur secondo quel che a lei parea:
Chè l'anima temea,

E teme ancora sì che mi par fiero,

1

Quantunque io veggio dov' ella mi senta.
Cosi ti scusa, se ti fa mestiero;

E quando puoi, a lei ti rappresenta ;
E di' Madonna, s'ello v'è a grato, 2
Io parlerò di voi in ogni lato.

3

O Patria degna di trionfal fama,

De' magnanimi madre,

Più che in tua suora, in te dolor sormonta.
Qual è de' figli tuoi che in onor t'ama,*
Sentendo l'opre ladre

Che in te si fanno, con dolore ha onta.
Ahi! quanto in te la iniqua gente è pronta
A sempre congregarsi alla tua morte,

Con luci bieche e torte

Falso per vero al popol tuo mostrando.
Alza il cor de' sommersi: il sangue accendi;
Sui traditori scendi

Nel tuo giudicio: sì che in te, laudando,
Si posi quella grazia che ti sgrida,
Nella quale ogni ben surge e s'annida.
Tu felice regnavi al tempo bello,
Quando le tue rede

Voller che le virtù fossin colonne.
Madre di loda e di salute ostello,

Con pura, unita fede

Eri beata, e colle sette donne."

secondo l'apparenza, discordante dal vero per infermità dell' anima, che di troppo disio era passionata.

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1 Quantunque. Quanto mai, Tutto quello che ec.

2 Sello v'è a grato. Se vi è grato o a grado; se vi piace.
30 Patria. Questa canzone è diretta a Firenze.

La Suora menzionata subito dopo è Roma: Tu sei più decaduta e più infelice di Roma. ↳ In onor l'ama. Bel modo per dire Ama di vederti onorata.

è de' figli tuoi, vale Qualunque tuo figlio.

5 Si che ec. Sicchè la grazia celeste, si posi in te.

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Qual

6 Quando ec. Quando i tuoi figli vollero che le virtù fossero (fossin) colonne al tuo edifizio; vollero che quanto facevi avesse per fondamento la virtù. Reda plur. Rede dissero gli antichi per Erede, figliuolo; qui s' intendono i cittadini.

-

7 Colle selle donne. Colle sette Virtù Teologali e Cardinali.

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E a que' che t'aman più, più fai mal piglio.
Dirada in te le maligne radici,

De' figli non pietosa *

Che hanno fatto il tuo fior sudicio e vano,

5

E vogli le virtù sien vincitrici :

Si che la Fe nascosa

Resurga con Giustizia a spada in mano.
Segui le luci di Giustiniano,"

E le focose tue mal giuste leggi

Con discrezion correggi

Si che le laudi 'l mondo e 'l divin regno.
Poi delle tue ricchezze onora e fregia

Qual figliuol te più pregia,

8

Non recando ai tuo' ben chi non n'è degno;

Si che Prudenza ed ogni sua sorella

Abbi tu teco; e tu lor non rubella.9

Serena e glorïosa in su la ruota

D'ogni beata essenza

(Se questo fai) regnerai onorata.

E 'l nome eccelso tuo, che mal si nota,1o

1 Ignuda di tai gonne; cioè: Non più rivestita di quelle antiche virtù. 2 I leai Fabrizi; cioè: I cittadini leali come gli antichi Fabrizi. 3 A Marte. Firenze anticamente era dedicata a Marte. Antenora è il luogo d'Inferno, dove Dante finge che siano puniti i traditori della patria. Il giglio era l'arma di Firenze. Vuol dunque dire che la fazione allora predominante in Firenze puniva gli amici veri della patria, perchè non ne seguivano lo stendardo caduto in mani di usurpatori.

Non pictosa. Non avendo pietà de' figli che ec.; cioè Castigando severamente quelli tra' tuoi figliuoli che ec.

5 E vogli. E deliberati a volere che le virtù ec.

6 Le luci ec. Le leggi dell' imperatore Giustiniano; perchè le leggi veramente illuminano le nazioni.

7 Focose. Le leggi municipali fatte nell' impeto delle fazioni, e quasi sempre per vendetta piuttosto che per amore della giustizia.

8 Non recando ec. Non sollevando alle tue magistrature, a' tuoi onori chi n'è indeguo.

9 Si che sia con te, e da te onorata la Prudenza e ogni altra virtù. 10 Mal si nota. Il nome significherà allora una città fiorente, ma adesso suona tutt'altro.

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