Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Pulci; respingere le fantasie dalla natura, novamente rivelatasi, alla visione, le menti dalla libertà e dagli strumenti suoi, novamente conquistati, alla scolastica: fu concetto, quanto superbo, altrettanto importuno e vano. Il Rinascimento sfolgorava da tutte le parti; da tutti i marmi scolpiti, da tutte le tele dipinte, da tutti i libri stampati in Firenze e in Italia, irrompeva la ribellione della carne contro lo spirito, della ragione contro il misticismo; ed egli, povero frate, rizzando suoi roghi innocenti contro l'arte e la natura, parodiava gli argomenti di discussione di Roma; egli ribelle, egli scomunicato, egli in nome del principio d'autorità destinato a ben altri roghi. E non sentiva che la riforma d'Italia era il rinascimento pagano, che la riforma puramente religiosa era riservata ad altri popoli più sinceramente cristiani; e tra le ridde de' suoi piagnoni non vedeva, povero frate, in qualche canto della piazza sorridere pietosamente il pallido viso di Nicolò Machiavelli!

DISCORSO QUINTO

Del cinquecento: l'unità classica, l'idealismo

e lo scadimento.

I.

L'ultimo canto dell'Orlando innamorato, breve oltre il consueto degli altri, termina così:

Mentre ch'io canto, oh Dio redentore!,
Vedo la Italia tutta a fiamma a foco
Per questi Galli che con gran furore
Vengon per disertar non so che loco:
Però vi lascio in questo vano amore
Di Fiordespina ardente a poco a poco.
Un'altra fiata, se mi fia concesso,
Racconterovvi il tutto per espresso.

Il poeta non raccontò altro, perchè morì poco dopo levata la mano da questi versi, morì in quel funesto 1494 venuto a chiudere i quaranta anni di pace e prosperità dell'Italia equilibrata nella federazione.

Ed è pietoso, e parrebbe fatale, a considerare come quasi tutti gli scrittori che meglio ritrassero e resero gli spiriti e gl' intendimenti di quella prima età del Rinascimento si spegnessero immaturi o poco prima di quell'anno o in quell'anno. Lorenzo de' Medici era

morto nel 92, nel 94 morirono Pico della Mirandola e Angelo Poliziano. E la morte per il Poliziano venne a tempo: così non fu egli riserbato a contemplare la ruina sì vasta, e pur mossa da sì picciolo impulso, dell'edifizio con tanto faticosa industria innalzato dal suo magnifico protettore. Anche un mese; ed Angelo Poliziano avrebbe veduto chiuse in faccia al suo maggiore allievo le porte di quel palagio ove Lorenzo reduce da Napoli nel 78 era stato accolto con lacrime e plauso; avrebbe veduto alle eccitazioni dell'altro muta o minacciosa o irridente quella plebe che in tanto sangue avea già vendicato la morte di Giuliano e circondato di sì selvaggio amore il fratello superstite; avrebbe veduto l'oltracotante Piero e Giovanni cardinale e il minor Giuliano affrettarsi sparpagliati, travestiti, tremanti, inconsapevoli l'uno della salvezza dell'altro, per la via dell'esiglio, debito certamente ai tiranni ma pietoso e amaro pur sempre quando i tiranni sono ancor cittadini. Anche un mese; ed Angelo Poliziano avrebbe veduto il piccolo e deforme Carlo di Francia entrare con la lancia alla coscia nella città che avea ributtato la imperial superbia di due Enrichi, e correre tutta l'Italia senz'altro travaglio che d'un po' di gesso per segnare li alberghi alle sue milizie, ai barbari, ai Galli; avrebbe veduta dispersa a furia di popolo la libreria di San Marco, calpesti e stracciati quei codici con tanto oro ed amore raccolti da Cosimo da Piero da Lorenzo; messe a ruba le magnificenze del palazzo di via Larga, quel che avanzò alla cupidigia francese abbandonato alla plebe, stupefacendosi il soldato del re di Francia, come già i selvaggi d'Alarico, su la ricchezza e il lavorio dei vasi e degli utensili e degli ornamenti della casa d'un cittadin fiorentino.

E dopo ciò, che rimbombo di guerre, che correre e ricorrere di stranieri d'ogni generazione per questo giardino del Rinascimento; che desolazioni, che abominazioni, che ire di uomini e di natura; quanto sangue e quanto fango in questo tempio rialzato alle Muse e alle Grazie dai nipoti di Dante e di Arnolfo! Muori, muori, o poeta, e discendi nell'umile tomba di San Marco. Non più nella villa di Carreggi i simposii dell'Academia intorno al busto inghirlandato del vecchio Platone: non più per le notti di carnevale nelle vie splendide e rumorose i carri i trionfi e le mascherate, ove venivano in gara di magnificenza le arti del disegno e quelle della parola: non più nelle sale architettate da Michelozzo le letture dell' Iliade e del Morgante: non più a' rosei tramonti di maggio le danze delle donne gentili su la piazza di Santa Trinita: non più per le limpide sere i rispetti scintillanti di sensualità e d'arguzia spicciolati all'improvviso nelle brigate popolane. Anche la poesia popolare, che fuggì sì vezzosa dalle chiese dell' austero duegento e s'avvezzò sì vispa e maligna alla scuola del Boccaccio del Sacchetti e di Lorenzo, anch'essa nelle paure della morte s'è fatta pinzochera: pare che anche a lei, come per ordine di fra' Girolamo al cadavere del Poliziano, abbiano vestito l'abito di San Domenico. La canzone di maggio e il trionfo di Bacco e d'Arianna sono obliati: obliati no, abominati come anatema. Oh, se al poeta che dorme l'immobil sonno in San Marco fosse dato sentire, lo scuoterebbe a sussulto un suono cupo lento sinistro, il canto oscuramente e minacciosamente allegorico della democrazia monastica:

Al vaglio al vaglio al vaglio

Calate tutti quanti ;

E con amari pianti

Vedrete in questo vaglio

Sdegno confusion noia e travaglio.
Noi siam tutti maestri di vagliare
E macinar la gente:

Se c'è niun discredente,
Vengasi a cimentare;

E farengli provare

Come si tratta chi entra nel vaglio.
Non ci mandate segala nè vena:

Qui entran biade grosse.....

Chi entra in questo vaglio e chi se n'esce,
Chi piange e chi sospira;

E'l vaglio sempre gira,

E la forza gli cresce....

Pare la canzone del fato sopra le città italiane del cinquecento. E non basta. Se al poeta fosse dato vedere, egli quella popolar poesia, che tanto gli fu gradita, la vedrebbe ricaduta negli accessi della torbida frenesia del beato da Todi saltellare in un ballo tondo di frati e di donne, di cittadini e di monache, intorno al rogo del santo carnesciale, ove i fanciulli del frate gittano a piene mani e accatastan l'anatema; l'anatema, cioè i libri del Petrarca e del Boccaccio, i tuoi libri, o Poliziano, e quelli di Luigi Pulci e del Medici, con i disegni di nudo di Bartolommeo della Porta e del Credi. E dopo ciò; da poi che il fanatismo religioso, così pronto a distruggere, radamente ricrei e solo ove la materia è affatto rozza; e dopo ciò apri pur la tua tomba, o poeta, e raccoglivi dentro la poesia popolare d'Italia: il frate dell' amore e della vita, Francesco d'Assisi, ne guidò i primi passi: il frate del terrore e della morte, Girolamo Savonarola, l'accompagna alla sepoltura: dalla quale ella non risorgerà più ormai, se non come spettro, ad annunziare la fine dell'Italia grande, dell'Italia del popolo. Ed ecco, nel

« ÖncekiDevam »