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E se di tal matèra vuoi dir piue,

Rispondi, Dante, ch'io t'avrò a mattare;

Ch'io sono il pungiglione e tu se'il bue. 1

Dispiace forse al lettore di vedere il gran padre Alighieri in queste proporzioni d'uomo del tempo suo, in queste poco liriche attinenze con gli uomini del tempo suo? A me no, e credo che, se, dati giù gli entusiasmi officiali e dismesso il vezzo di crearci a nostra posta un cotal Dante che reputiamo il solo vero e il solo grande, cercheremo quanto è da noi di ricollocare nella propria luce dell'età sua questo grande portato del secolo decimoterzo, la critica la storia e la persona stessa di Dante ci guadagnerà un tanto. Così a me pare che della scuola di transizione risentano le prime dieci poesie della Vita Nuova, ed altre poche delle quali mal potrebbesi appropriare il tempo e ci contenteremo alla probabilità che le sieno assai giovanili. E qui pure giova intenderci: non nego che in quelle rime trasparisce a volte il poeta, ma tale che non ha ancora un'idea chiara dell'arte, che non ha eletto la sua via. Egli ondeggia tra le rimembranze cavalleresche e la maniera imaginosa, ma un po' ruvida e senza grande effetto, dei sonetti del Cavalcanti; anche, dissimula l'esiguità del concetto col cerimoniale della forma, col linguaggio consuetudinario delle corti e del codice d'amore, co' fioretti dello stile ch'era allora di moda; e tal fiata, come i principianti per darsi aria, ingrossa un po' la voce e carica il colorito. Per esempio, anche a cui creda che i grandi poeti possan fare a meno del buon gusto non parranno, spero, immagini vere nè belle queste:

1 Racc. di rime ant. tosc. Palermo, Assenzio, 1817, I 153.

Lo viso mostra lo colore del core
Che tramortendo ovunque può s'appoia,
E per l'ebrïetà del gran tremore
Le pietre par che gridin, moia moia.1

E, se io levo gli occhi per guardare,
Nel cor mi si comincia un terremoto
Che fa da' polsi l'anima partire. 2

Può darsi che ad alcuno piaccia:

... Io son d'ogni tormento ostello e chiave, 3

ma niuno, pur concedendo molto al tempo e alla gioventù del poeta, crederà belli e chiari questi due versi:

E di a colui ch'è d'ogni pietà chiave,
Avanti che sdonnei, 4

con i quali pregasi una ballata a farsi consigliatrice di certa cosa ad amore che disserra i cuori a pietà, prima che esso amore cessi di parlare con la donna diletta (sdonnei). È un largo giro di parole ambiziose per riuscire a dire ben poco anche questo:

Sol dimostrando che di me gli doglia

Per la pietà che 'l vostro gabbo uccide,
La qual si cria nella vista smorta

Degli occhi c'hanno di lor morte voglia. 5

Questi altri versi invece son chiari, ma presentano una esagerazione di frasario da Calloandro fedele:

Ed alla fine falle umil preghero,

Lo perdonare se le fosse a noia,
Che mi comandi per messo ch'i' moia,
E vedrassi ubbidir al ser vitore. 6

1 V. N. XV.

2 Ivi XVI. 3 Ivi VII. 4 Ivi XII. 5 Ivi XV.

6 Ivi XII.

Altre fredde esagerazioni del linguaggio tecnico e consuetudinario di amore, altre figure e colori e frasi di falsa retorica potrebbon recarsi in mezzo a provare l'influenza della scuola di Guittone nelle rime giovanili dell' Alighieri: influenza che ci è attestata anche da certe forme metriche, come il sonetto rinterzato che il poeta uscito di giovine non usò più mai, e dall'amore a certi giuochi di suoni e di parole.

Lo tuo fallir d'ogni torto tortoso 1

è verso che non invidia nulla a' più motteggiati del frate aretino: e questa labe de' giuochi di parola s'apprese a Dante pur troppo, e nel poema ve n'ha più che non vorrebbesi indizi: 2 ma non vi si bada, e ci sfoghiamo in vece ad appiccar tutta al Petrarca la colpa delle gelide arguzie.

Tuttavia, per quanto l'ingegno di Dante non si appalesasse di subito in quel chiaro lume onde poi doveva irraggiare l'Italia, gli uomini della vecchia scuola sentirono nel giovine diciottenne il rivale e il vincitore, nè mancarono di assalirlo con quell' arme di famiglia che i chiarissimi tengono in serbo contro i principianti formidabili, lo scherno misto di compassione spietata. Dante cominciò proponendo, come usavano i fedeli d'a

1 V. N. VIII. 2 Eccone i principali. Inf. 1 36, Ch' io fui per ritornar più volte volto. Inf. x 67 e segg.,... Infiammò contro me gli animi tutti, E gl'infiammati infiammar si Augusto Che i lieti onor tornaro in tristi lutti. L'animo mio per disdegnoso gusto Credendo col morir fuggir disdegno Ingiusto fece me contro me giusto. Inf. XVI 65,... assai te 'n priego, E ripriego che 'l priego vaglia mille. Purg. xx 1, Contra miglior voler voler mal pugna: Onde, contra 'l piacer mio, per piacerli, Trassi dell' acqua non sazia la spugna. Purg. xxvII 132, Fuor se' dell' erte vie, fuor se' dell'arte. Purg. xxx 136, Per grazia fa noi grazia che disvele A lui la bocca tua. Purg. xxxm 143, Rifatto si come piante novelle Rinnovellate di novella fronda. Par. ш 56,... perchè fûr negletti Li nostri vóti e vòti in alcun canto. Par. v 139, Nel modo che il seguente canto canta. Par. XXI 49,..... vedeva il tacer mio Nel veder di colui che tutto vede.

more, agli altri dicitori in rima una visione da interpetrare. Al sonetto di proposta, che è il primo della Vita Nuova, risposero gentilmente Guido Cavalcanti e più tardi Cino da Pistoia, i quali respiravano già l'aura de' tempi novi. Non così Dante da Maiano, continuatore della scuola provenzale e sicula. Cotesto conservatore del secolo decimoterzo degnossi, è vero, di chiamare amico meo il giovinetto, ma, compatendo all'inesperienza dell' età, aggiungeva di poco conoscente, e protestavasi, da uom d'alto affare e di prudenza consumata, responder brevemente, mostrando lo sentore del vero. Dubitava quindi se il giovine san si trovasse e fermo della mente o non più tosto gravato fosse d'infertà rea e farneticasse. E per ciò gli consigliava un metodo curativo: il quale, per quanto significato con termini troppo crudamente reali, anzi cinici, io vo' riferire; a mostrar come i conservatori d'ogni tempo, quando s'arrabattano contro la manifestazione di qual siasi progresso, son sempre gli stessi, insolenti, villani e svergognatamente triviali; essi che eleggonsi da per sè difensori e tutori, direi quasi bargelli, del buon gusto, del bello stile e anche del sentimento morale. Dante da Maiano adunque dava a Dante Alighieri questo consiglio:

Che lavi la tua coglia largamente,

Acciò che stingua e passi lo vapore

Lo qual ti fa farneticar loquendo. 1

1

Oggi l'invidia sarebbe meno ingenua, e meno schietta la rabbia: un po' di pietà insolente, un accenno ambidestro all'immoralità, o che so io, farebbe meglio all'uopo: È un buon ragazzo in fondo, e noi gli vogliam bene: peccato che vada col cervello a spasso, e in che modo

1 Sonetti e canz, di diversi ant. aut. tosc. (Giunti, 1527) lib. XI.

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e per che vie! Non fiatò per allora l'Alighieri; anzi, avendo il maianese indi a poco dato fuora una sua visione versificata, intorno alla quale domandava il parere de' saggi, gli rispose con mezzanissimo stile, ma cortese, se bene non senza qualche accenno ironico, parer mio. « O uom che pregio di saver portate, » ei gli diceva, voi savete bene giudicar da voi vostra ragione:

Perchè, VITANDO AVER CON VOI QUESTIONE,
Com'so rispondo alle parole ornate. 1

a

Ma fin d'allora io credo avesse l' Alighieri concepito in sua mente la splendida condanna, che poi doveva pronunziare nella Vita Nuova nel Vulgare Eloquio nella

1 Son. e canz. della citata ediz. giuntina, e Canzon. di D. A. pag. 270. Oso, contro l'avviso del Fraticelli, tener per autentico questo sonetto; non parendomi ragion bastevole a rigettare tra gli apocrifi certi componimenti il non essere essi bellissimi a paragone di altri od anche l'essere bruttetti anzi che no. Del mediocre ed eziandio dell'infimo ve n'è ne' canzonieri del Petrarca e del Tasso: fra le rime dell'Alfieri ve n'è d'assai brutte: anche i grandi ingegni in fine sono umani, e ciò è la loro gloria; sono umanissimi poi, pigliando certe occasioni a'loro sonetti, o proposte o risposte che sieno. Scrisse il Fraticelli: Pare impossibile che un sì laido e sconcio com⚫ponimento, così privo di sintassi e di senso, siasi potuto attribuire al grande Alighieri.» Laido e sconcio, perchè? Non v'è una parola che non sia della più pura lingua aulica, non una parola o una frase o una figura che non sia più che decente e scolasticamente rigida e austera. Qualche cosa, che non parrebbe decentissimo, o che almeno non è secondo quella rigida austerità a cui i critici consuetudinari vorrebbon composto sempre il viso dell'iroso ghibellino, del cantor della rettitudine, si legge nella famosa e bellissima canzone Tre donne:

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Canzone; a' panni tuoi non ponga uom mano

Per veder quel che bella donna chiude:

Bastin le parti nude:

Lo dolce pomo a tutta gente niega.

E cotesta canzone fu giudicata dal Fraticelli la migliore di quante fino ad oggi siano state dettate. Del resto ha gli stessi criteri e titoli d'autenticità che questo povero sonetto. Privo di sintassi e di senso! Di senso, veramente, no, chi lo raffronti alla proposta di cui è risposta, chi lo consideri come soluzione di una visione enigmatica, chi abbia un po' di pratica intelligente con

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