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a gittar fra le ciarpe certi giudizii assoluti, certe parziali estimazioni, certi concetti angusti e illiberali, o meglio certe frasi (chè della nostra critica di stato e di lettere gran parte si riduce a frasi) le quali, se a' loro be' giorni eran vistose, oggi sono sgualcite anzi che no. Di questi e di tanti altri, ch'io non vo' dir, mali, i soli studii bibliografici potrebbero fare accorti quelli che in Italia gridano tuttavia Dante, Dante!

Aspettando, io me ne servirò, per un mio concetto più lieve. « Un libro curioso e non ancora fatto sarebbe quello della varia fortuna di Dante » scriveva, or son parecchi anni, un critico erudito ed arguto 1. Un libro, mi perdoni il sig. Camerini, in tanta copia che abbiamo di libri, sarebbe troppo: uno studio mi sembra utile, e mi ci provo; tanto più volentieri quanto esso sig. Camerini mi leva la taccia di presunzione e di scortesia verso la memoria di un illustre straniero, scrivendo che la lezione del Fauriel, ove si toccano le vicende letterarie della Divina Commedia, 2 è un sunto al di sotto di quanto se ne trova in qualsivoglia manuale di letteratura italiana. Nè quello che di sì fatto argomento toccò il Balbo 3 è più che una particella dell'opera sua condotta con altri intendimenti che puramente letterarii. E i saggi ingegnosi del Labitte e del sig. Taillandier nella Rivista de due mondi riguardano specialmente gli studii contemporanei. Ai quali forse verrò anch'io, se basti ai lettori la pazienza, dopo mostrato il vario concetto in che si ebbe Dante prima del secolo decimonono.

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1 E. CAMERINI, nel Crepuscolo del 25 febbraio 1855. 2 Dante et les origines de la langue et de la littérature italiennes. Paris, Durand, 1854, in-8.0 I, Première leçon. 3 Vita di Dante, II XVII. 4 CH. LABITTE, Biographes et traducteurs de Dante; Revue des Deux Mondes, 1er octobre 1841. SAINT-RENÉ TAILLANDIER, La littérature dantesque en Europe; Revue des Deux Mondes, 1er décembre 1856,

DELLA VARIA FORTUNA DI DANTE

DISCORSO PRIMO.

Gli ultimi anni di Dante. Gli amici e gli ammiratori di lui: i primi maledici e persecutori.

I.

Chi si faccia a discorrere le vicende della gloria di Dante, come anche in generale quelle della nostra letteratura, non dee, nè potrebbe senza danno, staccare dal secolo decimoquarto il quindicesimo. Innanzi al ritrovamento e alla diffusione della stampa, innanzi al predominio degli stranieri su l'Italia, innanzi alla riforma, corre un'epoca sola così per la storia della letteratura italiana come per quella seconda vita dell' Alighieri oltre la tomba tanto più efficace e gloriosa della prima. Ed è l'epoca nella quale la figura di Dante, pur circondata dell'aureola, serba tuttora i lineamenti naturali e la forma di viva: le circostanze e i dintorni le si attagliano meglio: e' ci par di vederla moversi a miglior agio quasi in casa sua e fra conoscenti. Quegli uomini erano stati parte del poema, avevan conosciuto il poeta ; amici o avversari, tutti avevano chinato il capo sopra pensiero quando per le città partite d'Italia sonò la novella: È morto Dante Alighieri. Vennero poi i

figliuoli e i nepoti che ne avevan sentito parlare dai vecchi come d'uomo del tempo loro. Dottrine e concetti di religione e di stato eran gli stessi; erano, più più o meno ferventi, le stesse contese; più o meno prevalenti, le stesse famiglie di signori e grandi; erano quelle stesse magistrature e leggi, quelle fogge e costumanze. E poi il vecchio codice membranaceo, con le sue miniature azzurre e ad oro, con la lettera grande del testo e la minuta della glossa latina, con le coperte di legno e i fermagli di metallo, o ch'io m'inganno, o che è più dantesco del libro impresso in Venezia e in Firenze. È una fantasia di bibliofilo, ridetene pure; ma confessatemi almeno che l'aura di quella poesia e la nota di quel verso dovè spirare e sonar più solenne dalla lettura pubblica con tutte le sue divisioni e suddivisioni fra i cittadini affollati nelle chiese erette da Arnolfo e dipinte da Giotto, che non dallo squisito e laborioso periodo del Varchi e del Gelli nelle eleganti sale dell'Academia fra i marchesi novelli titolati dal duca, e che non sotto le fiorettature del professore odierno nella concione con le imagini a effetto e l'allusione politica in fondo quasi punto interrogativo dei battimani. E il battimano, quando s'ha che fare con Dante, a dir vero, io l'ho a noia; anche ove séguiti a un eloquente eureka del professore sudante in traccia del veltro. E nè pure amo il fruscio delle belle vesti di seta, quando per avventura m'interrompono versi come questi:

Tant'è a Dio più cara e più diletta

La vedovella mia che molto amai,
Quanto in bene operare è più soletta 1,

con quel che séguita.

1 Purg. XXIII 91 e sgg.

Ma torniamo ai secoli decimoquarto e decimoquinto, a' tempi cioè della interpretazione scolastica e religiosa e della gloria popolare di Dante. Dal 1333 agli ultimi del quattrocento annovero cinquecentodieci codici conosciuti della Divina Commedia 1; e ve ne ha, pietoso a pensare, degli scritti da carcerati 2; ve ne ha di emanuensi tedeschi 3: fino un cuoco teutonico nelle ore di avanzo metteva insieme una copia pel suo padrone governatore in Arezzo ; « e si conta, narra il Borghini 5, d'uno che con cento Danti ch'egli scrisse maritò non so quante sue figliole; e di questo se ne trova ancora qualcuno, che si chiamano di quei del cento, e sono ragionevoli ». Da Iacopo della Lana al Landino e al Ficino i commentatori sono quarantadue, compresi quelli il cui lavoro resta inedito o andò perduto: di lettori pubblici dal Boccaccio pure al Landino ci avanzano diciotto nomi. In men di due secoli io conto quindici biografie 6. Le cifre, parmi, dicono assai: e non abbiamo ancora la bibliografia delle opere minori manoscritte. Presentiva egli tanta gloria il poeta, quando in purgatorio alla domanda dell'anima di Forese Quando fia ch'i' ti riveggia? — egli accorato dei dolori suoi e dell'Italia, Non so, rispondeva, non so

... quant'io mi viva:

Ma già non fia 'l tornar mio tanto tosto,

Ch'io non sia col voler prima alla riva 7?

2 Am

4 Cor

1 II WITTE, correggendo alcune inesattezze del Batines e aggiungendo que' codici di che egli aveva notizie, ne contava 498 (n. 1 alla pag. LXXI de' Prolegom. crit. alla D. C., Berlino, Decker, 1862, in-4.). I Cataloghi della esposizione del 1865 ne danno, se non erro, altri 11 ignoti al Witte e al Batines. brosiano, n.0 A, XL. BATINES, II 132. 3 BATINES, I 615: II 311 e 329. siniano romano 608. BATINES, II 187. 5 Nella Lettera intorno a' manoscritti antichi (Opuscoli ined. o rari. Firenze, Soc. poligraf., 1844, in-80, pag. 23). 6 Comprendendovi le inedite. Tuttavia, lontano dalle biblioteche fiorentine, non giurerei su la certezza del numero da me assegnato. 7 Purg. XXIV 76.

II.

Allorchè, levata a pena la mano dagli ultimi versi del Paradiso, l'anima dell' Alighieri, quasi non avesse più altro a fare col mondo, fu, secondo una gentile imaginazione de' suoi amici, raccolta in grembo di Beatrice 1; cotest' anima rade volte o non mai era stata consolata da quelle apparenze sensibili di gloria che pur lusingano anche i più gravi. A lui non donativi nè beneficii, ma gli misurarono il pane che sapeva di sale, e questo talor gli mancò: nè principi gli mossero in contro su le porte delle città nè popolani lo accolsero in camere messe a porpora e oro, ma in vece apparì vile agli occhi di molti: non lo visitarono i grandi diritti in piedi col capo scoperto e rispettosamente inchinati dinanzi a lui seduto, ma per diletto gli aizzarono a dosso i motteggi dei loro buffoni. Nè cavaliere nè dottore nè laureato, ma cittadino fuoruscito del comune di Firenze, l'Alighieri era per avventura come l'uom di consiglio, rare volte ascoltato, d'un partito a cui più sempre fallivano le speranze di riuscire; e dietro i capi di quel partito riparava a questa città o a quella corte. Celebrò, egli è vero, e troppo più altamente che la superbia sua non dovesse permettergli, tratto forse da una crudele necessità degli esuli, qualche signore che dava speranze alla parte; ma questi non parve attendergli più che tanto. Il priore repubblicano in corte non riusciva: troppo era se per un cotal rispetto pauroso del

1 CINO DA PISTOIA, Canz. in morte di Dante: dall'ediz. del Ciampi, Pistoia, Manfredini, 1826, 8.0, parte V, pag. 197. BOCCACCIO, Vita di Dante (Nelle Opere, ediz. Moutier, XV 36).

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