Sayfadaki görseller
PDF
ePub

frati l'ebbono molto a male, e feciono grandissimo consiglio, e fu commesso ne' più solenni maestri che studiasseno nel suo libro se vi trovasseno cosa da farlo ardere.... per eretico. Di che gli fecieno gran processo contro, ed accusaronlo allo 'nquisitore per eretico, che non credea in Dio nè osservava gli articoli della fe'. E' fu dinanzi al detto inquisitore; ed essendo passato vespero; di che Dante rispose e disse: Datemi termine fino a domattina, ed io vi darò per iscritto com'io credo Iddio; e, s'io erro, datemi la punizione ch'io merito. Di che lo 'nquisitore gliel diè per fino la mattina a terza. Di che Dante vegghiò tutta la notte, e rispose in quella medesima rima ch'è il libro.....; che tutto dichiara sì bene e sì chiaramente, che sì tosto come lo 'nquisitore gli ebbe letti con suo consiglio in presenzia di dodici maestri in tolosía, li quali non seppono che si dire nè allegare contro a lui,..... lo'nquisitore licenziò Dante, e si fe' beffe di detti frati; quali tutti si maravigliarono come in sì piccolo tempo avesse potuto fare una sì notabile cosa in rima ecc. » È una novella postuma: siamo d'accordo; ma senza fondamento di verosimile non si spaccian novelle. Del resto un certo rancore ne' monaci contro la memoria di Dante si palesa anche da questo. Matteo Ronto, olivetano, circa il 1380, nel monastero di Pistoia, volgeva in esametri latini la Divina Commedia; e della versione si conoscono più codici, in alcun de' quali è un carme elegiaco ove il da ben frate si duole che per merito del lavoro i suoi superiori l'abbiano umiliato

1

1 Pubbl. di su 'l cod. riccard. 1011 da L. RIGOLI nel Saggio di rime di diversi buoni autori che fiorirono dal XIV al XVIII sec., Firenze, Ronchi, 1825.

alla condizione di laico condannandolo ai servigi più vili del convento:

Pro meritis tanti talisque laboris amoeni

Haec tulit, ut fierem subligulatus ego :

Vasa lavanda sua mihi sordidus (?) uncta coquina
Praebuit, et manibus subdidit illa scopam. 1

Finalmente, v'è una canzone inedita di Pietro Alighieri, nella quale l'accusa di eresia data al padre è respinta dal figliuolo con tanta vivezza da farne credere che fosse anzi che no cosa seria. Si duole Pietro del picciol conto in che si avevano le composizioni di musica sacra del padre suo e ne riferisce la cagione all'esser egli tenuto per uomo nè religioso nè cattolico, e con tale un ardore che passa tutte le supposte eresie del padre finisce:

O signor giusto, facciamti preghiero
Che tanta iniquità deggia punire

Di que' che voglion dire

Che il mastro della fede fosse errante.
Se fosse spenta, rifariala Dante 2.

1 Catalogo PIATTI 1838, pagg. 199 e segg. -BATINES, I 237 e segg. 2 Questo frammento è riportato dal TRUCCHI, Poesie italiane inedite (Prato, Guasti, 1846) II 140. Ma io non so se s'abbia a intendere di composizioni musicali o non più tosto semplicemente delle opere poetiche di Dante.

DISCORSO SECONDO.

Gli editori e i primi commentatori della Divina Commedia.

I.

Gli ombrosi della gloria di Dante avevano bene di che quel nome, vincendo le basse nebbie delle passioni di mestiere o di parte, più sempre tirava a sè la meraviglia e l'amore delle generazioni novelle. Contrasto ci fu, lo vedemmo e lo vedremo: ma a un certo punto direste che l'Italia dimenticasse le sue divisioni e le sventure per sentirsi unita e gloriosa nell'idea del suo poeta. Cotesto poeta, che tanto le era stato severo, l'Italia fieramente lo amava; stringevasi a lui con l'affezione di una moglie fedele al marito acerbo e sdegnoso. Ancora ne eran calde le ceneri; e le edizioni le esposizioni i compendi del poema moltiplicavano, come d'opera antica. E di fatti per l'Alighieri l'Italia quasi lasciò un poco nell'oblio le vecchie memorie, o più tosto non dubitò di riporre questo recente immortale in luogo aperto luminoso e alto fra quelli spiriti magni in cui ella tanto esaltavasi: fece al poeta imperiale quello che già agl' imperatori; morto a pena, ne decretò l'apoteosi : tibi maturos largimur honores

Jurandasque tuum per numen ponimus aras,
Nil oriturum alias, nil ortum tale fatentes. 1

1 HORAT. Epist. II 1.

II.

Intorno al letto di morte del poeta fuoruscito erano i due suoi figliuoli superstiti, messer Piero, il primogenito, dottore e giudice, e il più giovine Iacopo 1, condannati anch'essi per ribelli nella terza sentenza del 1315 2; v'era la figliuola Beatrice, condannatasi da sè per la carità del padre ramingo a lasciare quel che han più caro le fanciulle, le consuetudini patrie e domestiche e l'aspetto materno. Oh non dubitate: ovunque la sventura sia alle prese con un uomo di gran cuore ed ingegno, ivi è pure una pia imagine di donna a confortarlo in questa nobile parte del genere umano Antigone non manca mai. La Beatrice consolò certo l'agonia del genitore col soave eloquio della patria, colla memoria d'un puro affetto giovanile vie più purificata in quel nome della figlia sua: la Beatrice nata della Gemma Donati scòrse la grande anima di Dante nel suo passaggio alla visione della Beatrice celeste. E poi la figliuola del poeta di Piccarda si rese a vita di spirito nel convento ravegnano di Santo Stefano dell' uliva. Che aveva ella a far più col mondo, dopo chiusi gli occhi e baciate l'ultima volta le fredde labbra del padre suo? come poteva accompagnarsi ad altr'uomo quella che elesse per sua parte l'esiglio e le miserie di Dante?

1 Per alcuni biografi e genealogisti un terzo figliuolo di Dante, Gabbriello, apparisce vivente nel 1351 dagli spogli del capitan della Rena. Non avvene altre memorie, e il sig. PASSERINI non ne fa menzione nel discorso Della famiglia di Dante e nell'albero genealogico che gli si accompagna (Dante e il suo secolo, Firenze, Cellini, 1865, pag. 53 e segg.). 2 Dantem Adegherii et filios. Vedi FRATICELLI, Storia della vita di Dante, n. 9 al cap. VII, Firenze, Barbera, 1861.

Tra chi aprì e chi chiuse il risorgimento italiano, tra Dante e Galileo, è ancora questa somiglianza: che la figliuola del primo e ambedue quelle del secondo preferirono d'un modo il padre alla madre, finirono d'un modo vergini sorelle: forse nelle figlie di siffatti uomini, più che ne' maschi, rinasce, per un mistero fisiologico, troppo del padre, sì che elle possano contentarsi del resto del mondo: per loro il padre diventa come un ideale, e vivono e muoiono per lui ed in lui. Men fortunata di suor Beatrice, perocchè per tali anime è una fortuna consolare altrui macerando sè stesse, suor Celeste Galilei premorì al gran genitore.

Ai figliuoli restava la cura dell'eredità paterna, non lieve, da poi che l'esule lasciava alla sua famiglia e all'Italia la Divina Commedia. Piero e Iacopo furono certamente i primi revisori del poema, quelli in somma che raccolsero di su i manoscritti del padre gli ultimi canti, che degli altri fermarono la lezione, raffrontando le correzioni e i mutamenti fatti in più tempi. Ce lo attesta il racconto del Boccaccio 1, pur lasciando da una parte quel che v'è di miracoloso, d'accordo con qualche accenno dei codici. E dalla leggenda del Boccaccio e da cotesti accenni si rileva che Iacopo, il più fervente nella devozione alla gloria del padre, fosse poi l'editore dell'intiero poema. Pietro per avventura, ritrovati e ordinati gli ultimi tredici canti che al Paradiso mancavano, lasciò provvedere al resto il fratello, differendo a tempi più riposati e a più maturi studi l'esposizione ch'ei pur voleva fare delle tre cantiche. E intanto dovè rendersi in Verona, soggiorno a lui pre

1 Vita di Dante: nel vol. XV, pag. 72, delle Opere di G. BOCCACCIO ediz. Moutier.

« ÖncekiDevam »