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lo scudiere, come quegli che di volta in volta porge a tutti le medesime armi, fosse monsignor Dionisi. Il Dionisi è senz'alcun dubbio degli uomini più benemeriti di questi studi danteschi, e fu nello scorcio del secolo passato lo instauratore d'una critica nuova su le opere del poeta, in somma tutt'altro che degno del ridicolo onde lo perséguitò il Foscolo. Ma il Dionisi era anche uomo da fieramente impuntarsi; e, prete e marchese, quando avea preso un dirizzone, non c'era verso di farlo svoltare. Ora il da ben canonico non pur venerava ma idolatrava Dante; nè sarebbe certo mancato per lui che il poeta non fosse canonizzato. Il dirizzone poi del veronese era che tutti vedessero con lui nel veltro e nel cinquecento e dieci e cinque non altri affatto che Can della Scala. E Pietro aveva per l'appunto il torto di non far mai motto dello Scaligero. O come poteva dunque cotesto commento apparire al Dionisi opera genuina d'un figliuolo di Dante? Di più, riconoscendo Pietro con tutti gli antichi commentatori simboleggiata nel mistico viaggio la condizione dell' uomo, come peccatore, come penitente, come libero e mondo, accenna segnatamente nell' Inferno e nel Purgatorio a' peccatucci del padre massime nel fatto delle donne, peccatucci del resto attestati dal Boccaccio e anzi tutto dalle rime e dalla vita di esso il poeta. Ma il Dionisi per idolatria di Dante non credeva pure alla personalità di Beatrice, ed era di quelli che scoprono tante belle cose sotto i veli della donna gentile e della pargoletta; e di ciò, come canonico, facea bene: gli basta dunque cotesto per gridare impossibile che Pietro fosse così snaturato ed empio figliuolo, e vai discorrendo. Nè meno è curioso l'altro appunto, al quale han dato peso soverchio anche gli scrittori fiorentini, esservi cagione di

dubitare se l'autore del commento in discorso sia pur toscano non che fiorentino, sì scarsa conoscenza egli mostra delle cose di quella provincia. Ma Pietro, venuto via di Firenze giovinetto, non vi tornò che forse una volta nel 1324 1 e per poco, e visse poi quasi sempre nel veneto: qual meraviglia che non apparisca più toscano, egli ormai cittadin veronese?

1

Del resto, queste notizie minute de' fatti e delle allusioni municipali non erano il caso suo: egli, dottore ne' due diritti ed uom dotto, si propose a dichiarare la parte allegorica e dottrinale dell'opera con le autorità de' classici latini, de' filosofi, de' santi padri: fatto cotesto per ogni canto, egli corre via o salta su 'l rimanente. E in questa parte il commentario di Pietro è de' più insigni del secolo decimoquarto: a vedere com'ei cita a proposito gli autori prediletti del padre suo e certi passi della Monarchia, mi vien quasi voglia di credere al Filelfo, che niuno possa acconciamente interpretare la Commedia di Dante, se non abbia veduto il volume di Pietro, il quale, come sempre era col padre, così meglio teneva la intenzione di lui 2. Alla conoscenza poi de' poeti latini, si mostra degno che il Petrarca gl'indirizzasse una delle sue epistole in versi, breve, ansiosa, misteriosa, come una speranza di esule 3. Ora, d'un sì fatto commento, scritto prima del 1340, confermato da un

1 Apparisce come testimone il 21 gennaio 1323 st. fior. nel protocollo d'un notaro fiorentino. Vedi i Documenti raccolti da G. GARGANI a illustrazione d'una relaz. Della Casa di Dante, Firenze, Success. Le Monnier, 1865, in-8.0, pag. 40. 2 G. M. FILELFO, Vita Dantis, Firenze, Magheri, 1828, in-8.0, pag. 67. 3 È la VII del 1. III nelle antiche stampe delle opere latine del PETRARCA, e leggesi nel vol. III, pag. 96, di FRANC. PETRARCAE Poemata minora quae extant omnia nunc primum ad trutinam revocata et recensita (a cura di Dom. Rossetti), Milano, Soc. tipogr. class. ital., MDCCCXXXIV, in-4.0 Questa corrispondenza fra il Petrarca e il figliuolo di Dante non è stata, ch'io sappia, avvertita finora.

marmo del secolo decimoquarto, da codici del secolo decimoquarto dato a Pietro di Dante, citato come di Pietro da biografi e commentatori del quattrocento, si vorrebbe e si crederebbe distruggere facilmente l'autenticità con gli argomenti del Dionisi? Oh via, è uno scetticismo troppo volgare e senza metodo.

VIII.

Questo parmi il punto d'avvertire che dei commenti i quali son venuto rammemorando fin qui io non ho preteso far una disamina critica. Non era questo il luogo, nè io ne ho per ora la facoltà: pure questi commenti, composti nel primo ventennio dalla morte dell'Alighieri 1 e prima delle letture officiali, una tal disamina, che li raffronti fra loro ed a' posteriori, la meritano e l'aspettano; ora che le agevolezze a farla, se non abbondano, non però mancano. A me, storico della varia fortuna di Dante, basta ricordare il numero e le qualità di questi primi divulgatori dell' Alighieri. Figliuoli, amici, avversari; guelfi e ghibellini; magistrati civili e religiosi; frati, preti, canonici; dottori di leggi, di teologia e d'arti, notari, popolani; da Bologna, da Firenze, da Pisa, da Ravenna, da Brescia, da Verona. Quanto commoversi di spiriti intorno alla memoria di questo esule che a' suoi giorni appari vile e s'intitolava l'umile italiano! E sono appena diciannov'anni da ch'egli è morto.

1 Non ho annoverato tra questi il commento perduto di Zanobi da Strada. È un errore del BATINES, II 296, ricopiato dal sig, FERRAZZI, Manuale dantesco, II 493, il porre la morte di cotesto grammatico e poeta al 1329. Nel 1329 Zanobi avea forse 19 anni, e morì nel 1364.

DISCORSO TERZO.

I poeti ammiratori e imitatori di Dante. Il Petrarca
e il Boccaccio.

I.

Ma la Commedia non diè soltanto materia al lavorío de' commentatori, di che pur si giovò la coltura generale e la dignità della nuova lingua s'accrebbe; sì fu anche esempio ed eccitamento agl' ingegni de' poeti. Qualcuno ha creduto, che in quella età fosse più fatta ragione al valore filosofico e teologico di Dante che non al poetico: il che forse è vero, ma solo in parte, dei dotti e latinanti. Certo è che da messer Cino, il quale pure in su l'atto di dolersene riconosce la Commedia per tale

Che mostra Dante signor d'ogni rima 1,

fino a Simone Forestani da Siena che in su la soglia del secolo seguente saluta

il sacro fiorentin poeta

Che nostra lingua ha fatto in ciel salire 2,

1 Rime di CINO DA PISTOIA, ediz. Ciampi, Pistoia, Manfredini, 1826, in-8.o, pag. 172. 2 Opus SIMONIS DE SENIS Super tres Comoedias Dantis. Leggesi in parecchi cod. della Comm., e fu prodotto dal Corbinelli (Parigi, 1577) e dal Torri (Livorno, 1850) in fine alle loro ediz. del Vulg. Eloq., e ultimamente da mons. Telesf. Bini in Rime e prose del buon secolo, Lucca, Giusti, 1852, in-4.0, dal sig. Narducci nel Giorn. arcad. luglio e agosto 1858, e da me in Rime di Cino e d'altri del sec. XIV, Firenze, Barbèra, 1862, in-16.0

nessuna età, salvo questa che noi viviamo, pareggiò il trecento nell' amore intellettivo di quella poesia che tutto lo illumina. A pena morto, egli era, lo dice Pietro suo figlio,

Egli era già nel mondo diventato

A guisa a quel che non si spegne mai 1.

Ciò che Virgilio a lui, egli fu a' rimatori che vennero dopo,

quella fonte

Che spande di parlar si largo fiume.

E tutti v'attingevano; Antonio da Ferrara e Fazio degli Uberti riprenditori di tiranni, Vannozzo da Padova e Saviozzo da Siena esortatori della tirannia unitaria, Antonio Pucci cantore di storie al popolo e rimatore allegro di allegre brigate, oltre che poeti d'amore o di moralità moltissimi e compositori di laude e di ballate: la Commedia era, come la figura il Boccaccio appropriandole una similitudine usata da Gregorio per la Santa Scrittura, « un fiume pieno e profondo, nel quale lo cammello puote andare e il leofante nuotare; cioè in esso si possono i ragazzi dilettare e i gran valentuomini esercitare ». Additar nelle rime del trecento le rimembranze dantesche sarebbe opera nè difficile nè utile; e di quelli che imitarono di proposito dal lato religioso o dal civile la visione parlerò a suo tempo. Giovi intanto notare che la terzina, trovata con tanta sapienza ed opportunità da Dante, divenne il metro consuetudinario del secolo decimoquarto e decimoquinto per gli argomenti alti e solenni o soltanto lunghi; tenne in somma il luogo che nel cinquecento e seicento l'ottava,

1 Nella canzone ined. citata più in dietro.

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