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Di fatti nelle nefandezze del secolo decimo, in quello sfracellarsi della monarchia e della società dei conquistatori nelle infinite unità feudali, in quell' abiettarsi ineffabile del ponteficato cristiano, in quelle scorrerie. procellose di barbari nuovi ed orribili, non era egli lecito riconoscere i segni descritti dal veggente di Patmo? E già voci correvano tra la gente di nascite mostruose, di grandi battaglie combattute nel cielo da guerrieri ignoti a cavalcione di draghi. Per ciò tutto niun secolo al mondo fu torpido, sciaurato, codardo, siccome il decimo. Che doveva importare della patria e della società umana ai morituri, aspettanti d'ora in ora la presenza di Cristo giudicatore? E poi, piuttosto che ricomperarsi una misera vita coll'argento rifrugato fra le ceneri della patria messa in fiamme dagli Ungari, come avean fatto i duecento sopravvissuti di Pavia, non era meglio dormire tutti insieme sepolti sotto la ruina delle Alpi e degli Appennini? Battezzarsi e prepararsi alla morte, era tutta la vita. Alcuni, a dir vero, moveansi; cercavano peregrini la valle di Josafat, per ivi aspettar più da presso il primo squillo della tromba suprema.

Fu cotesto l'ultimo grado della fievolezza e dell'avvilimento a cui le idee ascetiche e la violenza dei barbari avevano condotto l'Italia romana. E che stupore di gioia e che grido salì al cielo dalle turbe raccolte in gruppi silenziosi intorno a'manieri feudali, accosciate e singhiozzanti nelle chiese tenebrose e ne' chiostri, sparse con pallidi volti e sommessi mormorii per le piazze e alla campagna, quando il sole, eterno fonte di luce e di vita, si levò trionfale la mattina dell'anno mille! Folgoravano ancora sotto i suoi raggi le nevi delle Alpi; ancora tremolavano commosse le onde del

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Tirreno e dell'Adriatico; superbi correvano dalle rocce alpestri per le pingui pianure i fiumi patrii; si tingevan di rosa al raggio mattutino così i ruderi neri del Campidoglio e del fòro come le cupole azzurre delle basiliche di Maria. Il sole! Il sole! V'è dunque ancora una patria? v'è il mondo? E l'Italia distendeva le membra raggricciate dal gelo della notte e toglieasi d'intorno. al capo il velo dell' ascetismo per guardare all'oriente.

II.

Di fatti sin nei primi anni del secolo undecimo sentesi come un brulicare di vita ancor timida e occulta, che poi scoppierà in lampi e tuoni di pensieri e di opere: di qui veramente incomincia la storia del popolo italiano.

G'imperatori sassoni, intendendo a frenare l'anarchia ribelle dei grandi feudatarii, ne avevano spezzato i possedimenti, e, confinando essi nelle contee della campagna, avean trasmesso ai vescovi la signoria delle città. Vero è che la corruzione già grande della chiesa spirituale ne divenne maggiore; ma ne crebbe anche, anzi ne rinacque, la virtù dell'elemento romano; poichè i vescovi, o per essersi il clero mescolato ai nazionali conquistati e per essere in parte nazionale esso stesso, o per tener fronte ai feudatari della campagna, si aiutarono del popolo e soffiarono nelle ceneri ancor calde del municipio. Cresciuta intanto la corruzione ecclesiastica, i primi imperatori salici vollero aver la funesta gloria di purificare e riformare la chiesa. Ora la chiesa purificata, vale a dire, risanata e rinsanguata, con quel suo romano organamento rafforzatosi nei

secoli, era naturale che non volesse sopra di sè padroni. Non era ella successa nelle tradizioni unitarie all'antico impero, avendo suoi prefetti i vescovi per tutto l'occidente? non era ella che avea creato l'impero nuovo? Quindi la ruina della casa salica e dell'impero tedesco. Gregorio settimo, toscano e di popolo, apparisce nella istoria come un muro ciclopico delle città etrusche presso cui era nato: nell'urto contro lui, le labarde tedesche volano in ischegge; e come ai promontorii della sua nativa maremma l'onda del Mediterraneo, schiuma impotente a' suoi piedi la rabbia dell' imperator salico. Noi nè compiangeremo quell'imperatore nè oltraggeremo quel papa: lasciamo certi sfoghi all'arcadia ghibellina di coloro che odian Pietro per amore di Cesare, e ammiriamo il popolo; il popolo italiano che, in mezzo a quel fracasso di tutta Europa, fattosi avanti senza rumore, nelle città riprende ai vescovi diritti e regalie, nelle campagne batte i feudatari, e un bel giorno piantatosi in mezzo fra i due contendenti li squadra in aria di dire : Ci sono anch'io. I due contendenti allora si porsero in fretta la mano, perocchè intesero troppo bene che cosa quel terzo venuto volesse. E indi a pochi anni Arnaldo da Brescia lo gridò alto: - Nè papa nè imperatore. Risaliamo il Campidoglio, e ristoriam la repubblica. L'Italia s'era rilevata appoggiandosi d'una mano alla croce di Cristo, ma ben presto aveva disteso l'altra a ricercare tra le rovine di Roma i fasci consolari.

Il moto politico necessariamente commosse gl'ingegni e le facoltà artistiche, indirizzando queste nel campo della vita effettiva, quelli alla coltura specialmente civile. E già su l'aprire del secolo decimoprimo il tedesco Vippone proponeva ad Arrigo secondo l'esem

pio degl'italiani, che tutti facevano ai figliuoli sin dai primi anni imparare, non che lettere, la propria legge; e, su 'l fine del decimosecondo, Corrado abate uspergense gli ammirava « agguerriti, discreti, sobri, parchi nelle spese non necessarie, e soli fra tutt'i popoli che reggansi a leggi scritte: » stoffa repubblicana in somma d' uomini pratici, dalla quale non v'è speranza di tagliare trovatori e menestrelli e perdigiorni poetici. E le città, ferventi di popolo nuovo, s'arricchivano d'officine e si munivano di costruzioni da guerra contro gl' imperatori ed i nobili del contado; poi, vinti questi e costrettili a farsi cittadini, elle spingevano al cielo altrettante torri quante eran le case, arnesi di battaglia sociale, necessaria e feconda, fra due ordini della nazione; poi, impetrando da Dio la confermazione della libertà che si andava conquistando, gl' inalzavano tempii eguali nella grandezza all'animo d'un popolo che solo nel cielo poteva accettare un re. Su 'l finire del secolo decimosecondo fu anche in Italia un gran fabbricare di basiliche e domi: era un festeggiare il Risorgimento, un attestar la fidanza; « era, scrive con grottesca evidenza un cronista alemanno, come se il mondo, scossa da sè la vecchiezza, si rivestisse per tutto d'una candida veste di chiese. » Nè gli scrittori mancarono; latini, s'intende: incomincia allora ne'due primi campi d'azione della penisola, il settentrione e il mezzogiorno, la storia secolare, comunale o monarchica; e compariscono al fine gli storici cittadini. E rilevanti sono le attinenze tra gli scrittori latini di questi due secoli e gli scrittori volgari dei susseguenti, e notevolissima ed evidente l'aria di famiglia. I cronisti democratici milanesi arieggiano assai i guelfi Villani, come il monarchista siciliano Falcando può in qualche

parte esser paragonato al cittadino di parte bianca Compagni. Certamente Gherardo da Cremona, che per amore della scienza si esiglia e muore fra gli arabi di Spagna, è anticipata imagine degli eruditi del secolo decimoquinto. E gli Accursii e Cino da Pistoia e Bartolo non fanno che seguitare a svolgere l'opera d'Irnerio; e Tommaso d'Aquino riassume e compie Anselmo d'Aosta e Pietro Lombardo, i due institutori della scolastica nel secolo decimoprimo e decimosecondo, della scolastica che empie della sua prevalenza o della resistenza tutti i tre secoli della letteratura originale. In somma, uno è il fondo; la diversità è della lingua.

Ma con tutto questo non prima del trecento potè l'Italia comparir degnamente nel campo dell'arte. Chi ripensi la storia politica nostra dei secoli duodecimo e decimoterzo e riguardi poi alla letteratura di essi secoli, quegli anche crederà di leggero che a tanta mole di fatti non si agguagliasse di certo la gloria degli scritti. E già la lingua nuova più tardi che altrove fu qui levata all'uso letterario: poi la nostra prosa e poesia per tutto quasi il duecento fu in gran parte eco di letterature straniere. Come? La Spagna ha già tessuto la leggenda del Cid campeggiatore, la Francia settentrionale ripete da molti anni le sue canzoni di gesta e svolge quasi a trastullo i lunghi cicli delle sue cento epopee, esulta in mille forme la lirica su la mandola del trovatore di Provenza e sul liuto del minnesingero nei castelli della verde Soavia e della Turingia, la Germania ha già fermato in un'ultima composizione il suo poema nazionale; e l'Italia non fa che ricantare o rinarrare balbettando quel che fu già cantato in lingua d'oc e in lingua d'oil? Sì, ma intanto ella ha constituito a repubblica i suoi comuni; ella ha fiaccato

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