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crespata dal tempo sembravano raggrinzarsi in un ghigno. Che volete? pareva che mi fissasse; e quelle sue labbruzze pallide e sottili pigliavano un'espressione come di chi dice ironicamente: Non sai? E allora udii un sussurrio leggiero interrotto da sghignazzamenti, e strane novelle d'un parc aux cerfs femminile in una valle ridente degli Appennini: intesi interpretar la metafora dell'uccellar volentieri, e sentii le spine di quel fiore e l'aculeo di quel certamente; sentii la satira democratica in forma di madrigale bucolico esultar di amara vendetta nelle logge dei popolani grassi di Firenze. Intanto quel piccolino pareva che seguitasse a ridere: tristanzuolo degno di esser fatto cavaliere dai Ciompi su le macerie ardenti delle case di Santo Spirito. Ohibò! ma tutto questo è una fantastica e maligna ermeneutica. O monasteri, o chiese fondate dalle contesse su per l'Appennino! in queste afe cittadine risento col desiderio la frescura e l'ombra di quelle quiete solitudini di pietra in mezzo al verde: il suono dell'organo riempie le navate serene: per la porta maggiore aperta e per le finestre entra non la sferza ma lo splendore allegro del sole, e gli antichi alberi del piazzale par che si inchinino e si affaccino anch'essi a sentire l'organo, tanto da vicino odonsi e veggonsi piegare susurrando al venticello della montagna. Oh buone contesse !

Ma, prima di uscire affatto dai madrigali di argomento pastorale una cui allegorica varietà era l'ultimo che ho pubblicato qui sopra, devo notare che fra le molte pastorelle francesi dei secoli decimosecondo e decimoterzo raccolte da K. Bartsch una ve n'ha, ma una sola, che rassomiglia un po' a quelli, non tanto generalmente nella forma quanto e più nella disposizione

metrica, che è di due terzetti sciolti identici a quei del madrigale italiano, se non che la pastorella non ha coppia finale. Eccola nel suo vecchio linguaggio: ella è una delle tante variazioni, e forse la più graziosa, della canzone popolare la bella Alice:

Main se leva la bien fete Aelix:

« par ci passe li bruns, li biaus Robins. »
biau se para et plus biau se vesti.

« Marchiez la foille et ge qieudrai la flor.
par ci passe Robins li amorous.

encor en est li herbages plus douz » 1.

(cioè: La mane si levò la ben fatta Alice:

roso:

gra

« Per qui passa il bruno il bello Robino. » Bellamente si acconciò, più bellamente si vestì.-< Segnate la foglia, e io coglierò il fiore. — Per qui passa Robino l'amoancora l'erba ne diventa più dolce » · -). È ziosa; ed è, parmi, male annoverata fra le pastorelle propriamente dette: che anzi ella spira qualcosa della freschezza di sorgente, e par che ritenga, più ancora del madrigale nostro come lo conosciamo, le fattezze di quel canto primitivo e veramente campestre dal quale originossi pure il madrigale. Ma un fiore non fa primavera, massime se nè meno è sviluppato per intiero. A me del resto è piaciuto recarla anche perchè ad essa e ad altre sì fatte canzoni francesi assomiglia, ed ha forse comune con loro l'origine, certa canzonetta che a torto fu attribuita al Poliziano, ma che probabilmente è antica quanto lui se non più. Siami permesso di riferir qui le prime due fra le sei stanze onde si compone; perocchè altro a giudizio mio ella non sia se non il madrigale come si svolse più liberamente lungi dalla stre

1 Altfranzösische Romanzen und Pastourellen, Leipzig, Vogel, 1870; pag. 208.

gua de' maestri di musica e quale restò, fuori delle sale, più da presso alla campagna e più nativo:

La pastorella si leva per tempo

Menando le caprette a pascer fora.
Di fora fora

La traditora

Co' suoi begli occhi la m'innamora,
E fa di mezza notte apparir giorno.
Poi se ne giva a spasso alla fontana
Calpestando l'erbette oh tenerelle,
Oh tenerelle

Galant'è belle!,

Sermolin fresco, fresche mortelle;

E'l grembo ha pieno di rose e vïole 1.

Si noti bene che l'intelaiatura, per così dire, della stanza è sempre il terzetto endecasillabo sciolto, e che i versi vari di metro fra il secondo e il terzo endecasillabo altro non rappresentano se non una fioritura del canto popolare; a quella stessa guisa che si fa con gli stornelli o fiori, che dopo il secondo verso si attacca con tre o quattro o sei d'altra intonazione, d'altro metro, d'altro argomento, poi si riprende col primo tenore dal secondo verso il canto dello stornello.

XI.

Ma le più volte, pur restando alla campagna, il madrigale evita studiosamente le mandre e rifugge dalle villane, o se anche le avesse un po' brancicate, torna ben presto, purificatosi con l'acqua lanfa, in cerca di compagnia più geniale; e danza con le belle villeggianti

1 POLIZIANO, Le Stanze, l'Orfeo e le Rime ecc. Firenze, Barbèra, 1863; pag. 340,

su 'l prato e presso il ruscello, corre pe' colli, si siede all'ombra degli alberi, coglie pomi e fiori, intreccia ghirlande ghirlande che allora toccavano agli amanti felici; oggi ce n'è anche per voi, o annoiati lettori, se ne volete.

Cogliendo per un prato ogni fior bianco

Con vaghezza d'amor vidi cantare
Donne leggiadre e qual di lor danzare.
Poi si posavan sopra d'una fonte,
E di ta' fior facén ghirland' a loro
Adorne e belle sovr' a' capel d'oro.
Uscendo fuor del prato ragguardai

Lor adornezze, e d'una innamorai 1.

Qui il madrigale è propriamente un idillio lavorato a piccole imagini, tanto più netto e vivace quanto più circoscritto lo spazio entro il quale si gira e più semplice il contorno. Ricordate certi gruppi di figurine della scuola di Giotto, da' movimenti e dagli atti un po' troppo eguali ma pur gentilini, dall'abito un po' uniforme ma pur grazioso, e che han quelle testoline soavi e fini, e dall'aria della testa e da tutta la persona spirano quiete serena? Fate conto che quelle figurine comincino a risentirsi su la tela, e ballino e cantino con quel loro verso e linguaggio antico, puro e flessibile come il giunco schietto che Dante vide crescere a piè della sacra montagna, verdeggiante e odoroso come il lauro giovinetto e schietto alla cui ombra sedeva la bella provenzale.

Togliendo l'una all'altra foglie e fiori,

Donne i' vidi tra le frondi belle

Con dolzi canti far lor ghirlandelle.

1 Capp. 36. Laur. pal. f. 93 v.: musicato da Magister ser Nicholaius Prepositi

de Peruxia.

Una ve n'era fra l'altre più bella:

Con dolce sguardo mi dicea « Te': vuo' la? »
Ond'io smarretti, e non dissi parola.
Ben se n'accorse, e pur la mi donde:

Ond'io per servo sempre a lei mi dòe. 1

Addio, bella madonna, che offerivate le ghirlande a' poeti, parlando col dolce sguardo, con quel dolce sguardo che avrà fiammeggiato di dolce desio, chi sa quante volte!, su le pagine le quali raccontano di Ghismonda e della Lisabetta e su le rime di messer Francesco. Io vorrei baciarvi almeno la mano. Ove dormite voi? Ne'sepolcreti di Santa Maria Novella o in quelli di Santa Croce? Dormite voi sola? o le vostre ossa bianche e sottili furono soppresse dalle grandi ossa di un padre guardiano o di un torzone?

L'idillio nei versi che seguono perde un cotal poco quella giottesca leggiadria di atti decenti che arride ne' madrigali recati più sopra; ma acquista, parmi, di movimento e di vita. Chi canta e dipinge è il naturalissimo scrittore delle novelle e delle caccie, Franco Sacchetti.

Rivolto avea il zappator la terra,

E poi risecca era su 'l duro colle,
Là dov'io giunsi sì com' Amor volle.
Su 'l qual corrëan verso un pomo verde
Donne in ischiera, e l'una all'altra avanti,
Con leggiadre parole e be' sembianti.

Giunte ad esso et io mirando, tanti

Frutti non vidi fra 'l suo verde adorno,

Quant'i' vidi man bianche a quel d'intorno,

Dolce parlando, tirar rami e fronde:

Regina vidi 'n cui 'l mio cor s'asconde.

FRANCO SACCHETTI 2.

1 Capp. 35. Laur. pal. f. 3 v., Par. f. 200: musicato da Magister Jovannes

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