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combattenti; e se si consideri il premio ed il termine, certamente il premio ed il termine fu d'avanzare tutti i mortali. Imperocchè que sto si chiama imperio. E questo non avvenne ad alcun popolo se non al romano, il quale non solamente primo, ma solo, pervenne al termine della battaglia, come poco dipoi di chiareremo. Il primo che tra' mortali si sforzò d'acquistare questo premio, fu Nino re degli Assirj, il quale benchè con la donna sua Semiramide per novanta anni e più, come dice Orosio, tentasse con l'arme di conseguire l'imperio del mondo e tutta l'Asia soggiogasse, nientedimeno le parti occidentali non sottomise. Di costoro fa menzione Ovidio nel quarto, dicendo: Semiramis cinse la città con mura di mattoni; e dipoi dice: Ragu ninsi al corpo di Nino, e sotto l'ombra si nascondino. Il secondo che cercò questo imperio fu Vesoge re degli Egizj. E benchè tribolasse il Mezzodi ed il Settentrione, come Orosio narra, nientedimeno non ottenne mai mezza la parte della terra; ma nel combattere con gli Sciti, innanzi che pervenisse al premio, si fermò. Dipoi Ciro re de' Persi tentò questo medesimo; il quale distrutta Babilonia, e ridotto l'imperio Babilonico sotto i Persi, non conseguitato ancora le parti occidentali, sotto Tomiride regina degli Sciti, perdè la intenzione sua insieme con la vita. Dopo costoro, Serse figliuolo di Dario e re de' Persi, con tanta moltitudine di gente assalto il mondo, e con tanta potenza, che trapassò il mare dividente l'Asia dall' Europa, fatto uno

ponte superaverit. Cujus operis admirabilis Lucanus in secundo Pharsaliae meminit. Canit enim sic: Tales fama canit tamidum super aequora Xersem Construxisse vias. Et tandem miserabiliter ab incoepto repulsus, ad bravium pervenire non potuit. Praeter istos, et post, Alexander rex Macedo maxime omnium ad palmam Monarchiae pro. pinquans, dum per Legatos ad deditionem Romanos praemonet, apud AEgyptum, ante Romanorum rationem, ut Livius narrat, in medio quasi cursu collapsus est. De cujus etiam sepultura ibidem existente, Lucanus in octavo, invehens in Ptolemaeum regem AEgypti, testimonium reddit dicens: Ultima Lagacae stirpis perituraque proles Degener, incestae sceptris cessure sororis, Cum sacrato Macedo tibi servetur in antro.

O altitudo sapientiae et scientiae Dei, quis hic te non obstupescere poterit? Nam conantem Alexandrum praepedire in cursu coathletam Romanum, tu, ne sua temeritas prodiret ulterius, de certamine rapuisti. Sed quod Roma palmam tanti bravii sit adepta, multis approbatur testimoniis: ait enim Poeta noster in primo: Certe hinc Romanos olim volventibus annis, Hinc fore ductores, revocato a sanguine Teucri, Qui mare, qui terras omni ditione tenerent. Et Lucanus

ponte intra Seston ed Abidon. Di questa opera mirabile fece menzione Lucano nel secondo libro della farsalica pugna, così dicendo: La fama canta che il superbo Serse fece via sopra il mare. Costui finalmente, rimosso dal suo proposito, rimase miserabile, e non potè al palio pervenire. Dipoi Alessandro re di Macedonia appressandosi più che gli altri al palio della monarchia, mandò ambasciadori a' Romani chiedendo loro obbedienza; ma innanzi che eglino gli rispondessero, in Egitto mori nel mezzo del suo corso, come narra Livio. Della sepoltura del quale in detto luogo Lucano fa memoria nell'ottavo, mentrechè riprende il re Tolomeo in questo modo: O ultima peritura e degenere prole della stirpe Lagea, tu ubbidirai allo imperio della incestuosa sirocchia, abbenchè nella tua sacrata spelonca sia sepolto il re di Macedonia.

O altezza della scienza e sapienza d'Iddio, quale sarà quello che qui di te non si maravigli? Imperocchè quando Alessandro si sforzava d'impedire nel corso il popolo romano, che con lui insieme correva al palio, tu lo rapisti nel mezzo del corso, acciocchè la temerità sua più alto non salisse. Ma che Roma abbia conseguita la palma di si degno palio, per molti testimonj si manifesta, perchè Virgilio nel primo così dice: Egli è stabilito che di qui per certi tempi futuri discendano i Romani, e sieno conduttori discendenti del sangue Troiano restaurato; i quali e mare e terra al loro imperio sog

in primo: Dividitur ferro regum, populique potentis Qui mare, qui terras, qui totum possidet orbem, Non cepit fortuna duos. Et Boetius in secundo, cum de Romanorum principe loqueretur, sic inquit: Hic tamen sceptro populos regebat, Quos videt condens radios sub andas Phoebus extremo veniens ab ortu, Quos premunt septem gelidi triones, Quos notus sicco violentus aestu Torret ardentes reco

quens arenas. Hoc etiam testimonium perhi. bet scriba Christi Lucas, qui omnia vera dicit etiam illa parte sui eloquii: Exivit edictum a Caesare Augusto, ut describeretar universas orbis. In quibus verbis universalem mundi jurisdictionem tunc Romanorum fuisse, aperte intelligere possumus. Ex quibus omnibus manifestum est, quod Romanus populus cunctis athletizantibus pro Imperio mundi praevaluit. Ergo de divino judicio praevaluit: et per consequens, de divino judicio obtinuit, quod est de jure obti

nuisse.

Et quod per duellum acquiritur, de jure acquiritur. Nam ubicunque humanum judicium deficit, vel ignorantiae tenebris involutum, vel propter praesidium judicis non habere, ne justitia derelicta remaneat, recurrendum est ad illum, qui tantum eam dilexit, ut quod ipsa exigebat, de proprio sanguine moriendo supplevit. Unde Psalmus: Justus Dominus justitias dilexit. Hoc autem fit, cum de libero assensu partium, non odio, sed amore justitiae, per virium

gioghino. E Lucano nel primo dice: E' si divide col ferro de' re e del popolo potente quella fortuna che tiene il mare, e che tiene la terra e tutto il mondo, e non potè tenere due insieme. E Boezio nel secondo parlando dello imperio del principe de’Romani, così dice: Costui nientedimeno reggeva a bacchetta que' popoli, i quali vede il sole quando sottentra, i quali vede il sole quando nasce, il settentrione e il mezzodì. Questo ancora testimonia Luca scriba di Cristo, il quale dice seinpre il vero parlando così: Mandò Cesare Augusto uno comandamento che tutta la terra fusse descritta. Per le quali parole possiamo intendere che l'universale giurisdizione della terra, allora era sotto i Romani. Per le cose dette è manifesto che il popolo Romano andò innanzi a tutti quegli che per lo imperio del mondo com batterono, e però ottenne questo per divino giudizio, lo che è per ragione

ottenere.

Quello che s'acquista per duello, per ragione s'acquista. Imperocchè dovunque l'umano giudizio manca o per essere avvolto nelle tenebre dell'ignoranza, o per non avere ricorso al presidio del giudice, acciocchè non rimanga addietro il vero giudicio, si debbe ricorrere a Colui che tanto amò la natura umana che quello ch'ella chiedeva, egli del proprio sangue morendo suppli. Onde dice il Salmo: Il Signore è giusto ed amò la giustizia. E questo avviene, quando per libero consentimento delle parti, non per odio, ma per amore

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