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a' pastori venne dal cielo uno suono che non disse: ricchezze, piaceri, onori, lunga vita, sa. nità, gagliardia, bellezza; ma disse pace, perchè la celestiale compagnia cantò: sia gloria in cielo a Dio, e in terra agli uomini di buona volontà sia pace. E questa era ancora la propria salutazione del Salvatore: a voi sia pace: perchè era conveniente al sommo Salvatore esprimere una salutazione somma. II quale costume servarono dipoi i suoi discepoli, e Paolo nelle salutazioni sue, come a ciascheduno può essere manifesto. Per queste cose che sono dichiarate è manifesto per che mezzo ottimamente la generazione umana alla sua propria operazione perviene. E conseguen temente s'è veduto quale è il mezzo prossimo e comodissimo pel quale si viene a quello a che come ultimo fine tutte le nostre operazioni sono ordinate. Questa è la pace universale la quale per principio delle seguenti ragioni ferma si vuole tenere, quasi uno segno prefisso, al quale ciò che si pruova si riduca come a una verità manifestissima.

Riassumendo quello che da principio dicemmo, tre cose massimamente si dubitano circa la monarchia temporale, la quale per comune vocabolo si chiama imperio. E di queste cose col principio assegnato e ordine dato vogliamo trattare. La prima questione è questa: Se al bene essere del mondo la temporale monarchia sia necessaria. Questo, non ostante alcuna forza di ragione o d'autorità, con potentissimi e validissimi argomenti si può mo

tentissimis argumentis ostendi potest; quorum primum ab auctoritate Philosophi assumatur de suis Politicis. Asserit enim ibi venerabilis ejus auctoritas, quod quando aliqua plura ordinantur ad unum, oportet unum eorum regulare seu regere, alia vero regulari seu regi. Quod quidem non solum gloriosum auctoris nomen facit esse credendum, sed ratio ductiva. Si enim consideremus unum hominem, hoc in eo contingere videbimus: quia cum omnes vires ejus ordinantur ad foelicitatem, vis ipsa intellectualis est regulatrix et rectrix omnium aliarum, aliter ad foelicitatem pervenire non potest. Si consideremus unam domum, cujus finis est, domesticos ad bene vivendum praeparare, unum oportet esse qui regulet, et regat, quem dicunt patremfamilias, aut ejus locum tenentem, juxta dicentem Philosophum: Omnis domus regitur a senissimo. Et hujus, ut ait Homerus, est regulare omnes, et leges imponere aliis. Propter quod proverbialiter dicitur illa maledictio: Parem habeas in domo. Si consideremus vicum unum, cujus finis est commoda tam personarum quam rerum auxiliatio, unum oportet esse aliorum regulatorem, vel datum ab alio, vel ex ipsis praeeminentem, con. sentientibus aliis: aliter ad illam mutuam sufficientiam non solum non pertingitur,sed aliquando pluribus praeeminere volentibus, vicinia tota destruitur. Si vero unam civitatem, cujus finis est bene sufficienterque vivere, unum oportet esse regnum. Et hoc

strare: il principio de' quali si può assumere nella politica d'Aristotele ove dice: che quan do più cose a uno sono ordinate, conviene che una di loro regoli e regga; e l'altre cose sieno regolate e rette. A questa sentenzia dà fede non solamente l'autorità dello autore, ma eziandio la ragione per ciaschedane cose discorrente. Imperciocchè se considereremo l'uomo individuo, vedremo in lui avvenir questo: che come tutte le forze sue sono alla felicità ordinate, la stessa forza intellettuale di tutte l'altre è regolatrice e regina, altrimenti non potrebbe alla felicità pervenire. Ancora nella casa il fine è preparare la famiglia al ben vivere: uno bisogna che sia che regoli e regga, il quale padre di famiglia si chiama, ovvero bisogna che in luogo suo sia un altro, secondo la sentenzia d'Aristotele: Ogni casa è dal più antico governata; l'officio del quale secondo Omero è dare regola agli altri e legge. Di qui è uno proverbio che quasi bestemmiando dice: Abbi pari in casa. Se noi consideriamo uno borgo di case, il fine del quale è uno comodo soccorso di cose e di persone, conviene che uno vi sia regolatore degli altri, o preposto ivi da altri, o con loro consentimento come più preeminente eletto. Altrimenti non solo a quella mutua sufficienzia non si perviene, ma alcuna volta contendendo molti di soprastare, la vicinanza tutta si perverte. Similemente in una città, della quale è fine bene e sufficientemente vivere, bisogna che sia uno il reggimento. E questo bisogna non solo nel

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non solum in recta politia, sed et in obliqua: quod si aliter fiat, non solum finis vitae civilis amittitur, sed et civitas desinit esse quod erat. Si denique unum regnum particulare, cujus finis est is qui civitatis, cum majori fiducia suae tranquillitatis oportet esse Regem unum, qui regat atque gubernet: aliter non modo existentes in regno finem non assequuntur, sed et regnum in interitum labitur; juxta illud ineffabilis veritatis: Omne regnum in seipsum divisum desolabitur. Si ergo sic se habet in singu lis quae ad unum aliquod ordinantur, verum est quod assumitur supra. Nunc constat quod totum humanum genus ordinatur ad unum ut jam pracostensum fuit. Ergo unum oportet esse regulans sive regens: et hoc Monarcha sive Imperator dici debet. Et sic patet, quod ad bene esse mundi, necesse est Monarchiam esse, sive Imperium.

Et sicut se habet pars ad totum, sic ordo partialis ad totalem. Pars ad totum se habet, sicut ad finem et optimum. Ergo et ordo in parte, ad ordinem in toto, sicut ad finem et optimum. Ex quo habetur, quod bonitas ordinis partialis non excedit bonitatem totalis ordinis: sed magis e conversa, Cum ergo duplex ordo reperiatur in rebus, ordo scilicet partium inter se, et ordo partium ad aliquod unum quod non est pars: sic ordo partium exercitus inter se, et ordo earum ad ducem. Ordo partium ad unum

governo diritto, ma eziandio nel perverso. E se questo non si fa, non solamente non si conseguita il fine della vita, ma eziandio la città non è più quello ch' ella era. Eziandio nel regno particulare, il fine del quale è tutto uno con quello della città, con maggiore fidanza di sua tranquillità conviene che sia uno Re che regga e governi; altrimenti i sudditi non acquisterebbono il debito fine, e il regno perirebbe, secondo che la ineffabile verità dice: ogni regno in se medesimo diviso sarà desolato. Se così adunque addiviene in tutte le cose che a uno si dirizzano, vero è ciò che di sopra toccammo. E perchè egli è manifesto che tutta la generazione umana è ordinata a uno, com'è sopra mostrato, bisogna che sia uno che regoli e regga, e costui si debbe chiamare Monarca o Imperadore. Così è chiaro che al bene essere del mondo è necessario che la monarchia o lo imperio sia.

Quella condizione che ha la parte al tutto, quella ha l'ordine particulare all'ordine universale. La parte si dirizza al tutto come al fine ed all'ottimo. Adunque l'ordine che è nella parte, all' ordine che è nel tutto, come a fine e ottimo, si riduce. Di qui è chiaro che la bontà dell'ordine particulare non eccede la bontà dell'ordine universale, ma più tosto al contrario. Due ordini si truovano nelle cose: l'ordine delle parti intra sè medesime, e l'ordine delle parti ad uno che non è parte; così come l'ordine delle parti dello esercito intra se medesime, e l'ordine loro al capitano. Certamente l'ordine delle parti ad uno è

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