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lazione, o ad un terzo al quale si riducano come a comune unità. Ma non si può dire che l'uno si sottoponga all'altro come subalterno, imperocchè così l'uno dell' altro si prediche. rebbe, e questo è faiso. Perocchè noi non diciamo: lo imperadore è papa, nè il papa è imperadore: e non si può dire, che comunichino in ispezie; perchè altro è l'offizio del papa, e altro è quello dello imperadore, in quanto e' sono tali. Adunque si riducono a qualche cosa, nella quale e' si debbono unire; e però si vuole sapere che quella comparazione che è tra relazione e relazione, quella è tra relativo e relativo. Adunque se il papato e l'imperio, essendo relazioni di sopra posizione, s' hanno a ridurre al rispetto della sopraposizione, dal quale rispetto con le differenze loro dipendono, Papa ed Imperadore, essendo eglino relativi, si dovranno ridurre a qualcuno, nel quale si ritrovi esso rispetto di sopra posizione senza altra differenza: e questo sarà o l'istesso Iddio, nel quale ogni rispetto universalmente s'unisce; o una sostanza a Dio inferiore, nella quale il rispetto della sopra posizione, per la differenza della sopra posizione dal semplice rispetto discendente, diventi particolare. E cosi è manifesto che il papa e lo imperadore, in quanto sono uomini, s' hanno a ridurre a uno, ma in quanto papa ed imperadore ad altro; e questo basti in quanto alla ragione.

Posti e rimossi gli errori, a' quali coloro molto s'accostano che dicono, l'autorità del romano imperio dal pontefice romano dipendere, è da ritornare a dimostrare la verità di Vol. 111. 16

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dendum veritatem hujus tertiae quaestionis, quae a principio discutienda propone batur, quae quidem veritas apparebit sufficienter, si sub praefixo principio inquirendo, praefatam auctoritatem immediate dependere a culmine totius entis ostendero qui Deus est. Et hoc erit ostensum, vel si auctoritas Ecclesiae removeatur ab illa, cum de alia non sit altercatio; vel si os/ensive probetur, a Deo immediate dependere. Quod autem auctoritas Ecclesiae non sit caussa Imperialis auctoritatis, probatur sic: Illud, quo non existente, aut quo non virtuante, aliud habet totam suam virtutem, non est caussa illius virtutis: Sed Ec. clesia non existente, aut non virtuante, Imperium habuit totam suam virtutem. Ergo Ecclesia non est caussa virtutis Imperii, et per consequens, nec auctoritatis, cum idem virtus sit et auctoritas ejus. Sit Ecclesia A, Imperium B, auctoritas sive virtus Imperii C. Si non existente A, C est in B, impossibile est, A esse caussam ejus quod est, C esse in B: 3: cum impossibile sit, effectum praecedere causam in esse. Adhuc, si nihil operante A, C est in B, necesse est, A non esse causam ejus quod est, C esse in B: cum necesse sit ad productionem effectus praeoperari caussam, praesertim efficientem, de qua intenditur. Major propositio hujus demonstrationis declarata est in terminis: Minorem Christus et Ecclesia confirmat: Christus nascendo et moriendo, ut superius dictum est: Ecclesia, cum Paulus in Actibus Apostolorum di

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essere o

questa terza quistione, la quale si proponeva da principio per dichiararla, la quale verità apparirà sufficientemente, se sotto prefisso principio ricercando dimostrerò, la prefata aatorità senza mezzo dipendere dalla sommità di tutto l'essere, che è Iddio. E questo sarà dimostrato, ovvero se l'autorità della chiesa sia rimossa da essa, conciossiachè di quella non è altercazione; o se si mostra chiaramente da Dio senza mezzo dipendere. E che l'autorità della chiesa, non sia cagione della imperiale, si pruova così: quello, senza la virtù del quale, è altra cosa, quest'altra cosa da quello non dipende; e non esistendo la chiesa, ovvero non dando virtù, l'imperio ebbe tutta la virtù sua. Adunque la chiesa non è cagione della virtù dello imperio nè della sua autorità, essendo tuttuno la virtù e l'autorità sua; e questo così si mostra. Sia la chiesa A, l'imperio B, l'autorità o virtù dell'imperio C. Se non esistendo A, C è in B, è impossibile che A sia cagione dello essere C in B, perchè egli è impossibile che l'effetto preceda la cagione sua nello essere. Ancora, se mentre che A nulla adopera, C è in B, è necessario che A non sia cagione dell'essere C in B, perchè egli è necessario che alla produzione dello effetto, la cagione innanzi adoperi, specialmente la cagione efficiente della quale al presente parliamo. La inaggior proposizione di questa dimostrazione è dichiarata ne' termini; la minore è confermata da Cristo e dalla Chiesa;da Cristo quando nacque e quando morì come di sopra è detto; dalla Chiesa, dicendo Pao

cat ad Festum: Ad tribunal Caesaris sto, ubi me oportet judicari. Cum etiam Angelus Dei Paulo dixerit parum post: Ne timeas Paule, Caesari te oportet assistere. Et infra iterum Paulus ad Judaeos existentes in Italia: contradicentibus autern Judaeis, coactus sum ap. pellare Caesarem, non quasi gentem meam habens aliquid accusare, sed ut eruerem animam meam de morte. Quod si Caesar jam tunc judicandi temporalia non habuisset auctoritatem, nec Christus hoc persuassisset, nec angelus illa verba nunciasset, nec ille qui dicebat, Cupio dissolvi et esse cum Christo, incompetentem judicem appellasset. Si etiam Constantinus auctoritatem non habuisset in patrocinium Ecclesiae, illa quae de Imperio deputavit ei, de jure deputare. non potuisset; et sic Ecclesia, illa collatione. uteretur injuste: cum Deus velit oblationes esse immaculatas, juxta illud Levitici: Omnis oblatio, quae offertur Domino, absque fermento fiet. Quod quidem praeceptum, licet ad offerentes faciem habere videatur, nihilominus est per consequens ad recipientes. Stultum enim est credere, Deum velle recipi, quod prohibet exhiberi; cum etiam in eodem praecipiatur Levitis: Nolite contaminare animas vestras, nec tangatis quicquam eorum, ne iminundi sitis. Sed dicere quod Ecclesia abutatur patrimonio sibi deputato, est valde inconveniens: ergo falsum erat illud, ex quo sequebatur.

lo negli atti degli Apostoli: Io sto dinanzi al tribunale di Cesare, ove mi conviene esser giudicato. E poco dipoi l'angiolo di Dio disse a Paolo: Non temere Paolo, innanzi a Cesare ti conviene comparire. E disotto disse Paolo a' giudei che erano in Italia: Contradicendomi i giudei, io sono costretto appellare a Cesare, non per accusare in alcuna cosa la gente mia, ma per rimuovere l'anima mia dalla morte. E se Cesare non avesse allora avuto autorità di giudicare le cose temporali, nè Cristo avrebbe questo persuaso, nè l'angiolo avrebbe quelle parole annunziate, nè colui che diceva, io desidero di morire ed essere con Cristo, avrebbe appellato incompetente giudice. Ancora se Costantino non avesse avuto autorità in patrocinio e aiuto della chiesa, quelle cose dell'imperio che deputò alla chiesa, non avrebbe potuto di ragione deputare; e così la chiesa ingiustamente userebbe quel dono; conciossiachè Iddio voglia l'offerte essere immaculate, secondo quel detto del Levitico: Ogni offerta che farete a Dio sarà senza formento. Il quale comandamento, benchè paja che sia diretto agli offerenti, nientemeno è ancora a' recipienti. Stolto è credere che Iddio voglia che si riceva quello che vieta dare, massime perchè nel medesimo libro si comanda a' Leviti: Non vogliate contaminare l'anime vostre, e non toccate alcuna di quelle cose acciocchè non siate immondi. Ma il dire che la chiesa così usi male il patrimonio a se deputato, è molto inconveniente; adunque era falso quello da che questo seguita.

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