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Seguitando ora l'esame del canto XXX, deve esser certo che le spirazioni le quali Beatrice annunzia di aver usate a richiamare Dante (133-135), son tutt'altra cosa che quella o quelle di cui è parola nella Vita Nuova: benchè i commentatori tutti si accordino nel dire che son la stessa o le stesse. Ma è delle spirazioni, nel Purgatorio, quel che è dell'altrui del verso 126; cioè nè questo nè quelle hanno a far nulla con l'operetta giovanile di Dante: e se, come ho dimostrato, non è a dubitare che in quell'altrui non ci si alluda alla donna pietosa, si dovrà tenere per conseguenza, che le spirazioni del Purgatorio (le quali appunto dovevan valere a rivocare Dante dai suoi costumi) non corrispondano alla visione di Beatrice, che valse a distoglier Dante dalla sua nuova vaghezza (XXXIX; V. N. ediz. Casini). Chè in ogni modo, mal fa lo Scartazzini ad annoverare fra le ispirazioni inviate a Dante per quello scopo, anche la visione ultima (XLII, ediz. Casini), per la quale Dante si rimase dal dir di Beatrice. Perchè allora l'amor di Dante era fermo in costei; nė egli badò più alla donna gentile (se questa, come i più credono, fu donna e non simbolo): onde non c'è ragione che Beatrice usasse a richiamarlo una nuova visione. Ma nemmeno quell'una che è descritta nel cap. 39 della Vita Nuova, si può dir che sia ricordata da Beatrice nel Purgatorio; perchè nella Vita Nuova si fa parola di un amore onesto, nato in Dante per gentilissima cagione, durato non senza contrasto, cacciato in breve dal soverchiante pensiero di Beatrice; e le ispirazioni accennate nel Purgatorio non possono certo riferirsi a un tale amore. Si aggiunga che quella onde si parla nella Vita Nuova ebbe il suo effetto; queste non l'ebbero. La quale difficoltà lo Scartazzini risolve, immaginando che la resipiscenza di Dante per le visioni avute non fosse salda nè

Iunga: e però Beatrice non la abbia in conto. E similmente argomentano gli altri commentatori; o non argomentando con parole espresse così, credono tuttavia che le visioni della Vita Nuova sieno quelle stesse che Beatrice accenna nel Purgatorio. Ma vedi a quanta stranezza di capricciose immaginazioni (perchè non è a dire concetti o giudizî) porta i più assennati critici una falsa maniera d'interpretazione! Lo Scartazzini e gli altri han fermo in mente che le accuse di Beatrice nel Purgatorio si riferiscano in parte, al racconto della Vita Nuova; e che l'altrui del verso 126 sia la donna gentile. E però son costretti a credere anche che le ispirazioni di cui si parla nel Purgatorio sieno quelle stesse, o quella che è narrata nella Vita Nuova. E poichè a credere così ripugna la difficoltà che sopra ho citato, immaginano the Dante, dopo un breve tornar che fece a Beatrice, se ne distogliesse di nuovo. Ma si consideri: se la visione ond'è parola nella Vita Nuova e che è ricordata con altre nel Purgatorio, fu usata per toglier Dante al suo amore per la donna gentile; si deve credere che il ricadere di lui in fallo, poco curando le ispirazioni celesti (di che Beatrice lo accusa) non fosse altro che un riporre il suo affetto nella stessa donna gentile. E dove è detto nella Vita Nuova o in altra opera di Dante, che costui amasse una seconda volta la rivale di Beatrice? Perchè il narrar che fa lo stesso Dante, nel suo Convivio, che egli amò con vivissimo zelo la filosofia (simboleggiata nella donna gentile) non può dai critici su detti esser pigliato a testimonianza del riamare che ei facesse costei; avendo essi per fermo che la donna gentile onde si parla nella Vita Nuova fu vera donna e veramente amata da Dante, e non ha far nulla con la filosofia che quegli amò in un medesimo tempo. E se è così (che a me

non pare), di dove traggono i critici, non dico già la certezza, ma un qualche indizio di ciò che affermano o lasciano credere, del riamare che Dante fece la donna gentile? Senzachè, a qual uomo di senno può parer giusta (come ho già detto, e qui è opportuno ripetere) tanta forza di accusa, quanta esprime Beatrice, per un amore onestissimo? E che di un tale amore si dica che ebbe parte in quel sì grave pervertimento di Dante ? Il qual pervertimento (Tanto giù cadde; ecc.) seguì appunto al non curarsi ch'ei fece delle ispirazioni celesti (1) inviate a lui per distrarlo dal suo amore per la donna gentile (oltrechè dallo studio della filosofia). Il che è strano ad immaginare, sopra tutto, se alcuno, come fa lo Scartazzini, non schivi di credere che la donna gentile fu Gemma Donati. Del suo amore per questa, che gli fu moglie cinque anni prima dello smarrirsi nella simbolica selva, Dante dunque si fa accusare da Beatrice? Ad esso amore dà colpa di tutti i suoi falli; o di alcuni non lievi ?

Non pare, dunque, che bisognino altre dimostrazioni a far manifesto che le ispirazioni di cui si parla nel Purgatorio furono, non all'effetto di toglier Dante a un nuovo amore per la donna gentile, ma di ritrarlo da viziosi costumi. E che le accuse di Beatrice, nel canto XXX, non sieno ad altra colpa che di lussuria, o in generale di disonesti amori donneschi, si può dimostrare evidentissimamente così: che nel canto seguente al XXX, insistendo Beatrice che il poeta dichiari il suo fallo, e

(1) 133-136:

Nè l'impetrare spirazion mi valse,
Con le quali ed in sogno ed altrimenti
Lo rivocai; sì poco a lui ne calse.
Tanto giù cadde....

ragionandogli ella con meno fierezza, più distintamente, non per colpirlo con l'apostrofe pronta e superba, come in principio, ma per indurlo in coscienza di ciascun suo errore; egli risponde (v. 34-36):

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Chi crederà che con siffatte parole si possa alludere a colpa di filosofici errori ?; o, pur volendo delirare così, chi crederà che, essendo le accuse di Beatrice nel canto XXX, in una parte almeno (il che non negano i più), a colpa di lussuria, qui il poeta fece bene usando, confessarsi reo delle due colpe tanto disformi, le parole medesime? Si aggiunga a questo, che il seguente discorso di Beatrice, dichiarativo delle accuse già espresse, è tutto intorno a falli d'altra natura, che filosofici. E finalmente, qual convenienza artistica e logica sarebbe in questo, che l'accusa d'intellettuali sviamenti fosse fatta qui, nei canti XXX e XXXI, e ripetuta nel canto XXXIII?

mente:

Ogni ragione insomma, d'arte e di logica, vuole che le due accuse, diversissime, sieno significate distintasono in fatto. E si noti cosa che efficacemente conferma ciò che ho dimostrato fin qui. Beatrice, che è giudice delle due colpe, ha una diversa figura nello accusar che fa Dante dell'una o dell'altra di esse. Ella è donna, beata sì, ma non altro che donna, nel primo giudizio; è simbolo di teologia, nel secondo. Perchè a Dante, ordinatissimo ingegno, piacque anche in questo curare una perfetta rispondenza di cose. E che Beatrice sia donna nei canti XXX e XXXI, o, per dir proprio,

che a lui per donna si manifesti, celando la sua più alta qualità, risulta chiaramente da quell' aspetto che ella ha nel suo primo apparire; onde il poeta, che non sa ancora chi ella sia, dice (v. 32):

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e donna ancora la chiama in seguito nel verso 64; e si argomenta dall'amorosa forza che ella ha sul cuore di lui, sebbene egli per ben dieci anni non fosse stato alla sua presenza; e si argomenta ancora da ciò che ella dice, dimostrando che altro amore di donna non avrebbe dovuto spegnere in lui od attenuare il ricordo della sua corporea bellezza (c. XXXI, 47-54). Ma ecco, poichè il poeta ha dichiarato il suo fallo, ed ha mostrato pentimento, Beatrice si muta. Rivolge ella gli occhi alla simbolica fiera

«Che è sola una persona in duo nature,

e nella fiera a lungo li affisa, specchiando in essi quella doppia natura; ed il poeta intanto è preso in mezzo dalle quattro ninfe e poi dalle tre, e abilitato da esse a sostener la vista della sua donna già trasmutata. La quale a lui, purificato dal pentimento e da Lete, abilitato dalle virtù cardinali e teologali, finalmente tutta si svela, mostrando la sua seconda bellezza. E in tal forma, poichè è compiuta la visione misteriosa dell'albero, ed ella ha fugato la volpe (che è l'eresia), gli muove la seconda accusa (XXXIII, 85-90). Or chi dirà che qui Beatrice è rimasta quale era innanzi? È manifesto che ella ha preso forma e natura di teologia, e le è bastato fisar gli occhi nel grifone, e farsene spec

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