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grande ma misurato, che desse opera alla Vita Nuova con questa norma ben fissa in mente e con questo proposito, che ella gli riuscisse quel che è in fatti, un libro essenzialmente lirico in ogni sua parte. E finalmente, la su detta ragione concorda in tutto con la teoria espressa nel Convivio (1, 1) che altro si conviene e dire e operare a una etade, che ad altra; perchè certi costumi sono idonei e laudabili a una etade, che sono sconci e biasimevoli ad altra „. Il qual concetto, della vita e dell'arte, dovè persuadere a Dante che convenisse celare sotto specie di cosa, più opportuna nell'età sua, una inclinazione fortissima dell'intelletto che non suole esser nei giovani: e che in lui, tanto maggiore di infiniti giovani, fu in principio non senza contrasto (1). Tanto più che egli, in principio, si volse alla filosofia come a discacciatrice di un ricordo di donna tormentosissimo, non come a fonte, qual ella è propriamente, di sapienza; onde era più conveniente ritrarla a guisa di donna. Anche era più opportuno, per le ragioni dell'arte, per la efficacia e per la bellezza della rappresentazione poetica, ad un amore femmineo opporre un altro siffatto, e mostrar come l'uno vincesse. E finalmente, a concepire la filosofia in for

(1) Che Dante, pur essendo, quale era, grandissimo, obbedisse nei suoi scritti a norme di arte, alcuna volta anguste ed inopportune, appare (per recarne qualche esempio) da ciò ch'ei dice in fine del suo Purgatorio (XXXIII, 139–141), dove fa intendere che potrebbe e vorrebbe dir altro, ma cessa, perchè piene son tutte le carte ordite alla seconda cantica. Il qual concetto, assai più stranamente, ricorre nel XXXII del Paradiso (139–141), dove S. Bernardo si toglie dall'insegnare al poeta, adducendo:

<< Ma perchè il tempo fugge, che t'assonna,

« Qui farem punto, come buon sartore

« Che, com'egli ha del panno, fa la gonna.

Fuggiva il tempo, in Paradiso !

"

ma di donna, Dante dovè essere indotto, oltrechè dall'uso dei tempi suoi frequentissimo in allegorie, sopra tutto dall'indole del suo ingegno, dotato di virtù poetica per la quale i sentimenti, le idee, pigliavan presto in lui, nella fantasia, quasi forma e persona, si facevan cosa reale, presente a un tempo e potente nell'intelletto e nel cuore. Egli stesso dice di sè, nel Convivio (II, 13), che per virtù d'ingegno " molte cose, quasi come sognando. vedeva, siccome nella Vita Nuova, apparisce. Di quali cose può parlar qui? Certo, non delle visioni in cui gli si offriva Beatrice; le quali furon vere, o egli le fa credere tali; ma senza dubbio, di cose in cui potè lo sforzo dell'intelletto e della immaginazione (chè l'una e l'altra di queste facoltà s'intendono per l'ingegno). E massima di tali cose, è la finzione per cui d'una scienza si fece una donna: finzione che, in Dante, precedette, e forse fu esempio o motivo all'altra per cui, con un procedimento inverso, di una donna si fece una scienza.

Tale era Dante; tali sono il più delle volte i grandissimi. Niuna in loro, o poca disparità e separazione fra cuore e intelletto; amore in loro è pensiero, e questo quello. L'obbietto, qualunque sia, che li commuove, li prende interi, e nella intenta contemplazione raccoglie in modo le loro facoltà, che ne diventa una in essi, ed armonica la natura umana che nei più è ed appare profondamente divisa. Onde è mirabil cosa a narrare la storia dei due amori di Dante. In lui, che era giovane ancora, i due amori s'incontrano, e contendono, perchè, sebbene disformi e tali che l'uno non toglieva l' altro di necessità, non poteva agevolmente ad un pensiero quale era quello di Beatrice, succederne o congiungersi un altro. Onde la filosofia (alla qual pure egli era nato, alla qual pure doveva essere e professarsi devotissimo amante)

parve a Dante in principio, non cosa vile per sè, ma tale che lo distogliesse dal pensiero che ei, giovinetto, credeva forse starebbe unico, sempre, nella sua mente. E tanto fu vivace la lotta, che all'anima sua parve esser morta, ed era sbigottita (1); finchè lo zelo filosofico soverchiò l'amor della donna, e questa ne fu eclissata in obblio. Ma fu obblio passeggiero; e Beatrice, tornando nel pensiero di Dante, a sua volta discacciò o rese men vivo l'amore della filosofia. Il quale alternarsi di sentimenti e di cure (non insolito in animi passionati e vivaci) non poteva durare a lungo, perpetuarsi: nè dei due amori, nobilissimi entrambi, poteva ceder l'uno e dileguarsi per sempre. La filosofia era necessaria a quello intelletto; e Beatrice gli era stata per troppo tempo cara e benefica, perchè egli ne isbandisse da sè la memoria. Ma c'era un modo di conservare entrambi gli amori, e giovarsene; componendo l'innaturale dissidio. Il modo era, far di Beatrice tal cosa che con la filosofia potesse accordarsi; e niun altro pensiero, sebbene alto, le nocesse. E questo modo, il poeta vide ed usò: consigliatogli dalla natura stessa del suo amore, di cui più puro, più fecondo di nuove ed alte ispirazioni all' intelletto, di alti affetti all'animo, non ebbe mai e non avrà la lirica, o forse anche non sentì mai e non sentirà cuore di uomo. Perchè fu amore, quello di Dante, per eccellenza rivelatore (2): onde la donna amata non ripugnava essere

(1) Canzone 1. strofa 4.":

Tu non se' morta, ma se' shigottita

<< Anima nostra, che sì ti lamenti,
Dice uno spiritel d'amor gentile....

(2) Rivelatore di cose celesti: E par che sia una cosa venuta, ecc.: rivelatore di virtù alle coscienze: Sì che, bassando il viso, tutto smuore, E d'ogni suo difetto allor sospira....

figura della rivelazione, e della più alta che ad un cristiano ci sia, la rivelazione dei divini misteri. Ed ecco, a grado a grado, Beatrice nel concetto di Dante inalzarsi, trasumanarsi; ed egli rimirarla, non più in terra e in forma e vesti donnesche, come altra volta (V. N. XXXIX), ma in cielo, nel proprio luogo di lei; non fra i beati soltanto, ma fra' beati onorata (1). E a così alta visione lo mena non più la forza della commossa fantasia, ma la virtù, che nuovamente Amore gl'infonde, di più sublime concetto. Ecco, dunque, Beatrice già quasi in tutto mutata; già tale che a mirarla ci vogliano occhi i più acuti e profondi; già divenuta obbietto di intellettuale contemplazione. Poco ci vuole, o nulla, a farne quel che ella è nella Commedia; ma tale si deve credere che apparisse a Dante nell'ultima maravigliosa visione (XLII), che è l'ultima, e non superabile più, delle trasformazioni di lei. Così Beatrice fu (mi si passi la parola, non bella e non propria in tanta altezza di cose) vendicata del breve.obblio; e la filosofia, divenuta naturalmente ancella di lei, potè essere amata da Dante, senza contrasto. La qual condizione nuova dell'intelletto e dell'animo di Dante, appare già manifesta nella Vita Nuova; dove narra che a celebrar la sua donna egli si apparecchia studiando, cioè coltivando la già discacciata, ed or richiamata, filosofia. Così il dissidio é composto: seb

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bene, più tardi, il poeta, per troppo zelo della scienza. aristotelica, si straniò ancora dalla teologia (Purg.XXXIII).

Adunque, un intimo nesso, evidentissimo, lega mirabilmente la Vita Nuova, il Convivio, e la Commedia: e il nesso è nelle relazioni tra la filosofia e Beatrice. Relazioni, non di contrasto e di avversità (salvo per breve tempo, finchè il simbolo di Beatrice non fu stabilito); ma, quali debbono essere fra cose l'una all'altra necessarie, sebben l'una maggiore, di giusta e amorosa supremazia e soggezione. Relazioni, insomma, di un graduale consentimento ed accordo. Cominciano esse in sulla fine della Vita Nuova, continuano nel Convivio e nella Commedia; salvochè in questa appariscono assai più chiare e spiegate, come doveva essere in un poema rappresentativo, in cui le due scienze hanno vita e persona. Così i due amori, cioè in gran parte i due studî, variamente intrecciandosi dapprima con alterna fortuna, poscia accordandosi e cospirando, occuparono, fecondandoli, l'intelletto e il cuore di Dante. La cui opera artistica è tutta piena di essi: e ne ha quella sapienza d'intenti, quella vivacità e robustezza di rappresentazione poetica, quella unità d'invenzione, che ad un'opera umana, qualunque sia, possono dare due scienze, rivelatrici del divino e dell'umano, il cui consenso ed accordo sia in tutti i modi riconosciuto e recato in atto.

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