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mente come dai difetti inerenti e quella forma larghissima di governo popolare, si poteva agevolmente trar partito pei loro disegni di signoria; e prima Salvestro e poi Vieri guadagnarono la plebe scontenta; ed assicurati di questa, Cosimo, appena tornato d'esilio, si volse a guadagnare la nobiltà oppressa dalle leggi fatte in odio di lei. Per tal modo il governo popolare, quanto più si allargò, tanto più divenne comoda scala per chi volle salire, senza grandi violenze, ai supremi gradi del potere.

Ci condoni il lettore questa lunga diceria di storia fiorentina in grazia dei confronti che possono farsene con la veneta. Noi ne abbiamo accennati alcuni che non ci sono sembrati sterili d'insegnamento. Tornando ora al nostro proposito delle antiche Consorterie delle arti, diremo che i loro principj furono conformi così a Firenze come a Venezia, ritraendo dalla comune origine latina (1)

«< vi fu messa molta gente nuova..... cioè mercatanti venuti in ricchezza di nuo« vo, ma non però artefici minuti.....

« Ancora dal 1315, che fu la sconfitta a Montecatini, in qua, ancora entrò più « genti nuove nel priorato, salvo che artefici minuti.....

« Il duca (d'Atene) mise nel priorato d'ogni generazione d'uomini ». Della riforma fatta dopo la cacciata del duca, quando furon rimessi in vigore

gli Ordinamenti di giustizia, l'Anonimo dice:

« E da questo tempo in qua gli artefici minuti sono stati nel reggimento..... « sicchè sempre sono venuti entrando negli uffici....., così in ciascuno uffizio « n'andò..... È vero che non hanno però ancora delle imbasciate ».

E conclude: « Ora Dio lo perdoni a chi fatto l'ha, che hanno lasciati gli an« tichi cittadini orrevoli per trarre i vili artefici. Il fine si loderà per sè ». E segue.

« A chiarire ogni cosa, dalla cacciata del duca in qua, che fu nel 1343, ol«tre agli artefici che siano entrati in uffizio, vi è entrata tutta la comunità della << mezzana gente: mercatanti che mai i loro passati aveano avuto alcuno uffizio, «<e sono tanta moltitudine ch'è impossibile. E questo durò fino al 1357, che ogni " uomo ch'era mercatante si può dire che avea uffizio, se egli era buon uomo, << nonostante per i tempi passati fossero stati tenuti i suoi per Ghibellini. E ve« ramente ognuno era diventato Guelfo d'animo, di valore (volere) e d'ogni suo « pensiero; e poteasi dire che a Firenze non fosse alcuno Ghibellino, se non « fosse (d') antichi nobili rubelli; ma della gente comune mezzana e minore, di «< che nazione si fosse, tutti di volontà erano Guelfi » ec.

(1) Se più ritraessero dal tipo latino le Consorterie delle Arti venete o le fiorentine, troppo lungo sarebbe ad esaminare, nè i documenti pubblicati basterebbero al bisogno. Fermandoci alle sole parole, vediamo che a Venezia si dissero Schole le sedi delle arti, ch'è pretta latinità del basso impero. E Schole pur si dissero a Lucca, ma non a Firenze. Per contrario, Firenze ebbe da prima a capo delle arti i Consoli, e Venezia i Gastaldi, che accennano a derivazione longo

la loro interna costituzione ed i loro intendimenti, secondochè spiega ottimamente il Sagredo per ciò che tiene alle arti venete (p. 48). Se non che a Firenze queste istituzioni, che dovean servire all'incremento delle industrie, vennero mutate in ordinanze armate per le battaglie civili, quando le prepotenze della nobiltà forestiera, costrinsero il popolo a cercare nei corpi d'arte una difesa; perchè nei tempi di violenza, chi non ha forza individuale sempre si copre della forza collettiva. Or da questa trasformazione derivò, che a Firenze le Consorteric delle arti furono veri corpi politici, nei quali a poco a poco cadde tutto il governo del comune. Nulla di questo avvenne a Venezia; ivi le Consorterie si mantennero quello che importava che fossero nell'ordinamento sociale di quei tempi ; ed anche quando il governo si strinse a pura aristocrazia, i corpi d'arte furono mantenuti e promossi per lasciare nel popolo una qualche compiacente idea del governo economico, come ingenuamente si dice in una relazione al Doge del 1773, e per avere perenni fonti e più sicuri di contribuzione all'erario (p. 218). A Firenze la nobiltà nuova e antica, osteggiandosi tra sè e prepotendo sulla cittadinanza, fu oppressa dal popolo ordinato nelle Consorterie delle arti. Da queste uscì un governo tutto popolare, in cui gettò le sue prime radici il principato mediceo, il quale a sua volta togliendo ogni carattere politico alle Consorterie, nell' eguaglianza spense la libertà. A Venezia mancando le cagioni di quel dissidio, rimase il governo in mano degli ottimati, e le Consorterie delle arti si mantennero come ordinamento sociale del popolo, il quale saerificò l'eguaglianza ed anche un poco di libertà, all'indipendenza e all'autonomia della patria.

Questa fu la diversa vita che ebbero nelle due Repubbliche di Venezia e di Firenze le Consorterie delle arti, questi gli effetti politici della loro diversa azione nelle vicende di quelle due famose città. Sommando in brevi parole quel molto che abbiamo detto sopra questo tema, ci sembra che le Consorterie delle arti nel medio evo si possano considerare sotto molti diversi

barda. Matricola si diceva a Firenze il ruolo degli ascritti a un' arte, Mariegola a Venezia era lo statuto dell'arte; per cui saviamente il Sagredo accetta la spiegazione di madreregola. Del resto moltissime erano a Venezia le parole che dimostrano negl'istituti civili l'origine latina. A Pisa erano i Consules foretaneorum, che giudicavano le liti dei forestieri; a Venezia i Pretores peregrini, che è schietto latino.

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SULLE CONSORTERIE DELLE ARTI EC.

aspetti come fonti perenni d'insegnamento tradizionale dei mestieri, come monopolii d'industrie municipali, come corpi politici di popolare difesa, e finalmente come centri religiosi di opere di carità scambievole fra gli associati ad un'arte. Da ciò si rileva quale importanza storica, economica e morale abbiano queste antiche istituzioni delle arti, e quanto sia lodabile l'esempio del Sagredo. Gli eruditi italiani hanno pochissimo illustrato questo bellissimo argomento, sul quale anche per la notizia dei monumenti (1), moltissimo rimane tuttora a desiderare. Molto si stampa in Italia sulla storia politica, ma pochissimo sulla storia civile ed economica, che è pure necessario complemento della prima. Le arti nel medio evo tengono largo campo, e meritan di essere studiate a dovere, pubblicandone i più antichi statuti, acciò anche di questi, come delle leggi marittime il Pardessus, non debba venire uno straniero a farci manifesta la nostra ricchezza.

X.***

(4) Dalla bibliografia degli Statuti italiani pubblicata come saggio dal cav. F. Bonaini, e ora per maggiori sue cure cresciuta di oltre due terzi, si rileva quanto poco c'è di stampato in Italia sugli antichi statuti delle arti. Intanto che nuove pubblicazioni riparino a questa lacuna, sarebbe desiderabile che il Bonaini ristampasse quella Bibliografia, con le numerosissime giunte raccolte, e sarebbe una guida utilissima per gli studiosi, ai quali in tanta moltiplicità di Comuni autonomi quanta ne fu in Italia nel medio evo, anche le ricerche dei documenti riescono oltremodo difficili.

RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Archives, Bibliothèque et Inscriptions de Malte, par M. L. DE MAS-LATRIE. Parigi, Stamperia imperiale, 1857, pag. 240, in 8vo.

La storia dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, la quale nei primi secoli, oltre il Levante, particolarmente riguarda la Francia, è da tenersi siccome uno dei supplementi delle storie italiane, dacché Carlo V donò ai cavalieri quell'isola di Malta, che pochi anni dopo ruppe l'impeto delle armi turchesche, pronte già a scagliarsi contro la Sicilia e l'Italia. Il signor di Mas-Latrie, ora capo di sezione negli Archivi dell'Impero Francese e sotto-direttore degli studj nell'Ecole des chartes, ha dunque reso un servigio alla storia della Penisola col fare di pubblica ragione il volume che tratta degli archivi, della biblioteca e delle iscrizioni dell'isola, il nome della quale rimarrà mai sempre glorioso negli annali delle guerre sostenute per la fede di Cristo. Perciò accogliamo col debito plauso questa fatica, che non ha impedito l'autore di proseguire alacremente quella maggiore, che è per illustrare la istoria di Cipro sotto il governo della casa di Lusignano.

Gli archivi pubblici dell'isola di Malta, conservati in Città-Valetta, per la maggior parte si compongono dell'antico archivio dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, al quale sono state riunite le carte della municipalità, ossia università dell'isola, anteriori e posteriori allo stabilimento dell'Ordine nella medesima. Sino agli ultimi tempi, i documenti più antichi trovavansi ripartiti, in modo affatto arbitrario, tra la biblioteca pubblica e l'uffizio del collettore della rendita territoriale; essendo stati riuniti nella prima la maggior parte dei riscontri della cancelleria dei Granmaestri, detti i libri bullarum, mentre nel secondo conservavansi per lo più i portafogli coi diplomi originali. Nel 1854, un ordine del governo riuni queste parti staccate, creando così un archivio propriamente detto, col nome di Camera dei ricordi, stabilito nel palazzo delle cancellerie del governo, e sottoposto a un conservatore speciale, che adesso è il dottor Luigi Vella.

Questo archivio è diviso in quindici sezioni. La prima comprende le bolle dei sommi pontefici, concernenti l'Ordine di san Giovanni. Esse cominciano da un privilegio di papa Pasquale II, del 4103, non pubblicato dal P. Paoli nel Codice diplomatico del sacro Ordine Gerosolimitano (Lucca 4733), e finiscono con Clemente XIII. L'ordine con cui al presente trovansi disposte queste bolle, che sommano a cinquecento circa, non è cronologico, ma, per strano capriccio, sonosi messe insieme in vari portafogli le bolle dei pontefici che portano il medesimo nome; di modo che, per esempio, seguonsi 271 documenti di papi del nome di Clemente, dal 1487 al 1769. Una serie di volumi di supplemento contiene le bolle copiate. Nella seconda sezione troviamo i diplomi e le concessioni dei re, principi e prelati di Terrasanta, di Cipro e d'Occidente, a favore dell'Ordine, degli anni 1407-1259, in tutto 273 documenti originali, dei quali pochi però conservano i sigilli, per lo più rotti o strappati. Formano supplemento i privilegi e le carte dei re di Spagna, concernenti l'isola di Malta, e le lettere patenti di Carlo V con cui viene concessa l'isola agli Spedalieri. Le bolle dei Granmaestri, oltre 150, costituiscono la sezione terza, cominciando dall'anno 1169. La quarta sezione abbraccia le costituzioni e gli statuti dell'Ordine, 40 portafogli all'incirca, che non sono per anco classati. Seguono, nella quinta sezione, le deliberazioni dei capitoli generali, principiando da quello convocato nel 1333, da Elione di Villeneuve, e giungendo all'altro del 1776, di Emanuele di Rohan. Trovasi aggiunta a tale collezione una versione latina, fatta verso il 1357, sotto il granmaestro Ruggero de Pins, degli statuti dell'Ordine, scritti anticamente in francese. Questa versione, cosi osserva il Mas-Latrie, scoperta non è molto nella biblioteca di Malta, è di speciale interesse. Essa porge nuova testimonianza, come nella prima metà del Trecento avesse un termine quel progresso della propagazione della lingua francese, che vediamo così manifesto nei tempi precedenti. Nei secoli XII e XIII, l'idioma del Nord della Francia, la vera lingua francese, che già parlavasi in Inghilterra sin dalla conquista dei Normanni, venne introdotta per le guerre e le crociate in Terrasanta, nella Sicilia, nella Morea, dove, secondo ne dice il Muntaner, parlavasi un dialetto puro quanto quello dei contorni di Parigi. Mentre le spedizioni armate stendevano, colle conquiste, l'uso della lingua, i viaggi ed il commercio contribuirono a renderla popolare per vie più pacifiche. Ciò accadde soprattutto presso gl' Italiani, i quali trovavansi in relazioni continua colle regioni levantine occupate dai crociati. Nulla di più comune dell' incontrarsi in Italia, da Venezia a Napoli, gente di varia condizione, signori, uomini d'affari, negozianti, che intendevano la lingua francese, leggendo i libri di storie e i romanzi cavallereschi. Non cosi avvenne nel secolo XIV. In Italia soprattutto, più ancora che nell'Inghilterra, ove rimaneva pure gran parte

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